Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 12 Settembre, 2016
Nome: 
Anna Ascani

A.C. 3139-A

Grazie Presidente. Farò una premessa, poi mi dedicherò soprattutto a parlare di scuole, della parte che riguarda la scuola, essendo io membro della Commissione cultura. Una premessa, però, è doverosa sulla base delle cose che ho sentito fin qui, perché proprio in Commissione cultura sono stata relatrice del parere su questa proposta di legge, come emendata dalla Commissione. Quel parere la mia Commissione l'ha votato all'unanimità, c’è stato un parere favorevole all'unanimità, con alcune condizioni che sono state poi recepite dalle Commissioni referenti. Io capisco che leggere e non capire sta diventando una linea politica, però in Parlamento dovremmo farne un utilizzo minore possibilmente. 
Vengo al tema della proposta di legge: intanto il cyberbullismo ha a che fare con un fenomeno del tutto nuovo. Non necessariamente i fenomeni nuovi vanno tutti regolati, però di sicuro il Parlamento si deve interrogare su fenomeni di questa ampiezza. Lo ricordava prima il relatore Paolo Beni: dire che su dieci ragazzi tra i quattordici e diciott'anni, nove sono iscritti a un social network non è poco, è dire che la loro cittadinanza si esercita anche lì e che quindi quel tema, la scuola, la società e anche il Parlamento, se lo devono assolutamente porre. D'altra parte, però, l'abbiamo detto tante volte anche qui dentro, essere nativi digitali non significa avere innata la capacità dell'utilizzo consapevole, responsabile, buono della rete. Qualche volta noi facciamo confusione, vediamo i nostri bambini e ragazzi alle prese con gli strumenti e le tecnologie, e pensiamo che siccome sono veloci, siccome sembrano saperli utilizzare fin dai primissimi passi, allora siano capaci anche a farne un uso consapevole. Non è così, e purtroppo i dati che prima venivano riportati dell'ISTAT, le notizie di cronaca, ci dimostrano che questo Paese invece ha bisogno di uno sforzo in più riguardo la consapevolezza dell'essere cittadini anche sul web. C’è però una cosa da aggiungere: Internet è un mezzo, un potentissimo mezzo, ma non più di un mezzo, che ha naturalmente reso più ampio e più diffuso qualche cosa che esisteva già, cioè il bullismo, la tendenza a scaricare sul più debole la forza del branco, la tendenza ad emarginare, a marginalizzare appunto e a offendere quello che è il punto debole di un gruppo. Spostando tutto questo sul web, la cosa è diventata più facile, più immediata, le condivisioni sono migliaia immediatamente e quindi la portata di un atto di bullismo diventa enorme, ma separare il cyberbullismo e il bullismo non si può perché Internet è un mezzo. Proprio perché qui non si vuole criminalizzare la rete, le cose stanno insieme, se avessimo voluto criminalizzare la rete non ci saremmo mai posti il problema di tenere insieme i due fenomeni. Invece, noi sappiamo che Internet è il mezzo con cui quel fenomeno, che già esiste, che ha a che fare con la nostra società, evidentemente anche con tanti comportamenti che nascono all'interno delle famiglie, che nascono nelle situazioni di disagio, diventa esponenzialmente più ampio. Quindi le due cose stanno insieme proprio per questo motivo e questo dimostra che le accuse di voler criminalizzare il web non hanno davvero alcun tipo di fondamento. 
Vengo alla scuola, perché purtroppo i dati ci dicono anche che molti di questi casi si verificano a scuola, nascono a scuola, dove si formano i gruppi, si formano anche i gruppi di bulli, e purtroppo i nostri giornali e telegiornali ci hanno raccontato tante volte come può capitare a un ragazzino di essere semplicemente emarginato e come questo invece può diventare poi purtroppo un dramma. Dico subito che strumentalizzare i drammi non va bene mai, quindi vorrei che qui, in quest'Aula, si portasse davvero rispetto a quei casi di cronaca che per noi sono casi di cronaca, per qualcuno hanno significato la perdita di un affetto fondamentale quindi la perdita di un pezzo dalla propria vita; quindi cerchiamo di tenerli fuori dalle polemiche di parte. Dicevo che questi casi nascono a scuola, ma si possono anche risolvere a scuola. Quello che ha dimostrato la campagna della Polizia di Stato, quello che hanno dimostrato tanti insegnanti, dirigenti scolastici e famiglie che hanno collaborato, è che, se si fa un percorso con i ragazzi, facendo entrare a scuola questo mondo, che, purtroppo, per troppo tempo abbiamo ritenuto invece di dover tenere fuori dalle porte delle nostre aule, allora, come si verificano a scuola, si possono anche risolvere all'interno della scuola. 
Questa legge sistematizza le buone pratiche: è esattamente quello che abbiamo sempre cercato di fare nel mondo della scuola, cioè, se, parlando ad un milione di studenti, la Polizia di Stato è riuscita a raggiungere dei risultati con «Una vita da social», è evidente che dobbiamo allargare quell'esperimento, è evidente che dobbiamo rendere possibile per tutti accedere a quel tipo di progettualità. E, quindi, da qui arriva l'idea delle linee di orientamento che il Ministero della giustizia, insieme al Ministero dell'istruzione, dovrà redigere ed aggiornare ogni due anni, da qui viene l'impegno serio alla formazione dei docenti, l'impegno serio a formare coloro che poi tutti i giorni hanno a che fare con questi problemi, perché noi spesso ci aspettiamo dai docenti che siano tuttologi di loro, perché giustamente hanno fatto un percorso di formazione per diventare insegnanti. 
Ma avere a che fare con questi fenomeni, invece, ci pone di fronte al problema di doverli formare ancora, di dover formare non solo loro stessi all'utilizzo consapevole di quegli strumenti, ma a poter aiutare i ragazzi a muoversi meglio e a poter aiutare i ragazzi anche per quanto riguarda il fenomeno del bullismo, accanto a quello del cyberbullismo. Stessa cosa vale per il docente referente, noi lo abbiamo sperimentato con l'animatore digitale: le due cose, in realtà, vanno insieme, aver voluto fortemente un Piano nazionale scuola digitale e parlare di cyberbullismo e di piano di contrasto al cyberbullismo anche a scuola. 
Un docente referente che si dovrà occupare in prima persona di fare da punto di riferimento all'interno del collegio dei docenti per quel che riguarda l'impegno della scuola nelle pratiche di contrasto. E, poi, il tema dell'informativa alle famiglie: qui la mia Commissione si è spesa perché fosse lasciata al dirigente scolastico l'autonomia di movimento rispetto a quello che accade all'interno della propria scuola. Noi siamo molto affezionati all'autonomia scolastica, crediamo nell'autonomia scolastica, abbiamo voluto una legge che la riconoscesse, e, anche in questo caso, crediamo che ai dirigenti, agli insegnanti, al personale scolastico tutto vada lasciata la possibilità di decidere come rivolgersi alle famiglie, come rivolgersi ai servizi sociali, come rivolgersi alle forze dell'ordine, cioè come costruire una comunità che davvero sia di supporto a questi ragazzi, che non vanno criminalizzati, ma vanno aiutati a capire la gravità di quello che fanno e aiutati a capire come si può uscire da quel tipo di comportamenti. 
Questo sono l'articolo 4 e l'articolo 4-bis di questa proposta di legge, che, a dire il vero, erano già presenti nella proposta della senatrice Elena Ferrara; un po’ modificati, ma erano presenti. C’è da dire che abbiamo inserito i riferimenti alla legge n. 107 del 2015, e li abbiamo inseriti perché lì c’è una cosa fondamentale, cioè i fondi. Da un lato, questo Governo ha investito un miliardo sul Piano nazionale scuola digitale, e dentro quel piano ci sono anche progettualità, progetti che riguardano l'uso consapevole della rete, e, dall'altro, ci sono 40 milioni per la formazione dei docenti. Quindi, i fondi per fare queste cose ci sono, sono in quella legge che all'interno di questa proposta a questo punto viene citata, e quindi abbiamo anche gli strumenti per poter fare quello che ci proponiamo di fare. 
Chiudo citando don Milani, perché, quando si parla di scuola e si parla di ragazzi, dobbiamo tenere presente che il grande problema della scuola, al netto di tutti quelli che ci sono – oggi, peraltro, è il primo giorno di scuola, quindi anche un giorno particolare per discutere di questo – non sono i problemi che prima venivano citati dai miei colleghi, che sicuramente esistono, ma sono i ragazzi che perde, e quei ragazzi di cui stiamo parlando oggi sono ragazzi che rischiamo davvero di perdere. Porci il problema, al di là delle strumentalizzazioni, di come invece aiutare questi ragazzi a sentirsi pienamente cittadini nel mondo «reale» e nel mondo «virtuale» allo stesso modo, significa fare fino in fondo il nostro dovere di legislatori. Mi auguro che il prosieguo della discussione vada in questo senso.