Discussione sulle linee generali
Data: 
Mercoledì, 17 Dicembre, 2014
Nome: 
Andrea Giorgis

A.C. 2613-A

 

Presidente, onorevoli colleghi, nell'ambito della discussione sulla legge elettorale, che abbiamo svolto durante lo scorso marzo, sottolineai come quella che sembrava una missione impossibile era a portata di mano: riscrittura della legge elettorale, modifica del Titolo V e revisione del Senato. Tre riforme tra loro strettamente collegate e utili per rendere le nostre istituzioni politiche meglio capaci di affrontare la crisi economica e meglio capaci di superare le disuguaglianze sempre più marcate che si sono venute consolidando. Tre riforme – dissi allora e oggi ripeto – che occorre fare presto e occorre fare bene, molto bene, perché c’è in gioco l'effettività dei principi costituzionali che strutturano il nostro assetto democratico e definiscono le condizioni materiali e culturali che dovrebbero essere garantite ad ogni persona. 
Del resto, quanto le istituzioni repubblicane fatichino ad adempiere a quel compito che gli assegna l'articolo 3, comma 2, è sotto gli occhi di tutti. Molti sono, infatti, oggi gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Occorre, dunque, riformare la Costituzione, non contro la Costituzione, ma per far sì che la Repubblica e le sue istituzioni rappresentative possano meglio attuarla. Occorre rivedere alcuni istituti della seconda parte per fare meglio vivere la prima parte e i principi di libertà e uguaglianza che in essa sono contenuti. Occorre, insomma, riformare il bicameralismo paritario non per ulteriormente marginalizzare il ruolo del Parlamento e dei corpi intermedi, ma al contrario per rafforzarne la capacità di decisione e per razionalizzare e consolidare la forma di Governo parlamentare. Per fare ciò credo che occorra avere cura di approfondire nel merito ogni aspetto, cercando di superare i limiti del vigente assetto costituzionale e i limiti del testo approvato dal Senato. In Commissione il confronto talvolta – occorre riconoscere – è stato difficile. Nonostante alcuni significativi passi in avanti siano stati fatti, grazie anche al prezioso impegno del capogruppo e relatore Emanuele Fiano (penso all'innalzamento delquorum per l'elezione del Presidente della Repubblica, alla soppressione del voto bloccato o alla riscrittura delle norme per l'elezione dei giudici costituzionali), molte questioni sono rimaste aperte. 
Il Senato (come è stato osservato da numerosi studiosi), per poter operare come Senato delle Regioni e delle autonomie territoriali, dovrebbe essere in grado di esprimere il punto di vista dei territori singolarmente considerati (non come un indistinto e unitario «mondo delle autonomie») e soprattutto non dovrebbe ripetere le dinamiche delle appartenenze politiche: i senatori, per essere espressione dei territori, non dovrebbero perciò essere eletti con la regola del voto limitato e non dovrebbero poter votare in modo distinto. 
Del resto, una solida e convincente spiegazione del perché sarebbe ragionevole differenziare il ruolo delle due Camere e riservare alla sola Camera dei deputati il rapporto di fiducia con il Governo può essere rintracciata, più che nell'esigenza di velocizzare il procedimento legislativo, nella perdurante necessità di rafforzare i meccanismi di integrazione politica e in particolare di integrazione fra realtà territoriali (le regioni per esempio) che sono tuttora molto eterogenee: l'unità nazionale rimane un problema prioritario per il nostro Paese. 
Se però non si accoglie la logica del cosiddetto modello tedesco e ci si muove – come parrebbe essersi fatto – nella diversa prospettiva di un Senato politico, nel quale si rispecchia il pluralismo presente in ogni regione, occorrerebbe riconsiderare il numero complessivo dei senatori e i presupposti del loro elettorato passivo, proprio per assicurare a un tale Senato coerenza interna ed efficacia di azione. 
E in questa stessa prospettiva credo che occorrerebbe riconsiderare se sia davvero ragionevole continuare a prevedere (in un Senato che vorrebbe comunque rappresentare le istituzioni territoriali, come recita il nuovo articolo 55) la presenza di cinque senatori di nomina presidenziale. Da riconsiderare e semplificare è inoltre il procedimento legislativo: il criterio delle materie rischia di dar vita ad incertezze procedurali e quindi a contenzioso e, per come al momento è configurato, rischia al tempo stesso di svalutare oltre ogni misura il ruolo del Senato. 
Per quanto riguarda il titolo V, occorrerebbe approfondire la scelta di sopprimere la cosiddetta potestà legislativa concorrente. Come ha sottolineato la maggior parte dei commentatori la tecnica della concorrenza (all'italiana o meglio alla tedesca) è la più coerente con le esigenze del federalismo cooperativo e con l'esigenza di ridurre il contenzioso politico e giurisdizionale. 
Ampliare e specificare l'ambito delle materie di competenza esclusiva statale e regionale e al tempo stesso reintrodurre la clausola dell'interesse nazionale rischia infatti di accrescere le situazioni di incertezza e di conflitto. 
E in ogni caso, per quanto riguarda la clausola di supremazia, occorrerebbe rimuovere un inutile ed inopportuno limite all'iniziativa legislativa dei deputati. 
In tema di titolo V, peraltro, se fossimo coraggiosi e conseguenti rispetto agli ambiziosi obiettivi che ci si è dati, forse proveremmo a riconsiderare anche l'attuale configurazione delle regioni, nonché la specificità delle regioni a statuto speciale. 
In tema di garanzie invece, per bilanciare la torsione maggioritaria del sistema politico e garantire l'effettività dei principi costituzionali (che – dobbiamo ricordarci – sono finalizzati, in ultima analisi, proprio a limitare il potere della maggioranza), oltre alle modifiche approvate in Commissione, occorrerà riconsiderare la maggioranza richiesta per deliberare lo stato di guerra. 
Ma un'attenzione particolare dovremo inoltre dedicarla all'istituto del controllo preventivo sulle leggi elettorali che il Senato, con l'articolo 13, ha voluto introdurre nel nostro ordinamento. 
Con la sentenza n. 1 del 2014 la Corte costituzionale, superando la nozione stessa di incidentalità come progressivamente definita dalla sua consolidata giurisprudenza, ha ritenuto ammissibile la questione sollevata dalla Corte di cassazione nei confronti delle modifiche alla legislazione elettorale introdotte dalla legge n. 270 del 2005 e ha dichiarato illegittime parti significative di tali modifiche. L'esigenza costituzionale che sta all'origine della recente sentenza della Corte e della svolta processuale che in essa si è compiuta, l'esigenza cioè di coprire una «zona franca» del giudizio di costituzionalità ed evitare che una materia così importante com’è quella elettorale possa essere sottratta a verifica e a tutela giurisdizionale quando si teme che confligga con fondamentali principi costituzionali, non è stata però del tutto soddisfatta, perché sulle leggi elettorali un giudizio di costituzionalità successivo, dopo che la legge è entrata in vigore ed è stata applicata, è comunque un giudizio insufficiente a garantire la piena effettività dei principi costituzionali. 
L'eventuale decisione di annullamento (di una parte) della disciplina elettorale – come ha infatti sottolineato la Consulta – «produce i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova (e successiva) consultazione elettorale (...). 
Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono un fatto concluso», ha detto la Corte, che, in ossequio al principio fondamentale della continuità dello Stato, non può in alcun modo essere rimosso. Al fine di porre rimedio a simile lacuna del vigente sistema di giustizia costituzionale e garantire che anche le regole che disciplinano le elezioni politiche e strutturano l'assetto democratico rappresentativo della Repubblica possano essere sindacate prima che abbiano dispiegato ogni loro effetto, il testo approvato dal Senato prevede l'introduzione di un sindacato preventivo di legittimità nei confronti delle leggi elettorali delle due Camere. Il testo approvato prevede, però, che possa promuovere il ricorso alla Corte soltanto una minoranza molto consistente, pari ad almeno un terzo dei componenti di ciascuna Camera. Ciò, a mio avviso, è palesemente irragionevole e rischia di vanificare la ratio stessa della previsione che è quella di consentire alle minoranze, che siano escluse da un accordo sulla riforma della legge elettorale e soprattutto che siano penalizzate da una riforma, di ottenere tutela presso la Corte. Si pensi al caso di una legge elettorale che introducesse una soglia di sbarramento del 10 o del 15 per cento. Le forze politiche penalizzate da tale previsione, stando al testo approvato dal Senato, non potrebbero da sole, in quanto minoranze, adire la Corte costituzionale. Il controllo preventivo sulle leggi elettorali, se non viene previsto in via automatica, dovrebbe insomma essere promuovibile da parte delle minoranze più esigue. E ciò, del resto, eviterebbe di caricare il ricorso di un eccessivo valore politico. 
Ma il tema del controllo preventivo sulle leggi elettorali, che occorrerà riconsiderare a mio avviso, è soprattutto quello che riguarda una disposizione transitoria, che non è stata accolta in Commissione e che ha di fatto escluso tale controllo nei confronti della nuova legge elettorale. Legge elettorale che abbiamo deciso, con un voto di quest'Aula, di collegare alla riforma costituzionale e di approvare prima dell'entrata in vigore di quest'ultima. Perché mai si dovrebbe escludere un giudizio della Corte sulla nuova legge elettorale prima che essa venga applicata ? Prevedere, come ipotizzato in alcuni emendamenti, che la Corte possa essere chiamata a pronunciarsi non ritarda di un solo giorno l'entrata in vigore della nuova legge. 
Molte questioni sono dunque rimaste aperte e consegnate all'Aula. Al confronto, che in essa quest'oggi si avvia, spetterà trovare le soluzioni ed apportare le correzioni e le integrazioni necessarie, non per ostacolare o rallentare il processo delle riforme, sia chiaro, ma esattamente al contrario, per garantirne il buon esito. E a tal fine occorrerà che il Governo non restringa oltre il ragionevole l'autonomia e il protagonismo del Parlamento. Un disegno di legge costituzionale non può essere discusso e approvato come un qualsiasi altro disegno di legge che il Governo assume come essenziale per l'attuazione del proprio programma. 
Infine, una considerazione sui tempi. Dobbiamo fare in fretta, lo so bene, la difficile situazione del Paese lo impone. Ma dobbiamo anche conservare la lucidità e l'equilibrio per valutare se offrire al Senato la possibilità di ritornare su alcune questioni, come ad esempio quella della composizione di cui agli articoli 2 e 3, se comprometta davvero la riforma, come alcuni temono, o non costituisca invece un modo per prendere sul serio la procedura di cui all'articolo 138 e, soprattutto, un modo per consegnare ai cittadini un migliore e più efficace assetto del Parlamento. 
Nel corso del dibattito sulla legge elettorale conclusi con una citazione di Bertolt Brecht che vorrei riprendere, perché credo davvero che, quando sono in gioco principi fondamentali, occorra muovere, fino all'ultimo e anche contro le opposte evidenze, dalla convinzione che faceva dire a Galileo: «Solo i morti non si lasciano smuovere da un argomento valido (...). Sì, io credo alla dolce violenza che la ragione usa agli uomini. A lungo andare non le sanno resistere». Ecco come dobbiamo agire nel prosieguo dei nostri lavori, come il Galileo che credeva fermamente nella forza degli argomenti e nella possibilità di persuadere anche i più riottosi e non riusciva neanche a immaginare di dover un giorno essere costretto ad abiurare.