Discussione generale
Data: 
Martedì, 20 Maggio, 2025
Nome: 
Nicola Carè

A.C. 2402

 

Grazie, Presidente. Prima di tutto vorrei dire che, rispetto a un decreto così importante, da parte del relatore soltanto porgere il testo alla Presidenza mi sembra un po', diciamo così, sbrigativo e inconveniente. Comunque, con questo, io ringrazio il relatore.

Signor Presidente, Sottosegretario, onorevoli colleghe e colleghi, intervengo oggi per esprimere, a nome mio e di chi crede nella giustizia e nella dignità del nostro popolo, la più ferma e profonda opposizione al decreto-legge n. 36 del 28 marzo 2025. Lo faccio con il cuore, con la voce e con la coscienza dei milioni di italiani residenti all'estero, dei milioni di oriundi che, da generazioni, mantengono vivo l'amore per l'Italia, per questa Italia, nonostante la distanza e l'oblio a cui, troppo spesso, le istituzioni italiani li condannano. Perché questo decreto non è una riforma, questo decreto è una ferita: una ferita profonda, dolorosa e ingiusta. Lo è nella forma, lo è nel metodo, lo è nella sostanza. È una ferita inferta con urgenza artificiosa, con il volto burocratico di chi vuole nascondere una scelta politica dietro un presunto pericolo amministrativo. Dove sarebbe - io chiedo - l'urgenza? Dov'è la catastrofe che giustifica questa fretta? Forse nel fatto che qualche migliaio di persone all'anno richiede il riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza? Signor Presidente, questo decreto non nasce per gestire un'emergenza, ma per costruire una barriera: una barriera contro chi ha sangue italiano, ma vive altrove, vive all'estero; una barriera contro chi, invece di essere accolto e valorizzato, viene visto come una minaccia.

E qui la sostanza è ancora più amara, perché questo provvedimento - diciamolo chiaramente - colpisce in pieno, colpisce in pieno petto il principio dello ius sanguinis, ne limita la trasmissibilità, ne restringe l'applicatività retroattiva, lo svuota di significato.

Non si tratta di una modernizzazione del diritto, si tratta di un colpo secco, mirato, chirurgico a un principio che ha fondato la coesione dell'identità italiana nel mondo. Sapete chi sono le vittime alla fine? Non i cosiddetti furbi del passaporto, come si cerca di raccontare con una retorica pomposa. No, i veri colpiti sono le famiglie. Saranno i figli e i nipoti di italiani emigrati che, dopo decenni di sacrifici, si vedono improvvisamente dire: tu non sei abbastanza italiano per meritare la cittadinanza di tuo nonno; tu non sei abbastanza italiano per meritare la cittadinanza di tuo nonno. Questo mentre il mondo intero - sì, il mondo intero - guarda con ammirazione alle comunità italiane all'estero; quelle stesse comunità che hanno contribuito con il lavoro, con la cultura e capitale umano alla reputazione dell'Italia stessa; quelle stesse comunità che mantengono viva la lingua, le tradizioni, le relazioni culturali e commerciali con la nostra Nazione, con l'Italia.

Signor Presidente, chi ha scritto questo decreto dimostra di non conoscere, o peggio di voler cancellare la storia della nostra emigrazione. È una storia fatta di valigie di cartone, di miniere, di fatica e dignità; una storia fatta di famiglie spezzate, di lettere scritte a mano, di un amore per l'Italia che non si è mai sopito. Allora, io dico con forza: non potete spezzare questo legame, non potete cancellare l'identità, non potete negare a chi ha il sangue italiano il diritto di sentirsi parte di questa Nazione, della nostra Repubblica. Abbiamo visto negli anni i risultati di politiche illuminate, il voto all'estero, la rappresentanza parlamentare, l'impegno dell'associazionismo italiano nel mondo, i programmi di formazione, gli scambi culturali. Questo decreto, invece, compie un balzo all'indietro: disconosce tutto. È una legge che nega la fiducia, che rifiuta il passato e compromette il futuro. E lo dico con orgoglio istituzionale, ma anche con un'emozione personale: non è tollerabile che due fratelli, figli dello stesso padre, padre emigrato, possano trovarsi in due situazioni diverse solo perché uno ha presentato la domanda il 26 marzo del 2025 e l'altro il 28 marzo.

Questo non è diritto, è arbitro, è iniquità, è crudeltà amministrativa. Ma c'è di più e forse ancora più grave: questa norma rompe il patto tra Stato e cittadino, il patto che garantisce certezza del diritto, rispetto delle regole, uguaglianza del trattamento; sì, uguaglianza del trattamento, perché - lo sappiamo tutti - la cittadinanza non è solo un pezzo di carta, è un legame morale, culturale e giuridico, è un'eredità che non può essere amputata per calcolo politico o ideologico. Ecco la verità: questo non è un decreto sulla cittadinanza, è un decreto sull'esclusione.

Onorevoli colleghi, io so che in quest'Aula ci sono persone che hanno a cuore il destino dell'Italia nel mondo; persone che hanno stretto mani, guardato negli occhi, ascoltato le storie di italiani in Argentina, in Brasile, in Venezuela, in Canada, negli Stati Uniti, in Australia, Belgio, Svizzera, Germania, Olanda; persone che sanno che essere italiani all'estero non è una scelta opportunistica, ma è un atto di identità profonda. A voi io mi rivolgo, al di là delle appartenenze politiche, al di là delle alleanze del momento. Vi chiedo: volete davvero essere complici di una legge che cancella questo patrimonio umano questo patrimonio culturale e affettivo? Ebbene, io non ci sto. Io difendo un'Italia aperta, giusta, consapevole della sua storia e del suo destino globale; un'Italia che non ha paura dei suoi figli all'estero, ma li accoglie, li onora, li ascolta, perché sono parte di noi, perché senza di loro l'Italia è più povera, senza di loro l'Italia è più povera.

E concludo, signor Presidente, con le parole del Ministro, del vostro Ministro Tremaglia. Lui amava ripetere, nei suoi viaggi tra le comunità italiane nel mondo, che l'Italia vi ama, l'Italia vi aspetta, l'Italia non vi dimenticherà mai. Ebbene, oggi questa maggioranza sembra aver dimenticato quelle parole, che risuonano come promesse, ma noi no e continueremo a batterci, dentro e fuori quest'Aula, per un'Italia che non taglia i suoi legami, ma li rafforza, per un'Italia che riconosce e abbraccia tutti i suoi figli. Viva l'Italia, viva gli italiani, tutti.