Discussione generale
Data: 
Martedì, 9 Gennaio, 2024
Nome: 
Paolo Ciani

A.C. 1624

Signor Presidente, colleghe, colleghi, oggi finalmente discutiamo del tanto atteso Piano strategico per l'Africa, il cosiddetto Piano Mattei, che nelle sue intenzioni avrebbe la promozione dello sviluppo degli Stati africani. Un modello di cooperazione paritario e non predatorio, per usare le parole della Presidente del Consiglio, che contempla, tra l'altro, sia questioni energetiche che migratorie. Un Piano molto importante, lo hanno detto anche alcuni colleghi che mi hanno preceduto, per la storia di relazioni tra l'Italia e il continente africano, tra l'Italia e diversi Paesi del continente africano, tra l'Europa e il continente africano. E proprio importante per il luogo dove nasce, perché l'Italia, con la sua presenza nel Mediterraneo, con la sua presenza al centro del Mediterraneo, è esattamente quel ponte verso il continente africano. Un Piano di cui si parla da un anno, e ripetutamente la Presidente del Consiglio ne ha parlato anche in occasione di tutte le missioni effettuate all'estero - ricordo quelle in Algeria, in Libia, in Tunisia e in Etiopia -, ma i cui contenuti in quest'anno non sono mai stati chiariti. Abbiamo capito poi il perché direttamente dalle parole del Vice Ministro degli Affari esteri con delega alla cooperazione, che - lo ringrazio - in Commissione esteri con estrema sincerità ha affermato pochi giorni fa: il Piano Mattei non c'è ancora. Partiamo da questo, il disegno di legge di cui oggi discutiamo non è un piano, o quantomeno non è ancora un piano. Sono pochi articoli con i quali si istituiscono alcuni strumenti di governance, tra cui una cabina di regia. Quindi oggi parliamo di ciò che questo Piano potrebbe essere, di sicuro nella nostra ottica, perché c'è bisogno di un piano per l'Africa e c'è bisogno di un piano, noi pensiamo, piuttosto euro-africano, ma in cui l'Italia deve avere un ruolo fondamentale. Potrebbe avere l'opportunità di essere, forse per la prima volta, un piano con l'Africa e non solo per o in Africa. E invece sembra che, ancora una volta, il Piano continui ad avere un'impostazione fortemente unilaterale. Il Piano, infatti, non chiede agli africani, o almeno non ancora, quali siano i loro interessi, e questo ci sembra una condizione prioritaria per la sua efficacia. Mettere in primo luogo la sicurezza è certamente giusto, ma dovremmo innanzitutto chiedere agli africani quali siano le sfide alla loro sicurezza prima di imporre le nostre, tutte concentrate peraltro sugli aspetti migratori. Noi certo rischiamo ondate di migrazioni non gestite, ma l'Africa rischia la tenuta stessa degli Stati, e lo abbiamo visto in questo anno di nuova legislatura e di nuovo Governo quanti Stati africani hanno subìto colpi di Stato e destabilizzazioni all'interno dei loro Paesi. Se vogliamo che sia un Piano paritario, deve essere un Piano win-win tra Africa ed Italia, tra Africa ed Europa, che tenga conto delle diverse percezioni. Ciò su cui dovrebbe concentrarsi il Piano sono i settori labour intensive, ciò che permetterebbe l'aumento dell'occupazione in Africa. Si tratta dei settori dell'agribusiness, delle costruzioni, della logistica intermedia, implementare l'occupazione in Africa. Dobbiamo essere coscienti che il continente è cambiato: non più una terra di scontro tra influenze esterne, come lo è stato per decenni, per esempio, tra Unione Sovietica e Stati Uniti. Oggi l'Africa è cambiata e vuole contare e dire la sua su tutto. Come italiani e come europei abbiamo dunque un debito di ascolto innanzitutto verso l'Africa, alla quale troppo spesso non abbiamo prestato la dovuta attenzione.

Torniamo ora al testo del decreto, un testo di decreto di governance del Piano che si compone di 7 articoli relativi alla durata, alla struttura, ed accenna sommariamente ad alcuni ambiti di intervento, senza spiegare in cosa consisterà la missione perseguita dal progetto. Non mi soffermo troppo sul nome, l'utilizzo del nome di Enrico Mattei, una figura molto nota in Italia, molto importante. Potremmo anche apprezzare la scelta da parte di questo Governo del nome e della figura di Mattei, un antifascista, un partigiano, un democristiano, un imprenditore, un uomo molto importante in quella Prima Repubblica molto spesso vituperata da una certa lettura di quegli anni. Di certo un uomo che aveva una visione di grande amicizia, simpatia e speranza nei confronti dell'Africa. Possiamo dire lo stesso del Governo che propone un piano con questo nome? Una collega, che ringrazio, che mi ha preceduto, la collega Quartapelle, ha raccontato un pochino della storia, spesso misconosciuta, spesso dimenticata, spesso non nota, della presenza dell'Italia in Africa in epoca coloniale. Potremmo, ma non è il mio intento quello oggi di sollevare una polemica, raccontare anche un pochino di quello che in questi decenni alcuni esponenti dell'attuale maggioranza hanno detto dell'Africa e degli africani. Non proprio una visione di amicizia e di speranza. Quindi dobbiamo fare molta attenzione perché anche in quest'anno, spesso, nel parlare dell'Africa e nel parlare degli africani, si è parlato quasi sempre di loro come una minaccia, non come un continente con cui costruire un piano di amicizia e alla pari. In questo senso, l'ho fatto presente recentemente, quando all'articolo 1, comma 2, del decreto, nel definire gli ambiti di intervento, si usa la locuzione “sfruttamento sostenibile”, c'è qualcosa che non va. Non è un problema soltanto di finezza linguistica nell'italiano, è evidentemente un ossimoro. Non esiste uno sfruttamento sostenibile, provate ad attribuire questa stessa unione di parole in altri ambiti. Non esiste uno sfruttamento sostenibile. E quando voi, nel presentare il Piano, parlate di una premessa e di un approccio non predatorio, non esiste lo sfruttamento sostenibile.

Questo ci preoccupa perché lascia intravedere, invece, un'altra ottica. Però, magari, sbaglio io nel pensare questo. La Presidente Meloni, proprio nella recente conferenza stampa di qualche giorno fa, ha affermato che l'Italia non può fare da sola il Piano Mattei e che al centro del G7 ci sarà l'Africa. Si tratta di una consapevolezza nuova - siamo felici! - che muta gli orientamenti precedenti. Con una battuta, direi che si passa dal blocco navale alla ricerca di cooperazione con l'Europa, cosa che, decisamente, mi appare più saggia. Certo, il G7 sarà a giugno prossimo e dunque, forse, un po' di tempo c'era per passare con calma dal Parlamento, allo scopo di scrivere meglio questo Piano, magari anche ricevendo contributi da parte nostra. Forse, l'urgenza con cui è arrivato e lo stiamo trattando non è tanto giustificata, ma tant'è.

Però, signor Presidente, l'urgenza non è comunque la fretta, perché nella fretta non c'è stato ancora il tempo di delineare nemmeno il nome di uno Stato africano con cui avviare questa annunciata nuova forma di cooperazione. Si parla dell'Africa ma l'Africa è un continente, ci sono tanti Stati, storie, geografie, economie diverse. Possibile che non abbiamo in mente nemmeno un nome di Stato? Quali sono gli Stati con cui vogliamo sviluppare questo Piano? Non si sono concordati i partner con cui portare avanti il Piano. Tutto questo inizierà - ci è stato detto e sembra di aver capito - nel vertice Italia-Africa del 28 e 29 gennaio. Speriamo che quell'appuntamento sia l'inizio, perché poi non saranno sufficienti quei due giorni per scrivere nel dettaglio questo Piano. Speriamo che da lì partano indicazioni più precise.

Vorrei tuttavia sottolineare ciò che non è chiaro, invece, dal punto di vista dell'andamento dello Stato e parlamentare. Ancora, infatti, non ci è stato spiegato come, a livello normativo, questa nuova norma andrà a inserirsi nel contesto della legge sulla cooperazione internazionale, la legge n. 125 del 2014, che è stata concepita, pensata e utilizzata in questi anni come un importante strumento di politica estera per il nostro Paese. Sappiamo bene che la cooperazione internazionale è una parte importante della politica estera degli Stati contemporanei, soprattutto degli Stati democratici come l'Italia. Questa legge, che disciplina l'ordinaria attività di cooperazione internazionale, ne affida la regia e la titolarità della programmazione e della attuazione al Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e coinvolge tantissimi operatori, tra cui oltre 1.000 ONG che si occupano di progetti di aiuto, scuole, ospedali, interventi di economia primaria, agricoltura, acqua e produzione locale di alimenti di prima necessità. Questa vitale parte d'Italia aiuta concretamente l'Africa nel suo cammino verso uno sviluppo sostenibile da decenni e vorrebbe - e, aggiungo io, dovrebbe - essere ascoltata.

Di certo c'è che, in questo primo parziale tassello del Piano Mattei, il mondo della cooperazione esce ridimensionato, anche alla luce del fatto che nella prima bozza della legge di bilancio era previsto un comma che prevedeva 200 milioni all'anno per interventi di cooperazione allo sviluppo, con priorità nel campo agricolo ed energetico. Tale comma è poi scomparso nella successiva versione della stessa legge. Nei 7 articoli di cui è composto il Piano non c'è scritto, poi, come il Piano Mattei possa integrarsi in maniera armonica ed efficace con gli strumenti già esistenti della cooperazione allo sviluppo, che fanno capo non già alla Presidenza del Consiglio bensì al Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Gli organi preposti per legge - il Consiglio nazionale per la cooperazione e il Comitato interministeriale per la cooperazione - sono fermi da mesi in attesa che dall'alto arrivi questo Piano tanto atteso. Siamo fiduciosi che qualche chiarimento in merito arriverà.

Il decreto, poi, prevede l'istituzione di una cabina di regia. Anche qui - permettetemi - si rischia di creare una sovrapposizione rispetto alle strutture del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, che, per definizione, si occupa di questo, anche con gli Stati africani.

E poi, non è forse troppo prevedere la partecipazione pari rango di altri soggetti alla cabina di regia? Nonostante sia utile, indubbiamente, la consultazione, ad esempio, delle istituzioni finanziarie pubbliche - penso alla Cassa depositi e prestiti, a SACE, a Simest - è da ritenersi che la partecipazione pari rango al processo decisionale potrebbe rappresentare un conflitto di interessi, dal momento che queste istituzioni hanno relazioni preferenziali con alcuni soggetti economici privati, che potrebbero, essi stessi, essere beneficati dal Piano. Stessa cosa vale per le imprese a partecipazione pubblica; chiaramente, innanzitutto, penso ad ENI.

C'è poi un tema specifico relativo alla tutela dei diritti umani. I diritti umani non compaiono mai in questa prima redazione del Piano Mattei, ma l'Italia, lo sappiamo bene, ha già stipulato accordi - sicuramente con la Libia e la Tunisia - che trattano dei migranti e in cui il tema dei diritti umani è fondamentale. Le missioni con la Libia e la Tunisia si propongono il fine di contrastare le partenze irregolari e il traffico dei migranti, favorendo le riammissioni e l'integrazione di rifugiati e migranti nei Paesi di transito sicuri, ma è noto, purtroppo, ormai a tutti, come riportato dalle organizzazioni umanitarie internazionali e dagli organi di stampa, che, spesso, in questi Paesi, nei confronti dei migranti avvengono sistematiche violazioni dei diritti umani. Quando in Commissione affari esteri abbiamo fatto presente che sarebbe importante, nello stipulare patti win-win, patti paritari con Stati africani, sottolineare l'aspetto della tutela dei diritti umani - e io aggiungerei anche l'aspetto della tracciabilità del denaro che Italia ed Europa danno a questi Paesi, perché sapere esattamente dove vanno a finire i soldi, come sono utilizzati e se questi Paesi rispettano i diritti umani è fondamentale nello stringere delle relazioni - ci è stato fatto presente che nelle norme italiane non è necessario parlare sempre della tutela dei diritti umani, perché noi abbiamo la Costituzione, gli accordi europei e le convenzioni internazionali. Giusto, ne siamo orgogliosi e vogliamo che la nostra Costituzione sia sempre al centro della nostra preoccupazione, del nostro legiferare e del nostro operare quotidiano. Tuttavia, ci troviamo ad avere come partner Stati che non hanno la Costituzione italiana e che non hanno sottoscritto gli accordi europei e le convenzioni internazionali sulla tutela dei diritti umani. È quindi importante, utile e necessario, nel momento in cui noi stipuleremo questi accordi più specifici, non fare come altri Stati che hanno una grande presenza africana - penso alla Russia, alla Cina, alla Turchia e ad altri Stati che negli ultimi decenni hanno una grande presenza africana - e che, nel loro partenariato con alcuni Stati africani, non tengono in alcun aspetto e in alcuna pretesa la tutela dei diritti umani. Noi dovremo differenziarci, perché siamo l'Italia, perché siamo l'Europa, perché siamo un Paese democratico.

Per concludere, se davvero l'Italia vuole guardare all'Africa con occhi africani, come ha dichiarato recentemente il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Tajani, sarebbe bene iniziasse con l'ascoltare le voci di chi vive in quei Paesi e in quei territori, e non solo con il chiedere loro di trattenere i migranti in ogni modo e ad ogni costo. Ricordiamoci sempre una delle cose che diceva Mattei: la soluzione è liberare l'Africa da certi europei. Ecco, facciamo attenzione, scriviamo bene questo Piano e lavoriamo per evitare di essere noi, domani, gli europei di cui l'Africa dovrà liberarsi.