Discussione generale
Data: 
Mercoledì, 7 Luglio, 2021
Nome: 
Enza Bruno Bossio

A.C. 522​-615​-1320​-1345​-1675​-1732​-1925​-2338​-2424​-2454-A

Signor Presidente, signora sottosegretaria, onorevoli colleghe e colleghi, oggi arriva finalmente in Aula la discussione sulla proposta di legge sul superamento del divario retributivo tra donne e uomini, ovvero l'approvazione, nelle prossime ore, della legge sulla parità salariale. Credo che questo sia un grande risultato di tutta l'Aula, di tutti i gruppi parlamentari, delle deputate e dei deputati e, in particolare, voglio anch'io riconoscere come la collega Boldrini, la forte tenacia della relatrice, onorevole Gribaudo.

L'obbligo di garantire la parità delle retribuzioni è sancito dall'articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che vieta la discriminazione basata sul sesso in materia di remunerazione per uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, e dalla direttiva n. 54 del 2006, che riguarda proprio l'attuazione del principio delle pari opportunità.

Ed è di qualche settimana fa la nuova direttiva della Commissione europea, la n. 93 del 2021, che prevede, da parte dell'Unione europea e dei Paesi membri, l'adozione di misure in materia di trasparenza retributiva, per garantire pari retribuzione a donne e uomini che svolgano lo stesso lavoro; ed è esattamente quello di cui stiamo discutendo oggi. D'altra parte, la direttiva n. 93 è attuativa della strategia dell'UE per la parità di genere 2020-2025 che stabilisce, attraverso le parole della Presidente Ursula von der Leyen, la parità di genere come valore cardine dell'Unione europea, che rispecchia la nostra identità ed è la condizione essenziale per un'economia europea innovativa, competitiva e prospera. Questa strategia, dunque, è fondata su una visione di un'Europa in cui donne e uomini, ragazzi e ragazze, con tutte le loro diversità, siano liberi da violenze, ma siano soprattutto liberi da stereotipi e abbiano l'opportunità di realizzarsi anche in ruoli di responsabilità. Non è un caso che il nostro PNRR affronta il tema del superamento dei tre gap del nostro Paese: giovani, donne e Mezzogiorno. Allora, possiamo dire che le giovani donne meridionali dovranno essere le principali beneficiarie e protagoniste di un cambio di modello di sviluppo da realizzarsi nel prossimo decennio attraverso gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e residenza. Ma perché nasce oggi l'esigenza di una normativa più stringente, nonostante il diritto alla parità di retribuzione sia riconosciuto nell'Unione europea ed è scritto, come hanno ricordato le colleghe, nella nostra Carta costituzionale all'articolo 3 e all'articolo 37? Purtroppo, l'effettiva attuazione di questo principio continua a incontrare ostacoli e non solo in Italia, come dimostra il dato sul divario retributivo di genere nell'Unione europea, in base al quale le donne guadagnano, in media, il 14,1 per cento in meno all'ora rispetto agli uomini - ma questo dato non è completamente esaustivo ed è un dato del 2019 - e come conferma il Global Gender Gap Report 2021del World Economic Forum. Il report - lo hanno detto anche altri - pone l'Italia al 76° posto su 153 Paesi, ma al 17° su 20 Paesi europei, davanti soltanto a Grecia, Malta e Cipro. Quindi, il differenziale tra le retribuzioni non è un fatto meramente finanziario ed economico ma determina ripercussioni sulla qualità della vita delle donne; le espone a un maggior rischio di povertà e, soprattutto, perpetua quel divario retributivo, anche pensionistico che, in questo caso, è ancora più alto rispetto a quello salariale. Ecco perché le modifiche all'articolo 46, che vanno ad affrontare la questione già spiegata molto bene dalla relatrice: la mancanza di trasparenza salariale impedisce alle lavoratrici di sapere in che modo la loro retribuzione sia raffrontabile con quella dei colleghi che svolgono lo stesso lavoro e, non disponendo di queste informazioni, non sono in grado di sapere se siano remunerate conformemente al diritto della parità di retribuzione. Dunque, abbiamo il dovere di modificare la normativa e lo stiamo facendo, anche con una legge che è più avanzata delle stesse indicazioni europee. Infatti, questa modifica della normativa, con una riduzione di 1 punto percentuale rispetto al divario retributivo, comporta un aumento del PIL dello 0,1. E se sarà attuata la normativa che stiamo proponendo, la riduzione complessiva di 3 punti percentuale comporterebbe una forte diminuzione del rischio di povertà, soprattutto per le famiglie monoparentali, l'85 per cento delle quali è rappresentato dalle donne. Tuttavia, c'è una domanda che ci dobbiamo porre: quali sono le cause strutturali che determinano questi divari retributivi? Innanzitutto, c'è la segregazione nell'istruzione e nel mercato del lavoro, una segregazione orizzontale, ovvero la concentrazione di un solo genere in determinati settori professionali, e una segregazione verticale ovvero la concentrazione di un solo genere in determinati gradi e livelli di responsabilità o posizioni.

Secondo la Commissione europea, il 30 per cento del divario retributivo di genere è spiegato dalla sovrarappresentazione delle donne in settori a bassa retribuzione, come l'assistenza e l'istruzione, mentre la percentuale di dipendenti maschi è molto alta, oltre l'80 per cento, nei settori meglio retribuiti, in particolare nelle cosiddette professioni STEM. E questo avviene, nonostante le laureate superino i laureati nell'Unione europea, ma il cosiddetto soffitto di cristallo blocca le promozioni delle donne rispetto agli uomini che, di conseguenza, vengono pagati di più. Ma le donne non guadagnano soltanto di meno all'ora; svolgono anche meno ore di lavoro retribuite rispetto agli uomini. Sul mercato del lavoro si riflette questa differenza: solo l'8,7 per cento degli uomini nell'Unione Europea lavora part time, mentre lo fa quasi 1/3 delle donne. Si consideri, inoltre, che la pandemia - l'abbiamo detto tutti - ha colpito, in modo particolare, le lavoratrici: le donne più degli uomini svolgono lavori interinali, a tempo parziale, precari; sono più soggette alla perdita del posto di lavoro. Del resto, come dimenticare quel dato inquietante che grida vendetta, evidenziato dall'Istat, secondo cui, su 101 mila posti di lavoro in meno, ben 99 mila posti riguardano le donne. La pandemia, dunque, ha esacerbato le disparità esistenti tra donne e uomini in quasi tutti gli ambiti di vita, in Europa e nel resto del mondo, con il rischio di segnare un arretramento rispetto alle conquiste del passato. Le donne si sono fatte carico di una quota di responsabilità, anche in seguito alla chiusura delle scuole e dei servizi di sostegno, e hanno incontrato maggiori difficoltà a reinserirsi nel mercato del lavoro.

Ricordiamo che le donne hanno dedicato, in media, con questa pandemia, 62 ore alla settimana alla cura dei figli, rispetto alle 36 ore degli uomini, e 23 ore a settimana ai lavori domestici.

Ecco perché nel nostro Paese ancora il tempo delle donne rimane un ammortizzatore sociale a costo zero, per il quale non ci sono né ristori né supporti.

Allora, qui c'è una delle questioni strategiche da risolvere, per affrontare in pieno la parità di genere e affrontare quell'equivoco di fondo, che ancora oggi qualcuno continua a riproporre con politiche inefficaci. Qui non si tratta di favorire la conciliazione tra lavoro e cura dei figli solo a carico delle donne: l'obiettivo da raggiungere non è la conciliazione, ma la condivisione della cura (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), la condivisione genitoriale della cura.

Ma c'è un'altra prospettiva - e finisco - che ugualmente merita di essere evidenziata: l'ascesa di un nuovo paradigma della parità di genere, fondata sulla rilevanza dell'occupazione femminile specialmente in ambiti produttivi, quali quelli STEM. Entro il 2024, le imprese avranno bisogno di circa un milione e mezzo di occupati in possesso di competenze digitali; quasi un'azienda su quattro, però, non trova profili STEM di cui ha bisogno. La rivoluzione tecnologica che il mondo sta attraversando richiede persone istruite e specializzate, però, finora, la popolazione femminile si sta trovando in grande parte esclusa da questo cambiamento epocale. Il divario economico di genere dipende, come dice il World Economic Forum, principalmente dalla sottorappresentazione diffusa e sistematica delle donne nei ruoli e nelle competenze emergenti, che sono proprio quelle STEM, che non a caso danno accesso a lavori che hanno un tasso di occupazione e anche di retribuzione più alto.

Ma c'è un punto importante. Questo rapporto evidenzia pure che il settore lavorativo, dove però le donne sono maggiormente valorizzate, è proprio quello delle competenze digitali, cioè sono poche, ma è quello dove le donne sono più valorizzate, tant'è che, nella loro minoranza, guadagnano più degli uomini. Quindi, questo ci spinge a ritenere che c'è qualcosa che può segnare una svolta sul gender balance. Infatti, se è vero che la transizione digitale si gioca sul terreno della diffusione e del rafforzamento delle competenze delle giovani donne - il PNRR investe molto su questo -, è altrettanto vero che proprio in questi ambiti disciplinari le donne sono più valorizzate e, quindi, possono acquisire più potere nella società.

D'altra parte, già nel 2017, uno studio di Accenture, che ha analizzato a livello mondiale la situazione accademica e lavorativa di oltre 20.000 soggetti di entrambi i sessi in 29 Paesi, affermava: se l'Italia saprà adottare il digitale in ambito lavorativo e le donne sapranno diventare abili nei settori tecnologici, nel 2049 si potrebbe colmare il divario tra salari di uomini e donne a parità di lavoro. Vi sembra una data lontanissima? Ebbene, senza questo investimento sulle competenze sul digitale, la data si sposta al 2091. Per questo ha ragione - lo cito anch'io - il Presidente del Consiglio, quando dice che i Governi possono fare di più per aumentare il numero di donne nella scienza e nei settori correlati in rapida crescita. Siamo ancora lontani dal raggiungere una reale parità di genere, ma le decisioni che assumiamo oggi determinano la nostra società in futuro. Sta a noi dare potere a una nuova generazione di donne e costruire così un mondo migliore e più equo.

Le donne, dunque, possono essere le migliori interpreti di questo nuovo modello di sviluppo, per seppellire definitivamente ruoli e stereotipi e riaprire il cuore e la mente verso un lavoro, in prospettiva separato dalla sopravvivenza, per sviluppare creatività e talenti. Sarà la forza delle “bambine ribelli” - prendo in prestito la definizione di Francesca Cavallo ed Elena Favilli - che cambierà ancora una volta in meglio il corso della storia.