Discussione sulle linee generali
Data: 
Mercoledì, 17 Dicembre, 2014
Nome: 
Rosy Bindi

A.C. 2613-A

Grazie Presidente, con lo spirito di chi ritiene che sia davvero arrivato il tempo per apportare alla nostra Carta costituzionale le riforme necessarie perché possa al meglio esplicare in questo momento le sue potenzialità e le scelte che i costituenti hanno compiuto, con questa convinzione e con il senso di responsabilità che credo appartenga a tutti noi, quello di condividere per la nostra parte, per la nostra piccola parte, la responsabilità di dare alle future generazioni una Carta costituzionale che sia davvero capace di continuare a rappresentare le fondamenta della nostra vita democratica, ci accingiamo a fare insieme questo lavoro, con la consapevolezza che alcuni anni sono stati forse sprecati per fare bene quest'opera e questo lavoro. 
Ci sono, però, anche in questo spreco di tempi e di energie responsabilità precise, alcune delle quali sono anche positive, e forse serve ripercorrere la storia di questi anni. Chi ha seduto qui ormai da vent'anni ha assistito al fallimento di una Commissione bicamerale, che era arrivata ad un disegno compiuto di riforma della Carta costituzionale, e ricorda chi in quest'Aula dichiarò che in quel lavoro non si riconosceva più: si chiamava Silvio Berlusconi. Chi è qui da vent'anni ricorda anche che il centrosinistra ha contribuito, come hanno contribuito i sindacati, come ha contribuito il presidente Scalfaro e tanti costituzionalisti che non sono più tra noi, come Leopoldo Elia, e lo stesso Presidente Napolitano, ad una campagna di difesa nella Carta costituzionale da quella riforma fatta dal centrodestra che, a nostro avviso, stravolgeva lo spirito costituente. Io credo che aver fermato quella riforma sia un merito e non una perdita di tempo. Io rivendico di aver fermato una riforma della Carta costituzionale che stravolgeva le scelte dei costituenti. Non voglio che sia ascritto a me e a tutti coloro che hanno vinto quel referendum come una responsabilità negativa. 
A volte le riforme si fanno e si fanno sbagliate, il popolo italiano fermò quella riforma. 
Chi, come me, è qui da venti anni, ha anche assistito ad una responsabilità che credo sia in capo al centrosinistra. Non so se rivoterei oggi – ero seduta in quella fila – la riforma del Titolo V con un voto di maggioranza. Non solo perché il metodo costituente ci impone di condividere le riforme della Costituzione, ma anche perché fu talmente frettolosa quella riforma, che poi, negli anni, abbiamo dovuto ritornarci spesso sopra per modificarla e adesso, anche in quest'occasione, il Titolo V è oggetto del nostro lavoro. Non posso non sottolineare questo, responsabilità negative e responsabilità positive. 
Mettere mano alla riforma della Costituzione significa anche praticare il metodo e lo spirito della Costituzione. Il metodo ci impone di farlo insieme. Ora, noi non possiamo ignorare l'anomalia di questa fase riformatrice che sta nella proposta fatta dal Governo e sta in una sorta di maggioranza precostituita intorno al progetto che è stato presentato. So bene che questo limite, questa anomalia, sono dettati dalla necessità di non perdere, anche questa volta, un'occasione preziosa, però dobbiamo essere consapevoli che stiamo agendo con un metodo che non è costituente. Dico questo perché a me pare che non siano ore perse quelle della Commissione affari costituzionali a dialogare con quelle che vengono ritenute impropriamente, in un processo di riforma della Costituzione, le minoranze, perché non c’è la categoria della maggioranza e della minoranza, nella riforma della Costituzione, neanche in un tempo originale come quello che stiamo vivendo. Penso che siamo ancora in tempo ad ascoltare le proposte di alcuni gruppi politici che vogliono fare la riforma, ai quali forse non possiamo consentire di stravolgere l'impianto di questa riforma, ma forse nel rispetto di quell'impianto ci sono alcune modifiche che possono essere condivise, anche con quei gruppi che non hanno sottoscritto un patto di riforma per la Costituzione. 
Spirito e metodo costituente significano anche che ciascuno di noi, come parlamentare, più che in altre materie, non è vincolato a nessun mandato. Dico questo perché io sono, anche per aver usato questa parola, disponibile, assolutamente disponibile, non solo a dare a tutto il mio contributo perché questa riforma vada in porto, e sarebbe il coronamento di venti anni di vita parlamentare, ma ad accogliere le parole del Presidente del Consiglio, segretario del mio partito: «non chiedo obbedienza, ma chiedo lealtà»; lealtà, non obbedienza. Ad un parlamentare che si accinge a fare la sua parte per la riforma della Costituzione, si può chiedere lealtà, ma non obbedienza. Riformare la Costituzione significa anche spirito della Costituzione. Ho sentito dire dall'onorevole Capezzone che noi avremmo dovuto procedere alla riforma della forma di Stato e di Governo. Ecco, io credo, invece, che riformare la Costituzione con lo spirito della Costituzione, significa rendere oggi più forte la scelta di forma di Stato e di Governo che hanno fatto i nostri costituenti. Io ritengo che la nostra Costituzione sia rigida, non solo per la procedura che è prevista per il cambiamento della Costituzione, ma anche perché le scelte dei costituenti, in maniera particolare, la forma di democrazia parlamentare, non sono a disposizione di una fase ordinaria di modifica della Costituzione, occorrerebbe un'altra Assemblea costituente e, come ci insegnava Dossetti, le Assemblee costituenti sono però legate a momenti di rottura profonda della storia. Oggi non siamo in questa fase e, quindi, io credo che ci siamo mossi bene.
Io condivido l'impianto del superamento del bicameralismo paritario, perché questo da sempre è stato un elemento debole del funzionamento della stessa democrazia parlamentare. Così come credo che sia stato giusto prendere ed imboccare la strada di affidare alla seconda Camera la rappresentanza del sistema delle autonomie e delle regioni e, quindi, prefigurare una sede in Parlamento, nella quale vi sia una ricerca della sintesi e della cooperazione tra i vari livelli istituzionali. Infatti, la forma di Stato scelta dai costituenti era, appunto, quella di uno Stato unitario, ma fortemente improntato al principio autonomistico e regionalistico. 
In questi anni abbiamo pagato la mancanza di una sede di cooperazione istituzionale, soprattutto sul piano della legislazione. Non possiamo certamente scaricare solo sulla formula della legislazione concorrente e delle fatiche della Corte costituzionale la difficoltà che abbiamo avuto in questi anni. 
Capisco anche che in questo momento si debba fare una riforma della Costituzione, improntata alla diminuzione dei costi delle istituzioni e dei costi della politica. Per raggiungere quest'obiettivo le strade potevano essere molte. Si è scelta quella di rendere sostanzialmente una delle due Camere senza indennità ai loro partecipanti. È una scelta essa stessa che ha una sua spiegazione. 
Però, se ci muoviamo all'interno di questi principi e di questo modello, ci dobbiamo interrogare se quello che il Senato ci ha dato sia davvero coerente e razionale come modello e se ci faccia raggiungere l'obiettivo che io credo noi ci siamo posti alla luce del sole, ovvero quello di rafforzare la democrazia parlamentare, non quello di indebolirla, non quello di renderla meno efficace e meno efficiente. 
È il contrario: andiamo verso una riforma che vuole dare alla nostra democrazia parlamentare più forza e che vuole trovare un equilibrio nuovo anche tra Governo e Parlamento, ma nel quale resti l'impronta della democrazia parlamentare. È il Governo che chiede la fiducia al Parlamento non è il Parlamento che deve ratificare le scelte del Governo. E questo vale anche in tempi nei quali sono richieste decisioni rapide. Ma la rapidità delle decisioni non può, mai e poi mai, smentire il principio fondamentale della centralità del Parlamento nelle scelte che hanno fatto i costituenti e che noi vogliamo rinnovare. 
Altrimenti hanno ragione quelli che dicono di andare verso il presidenzialismo con un progetto chiaro e netto. Basti pensare quante volte il Congresso ha fermato in questi anni straordinarie riforme come quelle proposte dal Presidente Obama, perché quella è una Repubblica presidenziale, ma con un Congresso talmente forte che rappresenta un contrappeso fortissimo allo stesso Presidente, eletto direttamente dal popolo americano. Non si può andare verso forme surrettizie, che indeboliscono il Parlamento e dentro le quali si annidano sempre spinte degenerative di tipo autoritario, demagogico e populistico che certamente in questo momento non ci possiamo permettere. 
Gli emendamenti che sono stati presentati da alcuni di noi non sono emendamenti che vogliono fermare il processo. Tutt'altro, vogliono arrivare presto a conclusione, ma ci vogliono arrivare, come dicevo prima, con un modello davvero funzionante. 
Voglio toccare alcuni punti di questo. Il primo fra tutti è che, se si sceglie il modello della Camera delle autonomie, i modelli sono due: o ci sono i governi delle regioni o è una Camera che nella sua rappresentanza vuole in qualche modo esprimere le politiche delle maggioranze e delle minoranze che governano le regioni. Ma i due modelli devono avere una loro razionalità. Penso che avremmo fatto bene a scegliere il modello cosiddetto tedesco. Avremmo sicuramente eliminato la Conferenza Stato-regioni e in questo momento noi avremmo un'interlocuzione dei legislatori tra di loro e poi avremmo e continueremmo ad avere un'interlocuzione con i governi, che rischiano di essere in conflitto fra di loro. 
Si pensi ancora se ci sono degli spazi e, se non ci sono, si vada sulla coerenza del modello politico. 
Allora, senza aumentare le spese, perché i consiglieri regionali che fanno i senatori resterebbero senza indennità, ma perché mai li dobbiamo eleggere in secondo grado e non decidiamo di affidare agli elettori che eleggono i consiglieri regionali di indicare anche quali tra questi vanno a fare i senatori (Applausi) ? Creeremmo una rappresentanza vera. 
Non è possibile neppure questo ? Mi si spieghi, allora, perché si respingono gli emendamenti che chiedono due cose molto semplici, che almeno i presidenti delle regioni facciano parte di diritto del Senato e che i 21 sindaci non siano scelti dai consigli regionali, perché è una sorta di subalternità della rappresentanza dei comuni ai consigli regionali ed è fuori dalla nostra storia culturale, politica, geografica e istituzionale. Si preveda che i sindaci delle città metropolitane facciano parte di diritto del Senato. 
Si dice che il testo non si può toccare, perché altrimenti torna al Senato e poi si allungano i tempi. Ci possiamo mettere d'accordo con i senatori: loro non lo hanno fatto prima con noi, facciamolo noi con loro. Ma si dia un minimo di razionalità a questa Camera. La Conferenza Stato-regioni a questo punto diventi solo un incontro tra funzionari. 
Le chiedo qualche altro minuto, Presidente, se il mio gruppo è magnanimo con me. Io manterrò questi emendamenti, ma li mantengo nello spirito di fare meglio e di dare a questa riforma maggiore razionalità. 
Rimanendo sul tema delle autonomie, si è voluta abolire la legislazione concorrente adesso che si dà lo strumento per fare la legislazione concorrente. Anche questo è davvero bislacco. Ci si domandi perché. Abbiamo adesso lo strumento per fare insieme le leggi e aboliamo la possibilità di fare la legislazione concorrente, che è lo strumento vero della cooperazione istituzionale. Ma anche in questo caso, se questo significa sconvolgere la riforma, c’è un modo per correggere dentro le materie. 
Parlo di due cose di cui capisco pochino pochino. Non è pensabile che il sistema sanitario e il sistema delle politiche sociali non abbiano già in Costituzione la possibilità che lo Stato detti i principi generali e che le regioni e le autonomie intravedano i modelli organizzativi e la gestione diretta. Anche in questo caso vi faccio un esempio storico. La Turco portò finalmente in fondo la legge sul sistema delle politiche sociali. Il giorno dopo approvammo il nuovo Titolo V e in Italia non abbiamo ancora un sistema di politiche sociali degno di questo nome: nessuna lotta alla povertà, nessuna legge nazionale sull'autosufficienza, nessuna lotta vera a tutte le forme di fragilità e di disagio. Proviamo a pensarci. Basta inserire due parole, due parole. 
Veniamo all'altro aspetto che non mi sta meno a cuore. Io credo che noi che abbiamo voluto questa riforma, e siamo tutti noi, siamo anche tutti convinti che il sistema maggioritario sia un passo avanti rispetto al quale non torneremo indietro nelle leggi elettorali. Anche a me sarebbe piaciuto vederci più chiaro sulla legge elettorale prima di approvare la riforma. Però io credo che non torneremo indietro sul sistema maggioritario. 
Allora, se c’è il sistema maggioritario e se c’è una sola Camera, ci vogliono pesi e contrappesi. Li abbiamo ottenuti con l'elezione del Presidente della Repubblica, con la modifica sulla elezione dei giudici della Corte costituzionale. Bisogna continuare a intervenire sul procedimento legislativo. Anche in quel caso, secondo me, è un grande risultato aver abolito il voto bloccato. È rimasto in Costituzione in maniera un po’ bizzarra solo il voto a data certa. Per quanto mi riguarda, finché non c’è un nuovo Regolamento quell'articolo resta lì, fin quando il Regolamento della Camera non è modificato e preveda l'introduzione del voto a data certa. Infatti, altrimenti la storia ci insegna che noi cominciamo a lavorare in un certo modo, ma in Italia ciò che è precario – a parte i lavoratori – dura in eterno.
Come precari... dura in eterno. Ma era per dire che quella non è una cosa positiva. Neanche questa lo sarebbe. Quindi, penso che possiamo. 
E poi c’è un altro tema che ha posto anche precedentemente nel suo intervento la collega di SEL. Su alcune materie, se c’è una sola Camera, essa deve avere la maggioranza qualificata nel prendere le sue decisioni. L'articolo 11 della Costituzione non lo toccheremo, è ancora lì. Non è pensabile per la dichiarazione di guerra; si dice che non avverrà mai e chi ce lo dice ?
Chi ce lo dice ? Perché non si può prevedere almeno una maggioranza.
Sto concludendo: almeno una maggioranza qualificata su alcune materie, nell'unica Camera che prenderà decisioni su quella materia, perché ce ne sono alcune che sono davvero troppo importanti perché ci sia – come dire ? – quello strano trucco per cui chi vince le elezioni non ha solo il dovere di governare, ma si arroga il diritto in qualche modo di comandare e di prendere decisioni che non sono appannaggio della maggioranza governativa. 
Io penso che siamo ancora in tempo ad apportare alcune modifiche, io penso che siamo ancora in tempo a rendere in qualche modo, con il nostro lavoro sulla Costituzione, ancora una volta omaggio ai nostri costituenti, che vogliono che noi rendiamo la nostra Costituzione più forte oggi e come tale la confermiamo nel suo impianto fondamentale.