Discussione sulle linee generali - Relatore per la maggioranza per la II Commissione
Data: 
Lunedì, 20 Marzo, 2017
Nome: 
Walter Verini

A.C. 2188-A

 

Grazie, Presidente. Con il deputato Marco Di Maio, relatore per la I Commissione, ci siamo accordati per dividere sostanzialmente in due parti la relazione. L'Assemblea si trova oggi ad esaminare un provvedimento certamente importante, che riguarda un tema sensibile che attiene alla funzione della magistratura, ai principi costituzionali di indipendenza, autonomia e divisione dei poteri, al rapporto tra questi principi e il diritto all'elettorato passivo, alla possibilità, cioè, di svolgere un ruolo di servizio istituzionale senza fare venir meno, sia nella fase della candidabilità dell'eventuale elezione che del successivo ricollocamento – successivo al mandato – questi principi e quel ruolo e quella percezione di terzietà che una funzione come quella di magistrato deve intrinsecamente portare con sé.
  Ci sono state polemiche nei giorni scorsi, nei mesi scorsi, su presunti ritardi e lentezze della Commissione giustizia della Camera nel portare avanti questo provvedimento a suo tempo votato dal Senato, come se ci fosse stato qualcuno interessato a frenare il lavoro. Sono state polemiche strumentali, infondate, direi oggettivamente false, in quanto il provvedimento non è stato esaminato dalla sola Commissione giustizia, ma, in congiunta, da questa Commissione con la I Commissione (Affari costituzionali).
  Considerato che l'attacco si sostanziava nell'accusa di avere insabbiato il provvedimento, ritengo doveroso, quale relatore per la II Commissione (Giustizia), fare alcune considerazioni rapide, che non sono tanto indirizzate a difendere la presidente Ferranti, bersaglio di questi attacchi, ma l'insieme della Commissione giustizia e, sul punto, credo di interpretare anche il parere del correlatore, anche della Commissione affari costituzionali. Accusare la presidente della Commissione giustizia in merito all'andamento dei lavori relativi a questo provvedimento significa, di fatto, accusare un po’ tutti i componenti della Commissione, delle due Commissioni che hanno esaminato il provvedimento in sede referente, in quanto, come è noto, non è che un presidente di Commissione è in grado di bloccare un provvedimento.
Quindi, ridiamo senso alla realtà e via con queste strumentalizzazioni, anche perché si tratta di un provvedimento importante e delicato, ma chi lo ha agitato come fosse una emergenza, secondo me, lo ha fatto in maniera un po’ eccessiva, sbagliata, se in buona fede, strumentale, se per ragioni politiche. E basta guardare, del resto, lo voglio ricordare in questa sede, quale livello di produttività parlamentare hanno conosciuto, per esempio, la Commissione giustizia, la Commissione affari costituzionali nonché quest'Aula, o quanti provvedimenti di riforma della giustizia penale, civile, di lotta alla corruzione, di riforma del sistema carcerario sono stati portati avanti in questi anni e in questi mesi. A questo proposito noi auspichiamo, davvero, che diversi di questi provvedimenti, da molto tempo trasmessi dalla Camera al Senato, possano trovare una rapida approvazione, come è avvenuto, mercoledì scorso, con la riforma del processo penale. Quindi, altro che freni, altro che lentezze; la Presidente che ha guidato questo lavoro è stata accusata di volontà di frenare, boicottare questo provvedimento; beh, io lo dico qui: niente di più ingiusto, la presidente Ferranti non ha bisogno di difensori, tanto più davanti ad accuse inconsistenti, però, credo sia giusto dare atto a lei di una grande correttezza, di uno stile istituzionale rigoroso e di un totale disinteresse personale. Lo stesso devo dire anche per un altro componente della Commissione giustizia, un altro magistrato, Stefano Dambruoso, che ringrazio per il contributo importante e discreto che ha dato.
  Il provvedimento, come dicevamo, è davvero delicato, importante, ed è giusto, finalmente, che le Camere possano vedere probabilmente la luce, l'esito dello stesso. Io penso che, rispettando l'impianto già votato dal Senato, le Commissioni congiunte lo abbiano migliorato, tenendo insieme, perché di questo si tratta, i princìpi intangibili che all'inizio richiamavo, cioè quelli della rappresentanza e del diritto alla garanzia costituzionale dell'elettorato passivo con quelli dell'autonomia, indipendenza e terzietà della magistratura. Il punto di riferimento che ci ha guidato è stato: la Costituzione, l'articolo 51 in materia di diritto di elettorato passivo dei cittadini che stabilisce, al terzo comma, che colui che è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il posto di lavoro o l'articolo 75 che introduce una riserva di legge per l'individuazione dei casi di ineleggibilità e incompatibilità con l'ufficio di deputato o senatore, per cui spetta al legislatore ordinario specificare il diritto riconosciuto dalla Costituzione e i limiti previsti, affinché i cittadini che svolgano qualsiasi funzione o professione possano esercitare il loro diritto di elettorato passivo. Il provvedimento si colloca proprio su questo piano; del resto lo stesso testo unico del 1957 ha introdotto un criterio di ineleggibilità relativa per i magistrati; un testo secondo cui il magistrato non è in assoluto ineleggibile, non può soltanto candidarsi, a pena nullità delle elezioni, nell'ambito del territorio di esercizio delle funzioni nei sei mesi antecedenti l'accettazione della candidatura. La Corte costituzionale ha precisato che l'intento del legislatore è stato quello di impedire che i titolari di determinati uffici pubblici possano valersi dei poteri connessi alla loro carica per influire indebitamente sulla competizione elettorale, nel senso di alterare la par condicio tra i vari concorrenti, attraverso la possibilità di esercitare una captatio benevolentiae o un metus pubblicae potestatis nei confronti degli elettori. Insomma – e mi avvio a concludere, Presidente –, lo scopo perseguito nell'esaminare il testo trasmesso dal Senato è stato proprio quello di garantire, da un lato, ai magistrati il diritto all'elettorato passivo, nei medesimi termini che la Costituzione riconosce a tutti i cittadini indistintamente, e, dall'altro, di scongiurare il rischio che attraverso la partecipazione alle competizioni elettorali, e in caso di elezioni, lo svolgimento della funzione parlamentare possa essere utilizzato in maniera contrastante con quei principi.
  Rispetto al testo del Senato è stata allargata la platea dei livelli istituzionali interessati che vanno dal Parlamento europeo a quello nazionale, dalle regioni alle città metropolitane, fino alle province, ai comuni e alle circoscrizioni e, naturalmente, abbiamo, inequivocabilmente, rafforzato il concetto della disciplina transitoria, richiamando apertamente il principio dell'efficacia ex post del provvedimento, cioè dopo la sua entrata in vigore.
  Comprendiamo sinceramente, perché sono posizioni legittime, coloro che nel dibattito hanno espresso posizioni restrittive circa la possibilità dei magistrati di ricoprire ruoli nei livelli istituzionali e far parte di gruppi parlamentari o consiliari. Comprendiamo tali posizioni, ma non le condividiamo, anche perché, secondo noi, contrastano con la Costituzione. Salvaguardando questi principi costituzionali è nostra convinzione che vadano salvaguardati anche quelli della rappresentanza e dell'elettorato passivo, anche perché c’è bisogno di competenze diversificate, di esperienze diverse e, spesso, la stessa presenza dei magistrati – ho detto che è un problema delicato e importante – però, diciamolo, è stata un po’ enfatizzata, la realtà è diversa. In tutto l'attuale Parlamento i parlamentari che vengono dai ruoli della magistratura si contano sulle dita di una mano; di questo si parla, è giusto ribadirlo, a fronte, per esempio, della presenza di 118 impiegati o dirigenti, 113 docenti e insegnanti, 101 dirigenti pubblici, 100 avvocati o 66 giornalisti, categoria alla quale appartengo anch'io. Va detto, anche, che l'enfasi data al tema nel dibattito politico e nella polemica giornalistica è stata aiutata, indubbiamente, dal manifestarsi di casi che negli ultimi vent'anni hanno visto qualche esponente della magistratura assumere un marcato ruolo politico, assumendo posizioni e sostenendo polemiche su temi legati a fenomeni di cui essi stessi si erano occupati, per le parti di rilievo penale, da magistrati; esponendosi, quindi, a critiche e polemiche, a volte, giuste e, a volte, esse stesse strumentali.
  Detto questo, consideriamo importante, come dicevo, vista la delicatezza assoluta del ruolo di magistrato, avere introdotto elementi di ulteriore garanzia, perché ci siano, davvero, forme di soluzione e di continuità tra l'esercizio del ruolo di magistrato negli uffici giudiziari, l'eventuale candidabilità ed eleggibilità e garanzie analoghe circa il tema del ricollocamento. La soluzione che viene in Aula, quindi, ci sembra seria ed equilibrata, non punitiva per chi sceglie, per una fase, di servire lo Stato in forme diverse da quelle interne all'ordinamento giudiziario, né priva di paletti, senza i quali autonomia, indipendenza e terzietà rischierebbero di non esserci e di non essere percepite. Per questo, allo stesso modo, non abbiamo condiviso altre posizioni opposte rispetto a quelle che richiamavo, più restrittive, emerse in Commissione, come quelle di chi, quasi, non avrebbe voluto nessun elemento di garanzia, nessun periodo di decantazione; garanzie non tanto per i magistrati, quanto per i cittadini che quando vengono inquisiti o giudicati da un magistrato debbono essere certi dell'autonomia e dell'indipendenza dello stesso. Questa autonomia e questa indipendenza, lo ripeto, la debbono anche percepire. Lo diceva, se non ricordo male, in un'intervista che condivido, l'ex giudice Gherardo Colombo. L'esigenza quindi – e concludo davvero – di garantire questa percezione non può tradursi, la Costituzione lo impedirebbe, in una sorta di ineleggibilità di fatto dei magistrati, ma in una disciplina equilibrata dell'incandidabilità di costoro che, in primo luogo, deve essere estesa alle elezioni europee e alle elezioni amministrative, elevando da sei mesi a cinque anni il periodo in cui il magistrato non deve aver prestato servizio nel territorio di riferimento della circoscrizione elettorale. La nuova disciplina deve poi regolare in maniera omogenea il rientro dei magistrati candidati eletti e non eletti e con incarichi di governo, anche con riferimento alle giurisdizioni superiori.
  È per questo insieme di considerazioni, in questa prima parte di relazione, che, come dicevo, consideriamo il testo un punto serio ed equilibrato che l'Aula potrà, quindi, esaminare con la medesima serietà e con il medesimo equilibrio.