A.C. 2423-A e abbinate
Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi e colleghe, mi spiace l'assenza del Ministro che è promotore di questo provvedimento e mi permetto, tramite lei Presidente, di interloquire come se il Ministro fosse presente, pur ringraziando la Sottosegretaria Siracusano di essere qui a sostituirlo, perché la responsabilità chiara di questo provvedimento è tutta in capo a lui. Questo provvedimento arriva in quest'Aula al termine di un lungo percorso in Commissione istruzione e cultura, che ha visto molte discussioni, soprattutto molte audizioni, che a un certo punto addirittura la maggioranza ha anche cercato di stoppare.
Nel corso di quegli incontri è emerso con chiarezza che l'educazione alla sessualità e all'affettività costituisce un dovere dello Stato, un diritto degli studenti e delle studentesse e un primario strumento di prevenzione della violenza contro le donne e delle discriminazioni, come del bullismo omofobico. Viviamo nell'era dei dati e la responsabilità di noi legislatori è quella di dare risposte ai bisogni dei cittadini attraverso norme che siano le più efficaci ed appropriate. Dunque abbiamo una grande quantità di dati, che ci presentano una realtà oggettiva, e poi abbiamo la loro interpretazione, oppure la loro strumentalizzazione per ideologia politica, che può portare a soluzioni diverse. E qui interviene la scelta politica.
In questo Paese, ogni anno vengono uccise circa 110 donne dai propri ex compagni o compagni, mariti o ex mariti, fidanzati o ex fidanzati: persone alle quali hanno voluto bene, padri dei loro figli nella maggior parte dei casi. Si dovrebbe dunque intervenire su questa piaga sociale attraverso le azioni previste dalla Convenzione di Istanbul, sottoscritta da questo Paese e ratificata, che prevede prevenzione, protezione delle vittime e punizione del colpevole. Eppure, in Italia, questo Governo soprattutto agisce esclusivamente sulla parte punitiva e tra due settimane saremo in quest'Aula ad approvare definitivamente il reato di femminicidio, così come voluto dalla Premier Meloni, che costituisce - sì, certo - un tassello culturale molto chiaro, riconoscendo la matrice di odio e di discriminazione culturale che stanno alla base di un reato di questo tipo, cioè l'uccisione di una donna in quanto donna che manifesta una sua azione di libertà, ma che interviene quando lei ormai è morta e che non agisce, in nessun modo, in termini di prevenzione.
Sì, perché il Governo si ostina a negare ogni azione educativa in chiave preventiva, che è invece quella primaria. Ce l'hanno detto tutti. Ho l'onore di far parte della Commissione bicamerale sul femminicidio e la violenza di questo Parlamento e tutti, tutti, tutti i soggetti auditi in questi tre anni ci hanno detto che bisogna lavorare in termini di prevenzione. La prevenzione si fa con l'educazione: una cultura del rispetto della parità, della non discriminazione, di superamento degli stereotipi che stanno alla base del disequilibrio di potere nella nostra società e su cui si alimenta la violenza stessa. Tutto questo, dunque, è preceduto dall'approvazione di un provvedimento, quello odierno, che ostacola nella formazione verso questa prevenzione: ostacola i nostri giovani, anziché formarli come i loro coetanei, dando loro la possibilità di saper gestire le relazioni affettive e sessuali per essere loro stessi più felici e capaci di gestire le proprie emozioni, - possiamo dire? - prima ancora che per contrastare la violenza contro le donne e il bullismo. Vengono lasciati soli, invece, a imparare tutto questo dal web e dai social, perché i dati, signore e signori, quelli che voi vi rifiutate di analizzare, ci dicono che gli adolescenti, ma soprattutto i preadolescenti, sono in balìa degli strumenti digitali, dai quali apprendono una chiave di relazioni che è spesso abusante, predatoria, violenta.
Vi voglio leggere due dati della ricerca di Save the Children che ci dice come ben il 20 per cento delle adolescenti condivide la propria password e accetta di essere geolocalizzata con il proprio compagno: il 30 per cento delle ragazze pensa che gelosia sia amore e non possesso; il 91 per cento dei genitori - stiamo parlando di ricerche fatte da Save the Children sul campo ricerca-azione - pensa che fare educazione a scuola con esperti sia condivisibile e necessario; il 47 per cento degli adolescenti usa video online per informarsi sulle relazioni.
Oggi voi volete negare l'evidenza se pensate che mettendo in discussione la credibilità, l'autorevolezza e la serietà del personale scolastico e della sua capacità anche di scegliere i soggetti professionisti spesso delle aziende sanitarie pubbliche o dei centri antiviolenza, di chi cioè è in prima linea tutti i giorni, e non fidandovi di quegli adulti professionalizzati, perché spetta solo alle famiglie parlare di questo, non state solo ledendo il diritto di quei giovani ad avere un'istruzione pubblica uguale per tutti e libera dal condizionamento familiare, ma state anche rappresentando una realtà che non esiste.
La verità è che in 20 su 27 Paesi europei l'educazione sessuale è obbligatoria e che l'Italia è in compagnia di Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania nel non aver invece fatto questo passo. E oggi non solo non andate a colmare quel gap, ma state andando addirittura nella direzione opposta rispetto a quella: a quella che è una giusta educazione sessuale e affettiva come dovere dello Stato - ripeto -, diritto delle studentesse e degli studenti e uno strumento primario di prevenzione della violenza, da inserire nelle attività curricolari.
Se questa proposta di legge già nel suo testo originario andava, dunque, a ledere il rapporto equilibrato scuola-famiglia, con un tentativo di condizionare il ruolo pubblico della scuola attraverso quello privato della famiglia, se privava i ragazzi e le ragazze del godimento pieno del diritto a un'istruzione libera e incondizionata dalle proprie origini, se già privava i piccoli - i più piccoli - di un'informazione adeguata alla loro età come nella maggior parte dei Paesi europei, nell'ottobre scorso, all'improvviso, in sede di discussione del testo arriva, come un fulmine a ciel sereno, un emendamento che addirittura vieta di parlare di sesso e di educazione sessuo-affettiva alle scuole secondarie di primo grado, quelle che una volta chiamavamo scuole medie.
Davvero chiedo al Governo: non si è capito perché il mondo si è rivoltato in questo Paese, non certo la sinistra faziosa o le associazioni LGBTQ+, rispetto a questa assurda proposta: famiglie, cittadine e cittadini, associazioni, insegnanti, educatori di ogni tipo, ordini professionali? Perché lei, Ministro, con questo provvedimento si assume una responsabilità gravissima, che è quella di nuocere ai giovani e alle giovani di questo Paese, ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze, a quei cittadini e a quelle cittadine che lei dovrebbe rappresentare e tutelare. Dov'è il supremo interesse del minore, se lei vieta ai minori un'educazione pubblica doverosa che li possa preparare a farsi un pensiero critico, a costruirsi le competenze e le capacità relazionali per rapporti affettivi corretti e rispettosi nella loro vita? Lo sa, Ministro, che la maggior parte delle 110 donne uccise all'anno in questo Paese da persone che avevano amato sono madri? Lo sa che la maggior parte di quei figli hanno visto, vissuto, assistito alla violenza del padre sulla madre? E lei li vuole privare anche della possibilità di capire, di avere occasioni per uscire allo scoperto, per dirlo a qualcuno, magari con canali di interlocuzione come quelli scolastici, come ci ha detto Telefono Rosa? Lo sa che la maggior parte di questi studenti, che vivono in queste famiglie, ha la scuola come unico strumento di salvezza: salvezza per sé, il proprio futuro e, magari, anche per le proprie madri? Lo sa che mentre lei impedisce a questi giovani e all'universalità dei ragazzi italiani di formarsi un'idea loro lo fanno sul web e sui social? Li ha visti i dati? Si è confrontato con i professionisti: quelli che ogni giorno lavorano con i giovani e le giovani, i docenti, i sanitari, gli psicologi? Si è confrontato con i giovani stessi? Lo sa quanto forte è la loro domanda di educazione sessuo-affettiva?
Lo sa quale effetto ha determinato, tra tutti i femminicidi, quello di Giulia Cecchettin, che domani conterà due anni? Sì che lo sa, perché lei stesso ha siglato un Protocollo per l'educazione antiviolenza nelle scuole con la Fondazione Cecchettin. E allora perché, in aperta contraddizione e incoerenza, oggi si vuole assumere questa responsabilità di abbandonarli alla cultura della sopraffazione del web sui social? Quella abusante, violenta, predatoria, prevaricatrice. Li ha visti i siti della violenza digitale? L'odio e la violenza, l'incitamento allo stupro, la diffusione delle immagini sessualmente esplicite? Possiamo chiudere gli occhi e dire che non ci riguarda, se ne devono occupare le famiglie? Lei così viene meno, a mio avviso, a un suo preciso dovere formativo dei giovani italiani e delle giovani italiane che consenta loro di essere forti e preparati alle relazioni che costruiranno, alla consapevolezza delle malattie sessualmente trasmissibili, al rischio delle gravidanze precoci, al rispetto del corpo e dei sentimenti propri e altrui, al fatto che il possesso non è cura e all'accettazione che le relazioni possano anche finire senza che debba finire anche la vita delle donne. Questa è educazione alla cittadinanza, non solo la conoscenza della Costituzione. Costituzione che, tra l'altro, prevede - lo sappiamo - l'autonomia della scuola e la libertà di insegnamento. Se, come spero, andrete a correggere l'infamia più grande introdotta da quell'emendamento che vieta di parlare di sessualità nella scuola media, con quel che rimane - e cioè il divieto comunque nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria e il consenso delle famiglie per le scuole superiori - avrete comunque fatto intraprendere a questo Paese la via opposta a quella dei Paesi europei più avanzati, dove l'educazione sessuale è obbligatoria e, anziché colmare quella distanza, costringerete la società italiana alla retroguardia culturale violando, tra l'altro, gli stessi impegni internazionali che il nostro Paese ha assunto e ratificato, come la Convenzione di Istanbul, la CEDAW, l'OMS, l'UNESCO.
Mi sono chiesta perché questo Governo voglia passare alla storia come quello che ha portato la scuola italiana al passato. Eppure, le linee guida sono già state chiare in questo. Ma, in questo caso, perché si vuole passare alla storia come quelli che hanno impedito ai giovani e alle giovani italiane di formarsi una cultura e una competenza per assecondare le posizioni ideologiche di alcune, pochissime associazioni ultraconservatrici che perseguono il primato, se non l'esclusiva della famiglia, su questi temi? Ma l'alleanza scuola-famiglia - e lo dico con la convinzione di chi fa insegnamento da tanti anni - si basa proprio sulla conoscenza reciproca, sulla condivisione e la collaborazione. Lo dicono i documenti che vengono firmati: il Piano dell'offerta formativa e i documenti di collaborazione tra scuola e famiglia.
Ma lo sapete che perfino il sinodo dei vescovi italiani vi ha sorpassati in curva su questo? Pensate, loro sanno vedere la società italiana meglio di voi per quelli che sono i bisogni veri della società italiana. E allora, vi leggo che cosa dice l'ultimo documento approvato solo il 25 ottobre scorso dalla terza Assemblea sinodale dei vescovi. A pagina 22 dice che “le Chiese locali, superando l'atteggiamento discriminatorio a volte diffuso negli ambienti ecclesiali e nella società” - guarda un po'- “si impegnano a promuovere il riconoscimento e l'accompagnamento delle persone omoaffettive e transgender, così come dei loro genitori, che già appartengono alla comunità cristiana”. Oh perbacco, i vescovi non hanno paura di riconoscere la realtà. Voi, invece, agitate ancora il fantasma gender dopo tanti anni: scusate, non vi crede proprio più nessuno.
E ancora. Il documento dei vescovi dice che le Chiese locali - le Chiese locali! - devono avviare, “almeno a livello interdiocesano o di regione ecclesiastica, équipe che valorizzino le buone prassi pastorali già in atto e che coordinino nuovi percorsi di formazione alle relazioni e alla corporeità-affettività-sessualità - anche tenendo conto dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere - soprattutto di preadolescenti, adolescenti e giovani e dei loro educatori”. Eh beh, scusate, andiamo tutti a lezione dai vescovi così poi, forse, possiamo portare nella scuola i vescovi a fare questi percorsi che si sono dati come obiettivo nel loro ultimo documento.
Allora scusatemi, mi rivolgo ancora al Ministro che non c'è tramite, ovviamente, il Presidente della Camera. Allora mi chiedo, Ministro: ma lei sta facendo un provvedimento contro la Costituzione, ignorando il dovere dello Stato alla piena e libera educazione? Lo fa contro gli interessi dei bambini e delle bambine e dei ragazzi e delle ragazze italiani, ledendo il loro diritto soggettivo universale alle competenze di una cittadinanza consapevole; umilia la scuola pubblica; ostacola le azioni di prevenzione della violenza sulle donne e del bullismo omofobico, reali e digitali; viola gli accordi internazionali. Si assume, insomma, tutte queste responsabilità non certo degne del suo mandato istituzionale per cosa? Lei condanna un intero Paese all'analfabetismo relazionale e al perpetuarsi di comportamenti potenzialmente scorretti, violenti e discriminatori, come sono già oggi molti, perché? Non mi è chiaro, e nemmeno agli italiani e alle italiane, mi creda. Ma a voi, invece, sono chiare le conseguenze nefaste di quelle mancate azioni educative? Certo, quello di oggi passerà alla cronaca come uno dei provvedimenti più bui della storia culturale delle istituzioni di questo Paese. Io credo che serva, invece, coinvolgere nel processo educativo anche le famiglie, perché pure gli adulti esprimono forte la domanda di competenze: vogliono sapere come rispondere ai propri figli e ai propri studenti in modo corretto per non nuocere ma essere essi stessi costruttivi nei confronti delle persone in età evolutiva. C'è tanta ricerca su questo in Italia, ricerca e studio scientifico che sono mancati nel dibattito parlamentare, nella produzione di questa iniziativa di legge sicuramente. Sono stati del tutto ignorati e direi umiliati dall'Accademia i diversi ordini professionali di cui dovremmo essere, invece, orgogliosi tutti. Ho sempre pensato che, come legislatori, ci dovremmo giovare di quelle competenze per fare le leggi migliori, non ignorarle per assecondare pregiudizi ideologici. Ai fantasmi del gender che agitate, ripeto, non crede più nessuno.
La scienza è stata strumentalmente tenuta lontana da questo dibattito parlamentare. Io, nel mio piccolo, da assessora della provincia autonoma di Trento ho potuto offrire questa educazione nelle scuole di ogni ordine e grado del mio territorio con grande successo e soddisfazione di minori e adulti, perché la comunità educante tutta deve dialogare e confrontarsi con competenza su questo. Consenso e controllo, abuso digitale e competenze servono a tutti. Noi dobbiamo tutelare l'interesse dei minori e il loro benessere. Il rispetto della scuola, Ministro, che ci spetterebbe e spetterebbe soprattutto a lei.