Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 14 Luglio, 2014
Nome: 
Michela Marzano

A.C. 360-A 

Relatore

Signor Presidente, il testo approvato dalla Commissione si basa sulla proposta di legge C.360 Garavini, alla quale sono state apportate talune modificazioni e integrazioni. 
In primo luogo, benché una proposta di testo base da ma presentata inizialmente in Commissione comprendesse tali materie, si è deciso di escludere dall'oggetto dell'esame le questioni del cognome dei coniugi e dell'attribuzione del cognome ai figli di italiani residenti all'estero. Si tratta, infatti, di materie che debbono essere trattate a parte, con un autonomo esame ed approfondimento. Occorre tenere conto, peraltro, che comunque la moglie oggi può continuare ad utilizzare il proprio cognome, per cui il problema è meno sentito ed urgente di quanto non lo sia quello del cognome dei figli. Disciplinare, invece, a livello nazionale l'attribuzione del cognome ai figli di italiani residenti all'estero può porre delle delicate questioni di diritto internazionale, come è emerso nel corso dell'audizione del direttore della Direzione centrale dei servizi demografici presso il Ministero dell'interno. Anche in questo caso, tuttavia, occorre considerare che la normativa secondaria disciplina l'istituto delle «correzioni» (articolo 98, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 396/2000), previsto espressamente per ovviare alle discrasie che possono sorgere in seguito all'attribuzione, al figlio di italiani residenti all'estero, di un cognome diverso da quello ad esso spettante secondo la legge italiana. 
Veniamo, quindi, all'esame dell'articolato approvato dalla Commissione Giustizia che, è bene ribadirlo, nasce da un'esigenza concreta e pressante, consentendo di allineare il nostro ordinamento a quello di altri Paesi a noi vicini per cultura e civiltà giuridica, oltre che ai pronunciamenti di organismi internazionali, che hanno ripetutamente richiesto al nostro Paese una maggiore coerenza con alcuni orientamenti già affermati a livello sovranazionale. 
Ad esempio, in Spagna, dove vige la regola del doppio cognome, composto dal cognome paterno e da quello materno, i genitori possono accordarsi sull'ordine dei cognomi da trasmettere ai figli. In Francia, egualmente, i genitori possono scegliere il cognome da dare ai figli tra quello paterno o quello materno o quello di entrambi nell'ordine da loro stabilito. In Germania, i genitori, a loro volta, possono dare ai figli il cognome di famiglia, se lo hanno definito, o, in caso contrario, attribuire loro il cognome del padre o quello della madre, in base alla loro scelta. In Inghilterra e in Galles, infine, i genitori possono decidere con assoluta libertà il cognome da attribuire al figlio, scegliendolo o tra quelli dei genitori o tra nomi diversi. 
E dunque, l'articolo 1 introduce nel codice civile l'articolo 143-quater, rubricato «Cognome del figlio nato nel matrimonio» che stabilisce, su accordo dei genitori, che sia attribuito al figlio al momento della dichiarazione di nascita presso gli uffici di stato civile: o il cognome del padre o il cognome della madre ovvero il cognome di entrambi, nell'ordine concordato (primo comma). 
Al mancato accordo consegue l'attribuzione, in ordine alfabetico, di entrambi i cognomi dei genitori. Scelta, questa, obbligata se non si vuole che la norma sia discriminatoria (prevedendo in astratto la priorità del cognome del padre o della madre) e se non si vuole ricorrere ad un criterio casuale di attribuzione del cognome quale sarebbe il sorteggio. 
I due ulteriori commi dell'articolo 143-quater stabiliscono: che i figli degli stessi genitori coniugati, registrati all'anagrafe dopo il primo figlio, portano lo stesso cognome di quest'ultimo (terzo comma), al fine evidente di evitare che nella stessa famiglia vi siano figli con cognomi diversi; che il figlio cui sono stati trasmessi entrambi i cognomi dei genitori può trasmetterne ai propri figli soltanto uno a sua scelta (quarto comma), al fine di evitare, in questo caso, una moltiplicazione di cognomi ad ogni nuova generazione.
Gli articoli 2 e 3 estendono, con i dovuti adattamenti, i principi del nuovo articolo 143- quater ai figli nati fuori dal matrimonio ed ai figli adottivi. 
L'articolo 2 del testo unificato riformula l'articolo 262 del codice civile, relativo al «Cognome del figlio nato fuori del matrimonio», dettando una diversa disciplina in ragione del momento del riconoscimento del figlio. 
Se il figlio è riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori, si applica la stessa disciplina appena illustrata del nuovo articolo 143-quater (articolo 1) per il figlio di genitori coniugati (primo comma). 
Mentre, come è ovvio, se il figlio è riconosciuto da un solo genitore ne assume il cognome (secondo comma), ove il riconoscimento da parte dell'altro genitore avvenga successivamente, come nel caso di paternità o maternità del secondo genitore riconosciute per via giudiziale, il cognome di questi si aggiunge al primo solo con il consenso del genitore che ha riconosciuto il figlio per primo nonché, se ha già compiuto 14 anni, del figlio stesso (terzo e quarto comma). 
L'articolo 262, quinto comma, c.c., prevede – nel caso di riconoscimento da parte di entrambi i genitori – che il genitore che abbia due cognomi possa trasmetterne al figlio soltanto uno, a sua scelta. 
Come evidenziato nel parere della I Commissione, questa disposizione appare distonica rispetto a quanto previsto dall'articolo 143-quater, quarto comma, secondo il quale è il figlio al quale è stato attribuito il cognome di entrambi i genitori (e non il genitore con due cognomi) a poterne trasmettere solo uno. 
Al fine di evitare differenze di disciplina suscettibili di determinare ingiustificate disparità di trattamento tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio, appare opportuno allineare la disciplina delle due disposizioni citate, sostituendo il quinto comma dell'articolo 262 con il seguente: «Al figlio al quale è stato attribuito il cognome di entrambi i genitori, si applica l'articolo 143-quater, quarto comma.» 
Estendendo la disciplina dell'articolo 143-quater c.c. viene, infine, stabilito che nel caso di più figli nati fuori dal matrimonio dagli stessi genitori, essi porteranno lo stesso cognome attribuito al primo figlio (sesto comma). L'articolo 3, comma 1, detta, anzitutto, una nuova formulazione dell'articolo 299 c.c., relativo al cognome dell'adottato maggiore di età. La nuova disciplina conferma come regola generale che l'adottato antepone al proprio cognome quello dell'adottante; nel caso in cui il primo abbia un doppio cognome, deve indicare quale intenda mantenere (primo comma). 
Se l'adozione del maggiorenne è compiuta da coniugi, diversamente da quanto ora previsto (ovvero l'assunzione del cognome del marito), gli stessi coniugi decidono d'accordo quale cognome attribuire al figlio adottivo (quello paterno, quello materno o entrambi, secondo l'ordine concordato) ai sensi dell'articolo 143-quater; in mancanza di accordo, si segue l'ordine alfabetico (secondo comma). 
Il comma 2 sostituisce l'articolo 27 della legge sull'adozione (L. 184/1983), relativo agli effetti dell'adozione sullo status del minore adottato. Superando l'attuale formulazione (ancora riferita all'acquisto di stato di figlio legittimo) il nuovo articolo 27 fa riferimento ora allo stato di figlio degli adottanti estendendo all'adottato, ai fini dell'attribuzione del cognome, la sopradescritta disciplina di cui all'articolo 143-quater c.c.. 
L'articolo 4 introduce una disciplina speciale sul cognome del figlio maggiorenne, comunque conforme alle previsioni dell'articolo 6 del codice civile che – sancendo il principio dell'immutabilità del nome (ovvero l'insieme di prenome e cognome) – precisa che «Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati». 
In particolare, si garantisce al figlio maggiorenne, cui sia stato attribuito in base alla legge vigente al momento della nascita il solo cognome paterno o materno, la possibilità di aggiungere al proprio il cognome della madre o del padre. Si prevede, a tal fine, una procedura estremamente semplificata, consistente nella dichiarazione resa presso gli uffici di stato civile personalmente o per iscritto (con sottoscrizione autenticata), dichiarazione che va annotata nell'atto di nascita. 
Condizione necessaria per il figlio nato fuori del matrimonio è che sia stato riconosciuto dal genitore di cui vuole aggiungere il cognome o che la paternità o maternità siano state giudizialmente dichiarate. Tale condizione è certamente implicita nel sistema, ma si è ritenuto comunque opportuno indicarla espressamente. 
L'articolo 4 precisa, infine, che nelle ipotesi indicate (aggiunta del cognome paterno o materno) non si applica la disciplina amministrativa necessaria per promuovere l'istanza relativa al cambiamento del nome e/o del cognome prevista dal tiolo X del Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile (decreto del Presidente della Repubblica 396 del 2000). 
Quest'ultima disciplina, alla quale sono sottese anche evidenti ragioni di sicurezza pubblica, prevede la presentazione di una domanda al Prefetto, l'affissione della stessa all'Albo pretorio del comune e la possibilità per chiunque vi abbia interesse ad opporsi a tale domanda. Disciplina che continuerà ad essere applicabile a chi intenda «modificare» (e, quindi, eventualmente sostituire) il proprio nome o cognome, ad esempio, perché ridicolo o vergognoso, perché rivela l'origine naturale o per altre ragioni (la cui fondatezza, pertanto, continuerà ad essere valutata dal Prefetto). 
La nuova procedura semplificata con domanda all'ufficiale dello stato civile sarà invece applicabile solo a chi intenda «aggiungere» al proprio il cognome del padre o della madre. 
In sostanza, l'aggiunta del cognome dell'altro genitore viene configurata come un diritto soggettivo pieno, che fa parte del più ampio diritto all'identità personale, inteso anche quale diritto a vedere rappresentata nel cognome tanto la discendenza paterna quanto quella materna. Dato che non si tratta di cambiare il nome o di sostituire il cognome di una persona, eventualmente scegliendone uno estraneo alla propria famiglia, ma solo di aggiungere il cognome di un genitore, le esigenze di sicurezza sono apparse particolarmente sfumate e si è ritenuto che la domanda potesse essere direttamente presentata all'ufficiale dello stato civile. Inoltre, la pienezza del riconoscimento di questo diritto soggettivo difficilmente si concilierebbe con una previsione che prevedesse l'affissione della domanda all'Albo pretorio e con la possibilità, per chiunque vi abbia interesse, di opporsi alla domanda medesima.  Tale disposizione, con riguardo ai figli nati dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina, ai quali sia stato scelto di attribuire il cognome di un solo genitore, consente, al compimento del diciottesimo anno, di aggiungere il cognome dell’ altro genitore. 
Occorre precisare che la disposizione ha anche una funzione «paratransitoria», perché riconosce ai figli nati prima dell'entrata in vigore della legge (rectius, dell'entrata in vigore del regolamento di cui all'articolo 5: cfr. articolo 7) la possibilità di aggiungere il cognome materno a quello paterno, sia pure al compimento della maggiore età. 
In tal modo, con questi tempi e limiti, ma tramite la semplice presentazione di una domanda all'ufficiale dello stato civile, si realizza un effetto analogo a quello che deriverebbe dall'applicazione della nuova disciplina, che consente, appunto, anche di attribuire al figlio due cognomi: quello del padre e quello della madre. 
Indubbiamente restano fuori dall'ambito di applicazione di questa disposizione tutta una serie di casi che potrebbero essere disciplinati solo da una vera e propria norma transitoria volta a consentire, come suggerito nel parere della I Commissione, l'applicazione della nuova disciplina anche ai genitori di figli minorenni. 
Nè potrebbe essere invocata, per i casi non disciplinati, la possibilità di modificare il cognome dei figli minorenni nati prima che sia divenuta efficace la nuova disciplina ricorrendo alla citata procedura di cui al titolo X del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, che non legittima espressamente i genitori del figlio minorenne a presentare la domanda al prefetto, bensì – dobbiamo ritenere- il figlio stesso una volta divenuto maggiorenne. 
Se considerato sotto il profilo della sua funzione «paratransitoria», dunque, l'articolo 4 non detta una soluzione esaustiva. È però una soluzione considerata «sostenibile», nel corso delle audizioni, dall'amministrazione che sarà chiamata a dare attuazione a questa legge. 
Il problema, tuttavia, permane e dovrà essere affrontato, tenendo conto anche del fatto che da una siffatta norma transitoria potrebbe derivare un numero elevato di domande, presentate dai genitori, per il cambiamento del cognome dei figli minorenni nati prima del momento in cui acquisterà efficacia la nuova disciplina e, quindi, dell'esigenza dell'amministrazione interessata a disporre di tempi adeguati per predisporsi sia sotto il profilo della normativa secondaria sia sotto il profilo strettamente organizzativo. 
Un ordine del giorno opportunamente formulato potrebbe rappresentare una soluzione adeguata. 
Tuttavia, nell'ambito del Comitato dei nove si potrebbe, ad esempio, valutare di proporre l'integrazione dell'articolo 7 (Disposizioni finali) con una disposizione che preveda un periodo transitorio delimitato da un termine di decadenza. L'amministrazione avrebbe così la possibilità di predisporre, in un primo momento, gli strumenti regolamentari più idonei e, poi, scaduto il predetto termine, potrebbe valutare il numero complessivo di domande presentate al fine di adottare le necessarie misure organizzative. 
Altra questione che si potrebbe affrontare nel contesto di una norma transitoria è quella delle famiglie con più figli, quando solo l'ultimo figlio sia nato dopo l'entrata in vigore della nuova normativa e ad esso sia stato attribuito un cognome diverso da quello dei fratelli nati precedentemente. In questo caso può sorgere l'esigenza di parificare il cognome di tutti i figli dei medesimi genitori. E una soluzione potrebbe essere rappresentata anche dalla possibilità, in deroga a quanto previsto dai nuovi articoli 143- quater e 262 del c.c. (secondo i quali i figli successivi portano lo stesso cognome del primo), di attribuire a tutti i figli il cognome dell'ultimo figlio, cioè di quello al quale il cognome sia stato attribuito in base alla nuova disciplina. 
L'articolo 5 prevede che con un regolamento attuativo da adottare con decreto del Presidente della Repubblica entro un anno dall'entrata in vigore del provvedimento in esame vadano apportate le conseguenti, necessarie modifiche ed integrazioni al regolamento sull'ordinamento di stato civile (il citato decreto del Presidente della Repubblica 396/2000). 
Consapevoli della complessità dell'applicazione pratica della nuova normativa si è ritenuto di fondamentale importanza aggiungere al corpus originario della proposta di legge Garavini anche una disposizione che prevedesse un'integrazione da parte della normativa secondaria, al fine di disciplinare, nel quadro generale predisposto dal provvedimento in esame, la complessità dei casi che si possono verificare in concreto. 
La disciplina regolamentare, ad esempio, potrebbe dettare norme che eliminino ogni eventuale dubbio interpretativo in relazione ai «cognomi composti», cioè quei cognomi formalmente doppi (o plurimi) che non derivino dalla mera somma dei cognomi dei genitori attribuiti in base alla normativa vigente in un dato periodo, ma che sostanzialmente valgano, per tradizione e nella loro inscindibile complessità ed unità, ad identificare una determinata famiglia. 
Ancora, ove mai sussistessero preoccupazioni relative alla pubblica sicurezza con riferimento alla procedura semplificata di cui all'articolo 4, il regolamento previsto dall'articolo 5 potrebbe, ad esempio, prevedere che le domande per l'aggiunta del cognome dell'altro genitore presentate ai sensi dell'articolo 4 siano comunque trasmesse al prefetto per le valutazioni di competenza e che, in caso di silenzio-assenso da parte del prefetto entro un determinato numero di giorni, l'ufficiale dello stato civile provvede all'annotazione. 
Queste ed altre questioni sono state tenute in debito conto nella formulazione dell'articolato. Si è ritenuto, tuttavia, occorre ribadirlo, di attribuire alla normativa di rango primario il solo compito di fissare i principi, lasciando alla normativa secondaria (e alla giurisprudenza) il compito di regolare la complessità del caso concreto. 
Tenendo conto delle esigenze organizzative dell'amministrazione che avrà il compito di dare attuazione alla nuova normativa (il Ministero dell'interno che, peraltro, è attualmente impegnato nel complesso compito di dare attuazione alla recente riforma in materia di filiazione) si è previsto il termine di un anno per l'emanazione del regolamento in questione. Per le medesime ragioni, l'articolo 7 condiziona l'applicazione dell'intera nuova disciplina introdotta in materia di cognome dei figli all'entrata in vigore del regolamento attuativo previsto dall'articolo 5 (che deve avvenire entro un anno dall'entrata in vigore della legge). 
L'articolo 6 prevede, invece, la clausola di invarianza finanziaria.