Data: 
Mercoledì, 22 Aprile, 2015
Nome: 
Michela Marzano

A.C. 831-B

Grazie, signora Presidente. Colleghe, colleghi, rappresentanti del Governo, finalmente ci siamo: oggi anche in Italia i tempi per ottenere il divorzio si accorciano notevolmente, e votiamo oggi una norma per la quale sono stati necessari ben dodici anni, visto che è nel 2003 che fu presentato per la prima volta un progetto di legge per arrivare al divorzio breve. Certo, le cose si sarebbero potute fare meglio e adeguare, ad esempio, la legislazione italiana a quella di tanti altri Paesi europei in cui per chiedere il divorzio non è necessario passare per la fase della separazione. Difficile però fare meglio in un contesto ideologico e culturale come il nostro, in un contesto nel quale ancora esistono troppi pregiudizi, troppe arretratezze, troppe chiusure, al punto da presentare queste modifiche, le modifiche che stiamo per votare oggi, come una prova del fatto che saremmo ormai in una società priva di valori, che saremmo ormai in una società in cui si sarebbe perso il senso della responsabilità, che saremmo ormai in una società ludica, una società in cui tutto si fa e in cui tutto si disfa senza problemi, come se si trattasse di un gioco. Ecco allora che questa norma è stata definita come la norma del divorzio brevissimo, del divorzio lampo, del divorzio istantaneo. Ecco che è stata presentata come la norma che avrebbe trasformato il matrimonio in un matrimonio usa e getta. Ma è di questo che si tratta ? Ovviamente no, signora Presidente. Ovviamente non si tratta né di una norma immorale né di una norma nemmeno rivoluzionaria. Si tratta semplicemente di una norma di senso comune, e quando dico norma di senso comune faccio riferimento alla tradizione filosofica anglosassone, quella che affonda le radici nel XVII e nel XVIII secolo: una norma di common sense. In che senso ? Perché si tratta semplicemente di una norma di common sense  ? Perché si tratta di adeguare la legislazione non ai cambiamenti della società contemporanea – e questo ci tengo a ripeterlo –, si tratta semplicemente di adeguare la legislazione alla realtà, alla complessità della realtà, alla realtà nel senso antologico del termine. Ovviamente nessuno ha intenzione di picconare la famiglia, di distruggerla, di metterla in discussione, si tratta semplicemente di non illudersi e di non immaginare che la famiglia possa tenere, cioè possa durare, possa trascinarsi semplicemente perché la legge imponga di temporeggiare a chi, dopo aver già preso atto della fine di una relazione, decide semplicemente di mettere un punto e di andare a capo. Naturalmente sul «semplicemente» vorrei anche tornare, perché le cose non sono mai così semplici, data appunto la complessità della realtà. Dicevo: una norma di common sense per adeguarsi alla realtà e alla complessità della realtà. E cos’è che ci dice la realtà ? Ci dice che una storia, una storia d'amore può finire, finisce talvolta, è così. È triste ma è la vita. Quando dico che è la vita non mi riferisco alla vita oggi, mi riferisco alla vita sempre, perché la vita, che lo si voglia o no è caratterizzata dal movimento, dall'incessante movimento, a meno che non ci si illuda di paralizzarsi in un immobilismo mortifero. Una storia, signora Presidente, può finire, talvolta finisce. È triste, ma è così, perché la realtà è sempre e comunque più complessa della semplice teoria. La realtà è impastata di sfumature, la realtà è fatta di contraddizioni, la realtà è fatta di una parola che balbetta. Ce lo ricorda un grande psicanalista, Jacques Lacan, quando dice che la verità dell'uomo emerge proprio laddove il discorso comincia a balbettare. È lì che emerge, è lì che si incarna, è lì che si manifesta in tutta la sua difficoltà e in tutta la sua intrinseca contraddizione. Ma ritorno. Una storia, dicevo, può finire, finisce. È triste, certo, ma non è un dramma. Non è un dramma, come hanno tendenza a dire alcuni catastrofisti. Perché non è un dramma ? Perché il vero dramma non sarebbe la fine, il vero dramma sarebbe il tradimento, il tradimento dell'amore. Ma cos’è il tradimento, signora Presidente ? Ebbene, mi vorrei riferire ad alcune righe che sono state scritte da un filosofo, Søren Kierkegaard, nel XVIII secolo, in un libro: Aut-Aut.
  Søren Kierkegaard cosa ci dice ? I traditori si trovano ovunque, anche all'interno del matrimonio. Bisogna stare attenti, però, a non sbagliare il bersaglio, sottolinea il filosofo, e cito: «i veri traditori non sono quelli che decidono al momento opportuno di mettere fine al proprio matrimonio, ma quegli sposi miserabili che, lamentandosi dell'amore ormai da tempo svanito, restano come stolti nel proprio recinto coniugale». Ebbene, sì, Søren Kierkegaard parla di «recinto coniugale», e qual è la verità profonda che ci sta dicendo Søren Kierkegaard ? Ci sta dicendo, in fondo, che il vero tradimento consiste nel confondere l'eternità dell'amore – perché ebbene, sì, signora Presidente, l'amore, quando accade, dura per sempre, ma stiamo parlando del sentimento, dell'eternità del sentimento – con le contingenze dei fatti, con le contingenze delle storie, con le contingenze che talvolta con l'amore non c'entrano nulla perché quante sono quelle famiglie che si costituiscono e, all'interno delle quali, di amore non ce n’è. Come dicono alcuni filosofi, alcuni psichiatri, alcuni psicologi, alcuni psicanalisti l'unico vero tradimento consiste nel far credere ad una persona che niente è cambiato, mentre tutto, in realtà, è diverso. Ecco perché bisogna stare attenti a non confondere e ad immaginare che il tradimento consista nel metter fine ad una relazione che, di fatto, è già finita da tanto tempo. Perché in realtà significherebbe soltanto voler sostituire l'apparire con l'essere. Ebbene con questa legge non si sta picconando la famiglia, chi crede che lo si stia facendo in realtà non ha capito la profondità del messaggio di Kierkegaard, chi, quindi, continua a credere che le apparenze possano rimpiazzare l'autenticità e la verità delle relazioni.
  Strano, tra l'altro, che queste accuse, cioè coloro che insistono che attraverso questi provvedimenti si vuole andare contro la famiglia, sono proprio le stesse persone che, in realtà, non vogliono poi permettere a tutti di potersi sposare, a tutti di costituire una famiglia. Va bene, dicono in Francia, comprend qui peut, comprenda chi può la coerenza di questi discorsi, ma andiamo avanti e torniamo a questo provvedimento che stiamo per votare.
  Come stavo dicendo non si tratta di una norma che stravolge la morale, anzi si tratta semplicemente di una norma che ci spinge ad adeguare il diritto alla complessità del reale.
  Non votare questa norma oggi significa allora semplicemente illudersi che la legge possa impedire la fine di una storia, oppure significa non capire che talvolta sono proprio le lentezze e le attese imposte che poi, di fatto, non fanno altro che degenerare e far degenerare la situazione impedendo così a chi è coinvolto direttamente in queste storie spesso tristi di poter fare il lutto della fine, il lutto della perdita e poter ricominciare.
  In fondo, cosa c’è dietro questi argomenti ? Dietro questi argomenti c’è una premessa profondamente sbagliata, ossia c’è la convinzione che il tempo possa sempre e solo ricucire. Ora, signora Presidente, il tempo non ha un valore univoco. Talvolta il tempo ricuce, ma talvolta il tempo logora e talvolta, forse la maggior parte delle volte, il tempo non basta mai per fare il lutto di quello che si è perso e per darci la forza di ricominciare daccapo. Ci sono ferite, signora Presidente, che non si rimarginano mai, ci sono sofferenze nella vita con cui l'unica cosa che si può fare è di cercare di imparare a convivere, vivere con quelle sofferenze, vivere con quel vuoto che talvolta si spalanca, restare accanto ad un pezzo della propria storia e cercare di dare un senso. Certo, un divorzio è sempre uno strappo. Non mi potrei mai permettere di dire il contrario, ma a chi spetta decidere come gestire la temporalità dello strappo ? A chi è dall'esterno e, quindi non sa, perché dall'esterno, signora Presidente, non si sa mai come si vivono determinate situazioni, oppure chi è stato dentro una storia, chi c’è ancora, chi sa, chi vive, chi soffre, chi spera, e che è forse l'unico in grado di sapere come gestire il tempo e come fare per ricucire le ferite ?
  Allora, signora Presidente, e concludo, non si tratta affatto attraverso questa norma di andare nel senso di una forma di relativismo, non si tratta affatto di affermare una forma di pensiero debole, non si tratta affatto di entrare nella liquidità dei valori. Attraverso questa norma, signora Presidente, si tratta semplicemente di dare di nuovo luce e lustro all'umanità; e quando dico «umanità» intendo la vulnerabilità della condizione umana.
  Signora Presidente, saranno le ultime parole: quando un principio, che si tratti di un principio giuridico o di un principio morale, vale più di quello che una persona vive, diventa totalitario e indifferente all'umana condizione, che ci chiede sempre e comunque di rispettare l'irriducibile alterità di ognuno di noi. È per questo che, signora Presidente, annuncio con gioia e con orgoglio il voto favorevole del Partito Democratico a questo provvedimento.