A.C. 2551
Grazie, Presidente. È evidente la propensione degli interventi su questo decreto a parlare d'altro, rispetto al merito del suo contenuto. Potrebbe sembrare strano, visto il titolo così impegnativo, che voglio richiamare: “Disposizioni urgenti per il finanziamento di attività economiche e imprese, nonché interventi di carattere sociale e in materia di infrastrutture, trasporti ed enti territoriali”. Un decreto presentato dalla Presidente del Consiglio, con ben 12 Ministri, ma non è strano. Non è strano, perché è proprio il titolo ad essere sbagliato. Il decreto dovrebbe chiamarsi decreto “mescidanza”. La “mescidanza”, come questo decreto, è infatti una mescolanza, un miscuglio di cose incongrue e male assortite.
Vi è allora un'importante questione di metodo, che non è un aspetto esterno del provvedimento, ma ne coinvolge l'essenza profonda: la totale eterogeneità e giustapposizione degli argomenti, oltre a rappresentare uno strafottente abuso dello strumento della decretazione d'urgenza, dove urgenza non c'è, ne rende impossibile un adeguato esame parlamentare, trasformando i parlamentari dell'unica Commissione che ha potuto esaminare il provvedimento in “tuttologhi”, rendendo impossibile il confronto con la società, i soggetti interessati e gli esperti, facendo del processo normativo un processo casuale, non a tappe ma a toppe, poco trasparente e poco consapevole.
È proprio questo aspetto di metodo - che caratterizza fin dall'origine questo agglomerato in forme di norme mal mischiate - a incentivare un'altra prassi deprecabile: il colpo di mano, l'emendamento galeotto, sfornato di solito da relatori compiacenti all'ultimo momento, possibilmente in orario notturno, che stravolge la normativa in essere introducendo incongruenze. È questo tipo di emendamento - che è stato bloccato grazie alla ferma reazione delle minoranze - che ha reso famoso questo decreto Economia, non certo il suo contenuto. E lo ha fatto con la presentazione di due emendamenti che si proponevano obiettivi ambiziosi nel campo del diritto del lavoro: l'uno riproponeva, ridimensionandolo un pochettino, un tentativo più ambizioso di smantellamento dei diritti retributivi dei lavoratori, già presentato con le stesse discutibili modalità al decreto Ilva poi ritirato.
Un emendamento che si proponeva di sovvertire i recenti pronunciamenti della Cassazione circa l'applicazione dell'articolo 36 della Costituzione che tendete a dimenticarvi, salvo ricordarvelo quando, in Consiglio dei Ministri, decidete di impugnare la legge sul salario minimo della regione Toscana.
Questo emendamento, in poche righe, riscriveva le regole della rappresentanza senza alcun confronto con le parti sociali e distruggeva l'unicità del contratto nazionale. Il secondo emendamento che, a pochi mesi di distanza, segnava un passo indietro rispetto al piccolo passo avanti che il collegato lavoro vostro, del 2023, aveva dovuto fare nel rispetto delle pronunce della Corte di giustizia europea e della direttiva n. 104 del 2008 per limitare l'abuso - non l'uso ma l'abuso - del contratto di somministrazione ed estenderne la durata (la durata di un contratto temporaneo per definizione) presso il medesimo utilizzatore fino a 48 mesi, che sono poi quattro anni (una durata temporanea di questo tipo, mah, fa ridere).
Emendamenti scritti senza che la Ministra del Lavoro abbia detto una parola, né prima né dopo. Ministra silente, Ministra non pervenuta.
Al di là dei gravissimi problemi di merito su cui a breve saremo sicuramente, purtroppo, chiamati a confrontarci nuovamente, è ancora sul problema di metodo che voglio insistere. Il diritto del lavoro è una materia delicata, che tiene in equilibrio le esigenze dell'impresa con i diritti dei lavoratori che sono la parte debole sul mercato del lavoro. Non può essere oggetto di interventi estemporanei che ne sgretolano l'impianto di soppiatto, senza il coraggio di una discussione pubblica, soffocando in culla il dibattito parlamentare, ignorando beffardamente quel confronto con le parti sociali sempre evocato e mai praticato. Come si può essere credibili parlando - come ha fatto anche recentemente la Presidente Meloni - di disponibilità ad un patto sociale, a una condivisione, ad un confronto, quando si agisce con questi interventi spregiudicati e unilaterali. Sono mezzucci, espedienti non certo consoni a un patto di responsabilità condivise.
È, ancora, la frammentarietà ed eterogeneità dei temi affrontati che impedisce di ricostruire, capire compiutamente il tramestio dei finanziamenti. Sì, “tramestio”, cioè movimento confuso e rumoroso. Di confuso c'è molto, mentre di rumoroso c'è solo il punto di arrivo. Cioè si esalta la destinazione di risorse, al finanziamento, di questo o quell'altro, abbiamo sentito in tutti gli interventi che mi hanno preceduto ma, contestualmente, si tace della fonte, cioè del definanziamento di altri provvedimenti a suo tempo rumorosamente finanziati e che vengono, invece, cancellati.
Un tramestio che nasconde scelte che andrebbero discusse. Faccio alcuni esempi. Ho sentito esaltare in quest'Aula il sostegno erogato alle donne lavoratrici con due figli, ma questo sostegno era stato già deciso e già esaltato in legge di bilancio, qui viene solo trasformato da decontribuzione a trasferimento in somma fissa, e sarebbe piuttosto da sottolineare l'assurdo trattamento riservato alle colf e alle badanti considerate evidentemente mamme di serie B se, a loro, bocciando il nostro emendamento, il trasferimento di 40 euro al mese è stato negato, negato senza alcun motivo.
Voglio poi citare il Fondo per la lotta alla povertà e all'inclusione sociale che dovrebbe essere destinato agli ambiti territoriali per accompagnare le persone in povertà estrema o in rischio di povertà, oltre a garantire la presa in carico e l'accompagnamento dei beneficiari dell'assegno di inclusione con problematiche sociali. Questo fondo viene ripetutamente saccheggiato per altri fini finalità, a testimoniare non solo l'indifferenza con cui il tema della povertà viene affrontato da questo Governo, reso evidente dal dimezzamento delle famiglie aiutate nel passaggio dal reddito di cittadinanza all'assegno di inclusione, a povertà invariata, ma anche l'indifferenza nei confronti degli enti locali che - si badi bene - dovrebbero essere uno fra i destinatari degli interventi di questo decreto, che si vedranno ridotte le risorse a disposizione ma non i compiti assegnati, in linea con quegli atteggiamenti soliti di questi federalisti de' noantri che troviamo nella maggioranza.
Mi riferisco, poi, all'uso, come fonte di finanziamento di un insieme di interventi contenuti nel decreto, delle risorse che erano state stanziate a favore di RFI per la promozione del trasporto, con caratteristiche di alta velocità e alta capacità, sulla linea ferroviaria adriatica che ne avrebbe, invece, un assoluto bisogno. Queste risorse, destinate a questa linea, sono state completamente azzerate per tutto il 2026. Tornando allora ai temi che costituiscono il titolo di questo provvedimento, basta scorrere le notizie di questi giorni per capire quello che avrebbe dovuto essere in questo decreto e, tragicamente, non c'è.
Il titolo evoca in apertura il finanziamento di attività economiche e imprese. Ora, i dazi dell'amico Trump comporteranno meno PIL, meno esportazioni e meno occupazione. I dati diffusi dall'Istat sul PIL e sulla produzione industriale, confermano come il rallentamento protratto dell'attività produttiva del nostro Paese rischi di sfociare in recessione già nella seconda parte dell'anno. Ad inizio aprile la Presidente Meloni aveva annunciato un piano di 25 miliardi di euro. Pensavamo di trovarlo in questo annunciato sostegno alle attività economiche, alle imprese, magari anche ai lavoratori. Doveva trattarsi, infatti, di interventi urgenti. Che ingenui che siamo!
Il secondo aspetto riguarda gli interventi in materia di infrastrutture, e qui le note dolenti vengono dalla relazione della Corte dei conti sul PNRR. Ne ricordo solo due: per le linee ferroviarie regionali nessuno dei target previsti è stato raggiunto. Sono quindi a rischio di completamento interventi importanti quali i collegamenti al Sud e nelle aree a rischio di spopolamento.
Per le carceri, questo decreto prevede un finanziamento di 40 milioni di euro ma, al tempo stesso, dei soldi del PNRR destinati alla stessa finalità, dei 53 milioni di euro stanziati fino al 2025, ne sono stati impegnati meno della metà e pagati meno di un terzo. Ma di cosa parliamo?
Confermo quindi, in chiusura, ciò che dicevo all'inizio. Il titolo giusto per questo decreto è “mescidanza”. “Mescidanza” significa anche mescolanza di tante componenti che non crea, però, un nuovo elemento. Proprio come questo decreto, una miscela di piccole somme, di cui alcune anche condivisibili, ma senza nessuna prospettiva, nessuna visione progettuale, nessuna amalgama che faccia sperare anche solo in prime risposte per questa fase critica del Paese.
Per queste ragioni, annuncio il voto convintamente contrario del Partito Democratico.