Dichiarazione di voto
Data: 
Martedì, 20 Maggio, 2025
Nome: 
Toni Ricciardi

A.C. 2402

 

Grazie, Presidente. Sottosegretario, onorevoli colleghe e colleghi, io non so da dove iniziare, Presidente. Ho sentito prima parlare di visione, di coraggio e d'imperfezione. Ma se dovessi definire questo giorno, per come entrerà nei libri di storia, questo è il giorno della vergogna. C'è una parola che abbiamo sentito in tutte queste settimane e si chiama: italianità. Che cos'è l'italianità? Noi potremmo discutere per ore e probabilmente non troveremo una sintesi. Probabilmente, quando discuteremo di italianità, finiremo a parlare di cibo, di come vestiamo bene, di quanto è bella la nostra architettura e del genio italico. Che cos'è? Dove la troviamo? L'italianità, quella rievocata anche dagli interventi che mi hanno preceduto, sa dove la troviamo? Nelle comunità all'estero. Sa dove troviamo l'idioma territoriale della Padania? In Argentina e in Brasile con il talian. E sa dove mangiamo i piatti tipici di una volta del territorio? Nelle comunità all'estero, in quelle che prima venivano etichettate come macaronì - e dopo Marcinelle furono privilegiate e viste con occhi diverse - e in quelle dove venivamo chiamati spaghettifresser, mangiatori di spaghetti. Perché noi immaginiamo che nel mondo oggi si apprezzi la pasta, perché noi siamo bravi a fare la pasta. No, perché ci sono milioni e milioni di italiani, da fine Ottocento a Mulberry Street e in giro per tutto il mondo, che richiedevano i prodotti italiani, che li hanno diffusi e li hanno fatti conoscere.

E c'è un altro termine, Presidente, che è molto usato: identità. Che cos'è l'identità? Che cos'è l'identità italiana? Qual è un momento della storia che possa accomunare le vallate della Val d'Aosta fino al più minuscolo borgo dell'isola di Lampedusa? E sa qual è? Sa quale esperienza collettiva, Presidente? L'emigrazione.

In queste settimane, abbiamo sentito anche oggi dire: eh, ma si corre il rischio di avere più italiani al di fuori dell'Italia che in Italia. E ve ne accorgete solo adesso? Ma siete mai andati in un piccolo paesino dell'Appennino alle pendici delle Alpi? Lo sapete che sono trent'anni che ci sono comuni che hanno più iscritti all'AIRE che in loco? Lo sapete che le campagne elettorali si fanno prima all'estero e poi in loco? Sa come si chiama questo? Spopolamento, Presidente, spopolamento! E non sono richieste di cittadinanza.

E sa perché si chiama spopolamento, Presidente? Perché dal 1876 - anno di prima rilevazione statistica - al 1975 sono partiti 27 milioni di italiane e italiani per il mondo, quanti ne contava questo Paese il giorno dell'Unità.

E nel 1973 quando si immaginò che questo Paese si fosse trasformato improvvisamente in un Paese di immigrazione, perché il saldo migratorio fu per la prima volta positivo, fu un'illusione, Presidente. Perché si continuava a partire. Oggi abbiamo sfondato il muro delle 35 milioni di partenze e voi state qui a chiedervi perché corriamo il rischio di avere più italiani al di fuori dell'Italia.

E guardate, altro aspetto della vicenda, ma cosa chiedono, cosa vogliono? Ma perché? Sono più un fastidio che altro.

L'emigrazione è stata una leva economica per questo Paese, per decenni. Nel 1901 fu costituito il Commissariato generale dell'emigrazione con la prima legge organica e sa chi era definito emigrante? Colui che viaggiava oltre il canale di Suez e lo stretto di Gibilterra e viaggiava in terza classe: Leonardo DiCaprio, nel film di “Titanic”, quello era l'emigrante definito dalla legge italiana dell'epoca.

E per capire la portata dell'importanza per la politica italiana del fenomeno migratorio, dal 1868 al 1955 l'Italia liberale, fascista e repubblicana siglò 184 intese con i soli Paesi europei e una cinquantina con i Paesi extraeuropei, sa per fare cosa, Presidente? Per far emigrare italiane e italiani.

E tanto fu pregnante che noi siamo uno degli unici Paesi al mondo che ha la libertà di emigrazione, sancita nella Carta costituzionale, articolo 35 (Rapporti economici), che vi dà la dimensione di quanto sia stata pregnante e fondamentale.

E ancora, Presidente, si cercò di farli ripartire nell'immediato dopoguerra e nelle organizzazioni internazionali, l'Italia dell'epoca chiese il programma CIME di ricongiungimento familiare: tra il 1949 e il 1954 milioni di italiani andarono verso l'America latina. I venezuelani che stanno lì oggi sono figli di quel progetto migratorio perché avevamo la necessità di esportare braccia.

E ancora: ma cosa vogliono gli italiani che non contribuiscono alla fiscalità? Falso.

Nel 1949 Alcide De Gasperi, citato poc'anzi, al terzo congresso della Democrazia Cristiana, sa cosa disse? Ho detto agli americani che siamo disposti a rinunciare al Piano Marshall, purché ci diano immediatamente la libertà di poter fare emigrare i nostri, perché i soldi del Piano Marshall non si sa quando arrivano, i soldi delle rimesse arrivano subito. Sa quanti furono questi soldi, Presidente? In una stima di Banca d'Italia, dal 1947 al 1979, 20 miliardi di dollari, e furono solo le cifre tracciabili.

Perché non so quanti di voi, colleghe e colleghi, hanno mai viaggiato sul Napoli-Stoccarda e hanno mai visto un emigrante cucirsi nelle canottiere le cartucce con i soldi, perché all'epoca non esistevano i Bancomat, perché all'epoca quelle persone utilizzavano quei soldi per costruirsi la casa che oggi voi continuate ancora a tassare. Negli anni Sessanta, Presidente, lo stipendio più ambito dal popolo sa quale era? Era quello dell'operaio della FIAT: 30.000 lire al mese. Nello stesso anno, 10.000 lire al mese entravano dalle rimesse degli italiani all'estero.

Per completarle il quadro, nel primo decennio del Duemila, Banca d'Italia ha sancito e misurato in 4 miliardi di euro le rimesse delle italiane e degli italiani all'estero. Poi, nella relazione che affianca questo provvedimento, voi denunciate: in 10 anni gli italiani all'estero sono aumentati di 2.200.000 unità. E grazie, abbiamo una media di partenza di 100-150.000 ragazzi e ragazze all'anno; solo nel 2024 sono state certificate 190.000 partenze, e voi mi venite a parlare del fatto che l'emergenza è quella della richiesta di acquisizione di cittadinanza?

Nonostante questo, l'atto più grave che avete compiuto sapete qual è? È quello di avere richiesto e immaginato l'urgenza di questo provvedimento per una questione di sicurezza nazionale. Gli italiani e le italiane all'estero sono un problema di sicurezza nazionale. Qualche mese fa avete concesso la cittadinanza a Milei e alla sorella, e oggi, in questo preciso istante, state negando la cittadinanza a nipoti e pronipoti di questo Paese?

Allora, andatelo a spiegare ai bellunesi, che hanno esportato il gelato italiano in tutto il mondo, che sono morti a Mattmark, che i loro nipoti e loro pronipoti non saranno più italiani. Andatelo a spiegare ai veneti, quando il Veneto, fino agli anni Sessanta, era la prima regione dell'emigrazione italiana. Andatelo a spiegare ai bergamaschi, che hanno insegnato al mondo come si fa la muratura. Andatelo a spiegare agli umbri, ai lucchesi, ai marchigiani e agli abruzzesi, che questo Paese e questa Repubblica ha venduto e ha scambiato a Marcinelle, in cambio di 200 chili di carbone a testa.

Allora spiegatelo a queste persone qui. Spiegatelo ai laziali, che in Scozia ancora oggi gestiscono i fish and chips, perché li hanno inventati loro in quel Paese. Spiegatelo ai cilentani, che hanno reso nota la pizza nel mondo. Spiegatelo ai salentini, ai calabresi e ai pugliesi. Spiegatelo a chiunque di questi. Però - e chiudo, Presidente - ci dovete dare una risposta e ci dovete dire, in questa sede, se questa accelerazione è figlia di una ragione politica interna, per mascherare l'incapacità della gestione delle difficoltà della rete consolare che viviamo nel mondo, o perché ve lo ha chiesto qualcuno, o perché, forse, gli Stati Uniti minacciano di introdurre i visti per i cittadini italiani che si recano negli Stati Uniti.

Allora ditecelo che state operando per conto e per nome di qualcun altro. Chiudo, Presidente: questa battaglia noi la continueremo oggi e la continueremo al di fuori di quest'Aula per una semplice ragione, Presidente. Esattamente tra qualche minuto, qualcuno in quest'Aula deciderà che un mio possibile futuro nipote non sarà più italiano; io, che sono un umile deputato della Repubblica e, come me, i tanti e le tante che vivono in Europa, che vivono in Germania, che vivono in Svizzera, che vivono in Francia, che vivono in Belgio.

Allora, Presidente, voi oggi potete, con una norma folle, tagliare un diritto sancito dalla Costituzione, ma non potrete mai spegnere il sentimento di italianità che vive e vivrà in queste persone. E per questa ragione, con profondo disprezzo, dichiaro il voto fortemente e chiaramente contrario del gruppo del Partito Democratico.