A.C. 2355
Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, oggi ci troviamo ancora una volta a discutere di un decreto-legge in materia di sicurezza. L'ennesimo provvedimento di questo Governo che arriva in Aula senza un confronto parlamentare corretto, utilizzando impropriamente la decretazione d'urgenza e tradendo lo spirito dell'articolo 77 della Costituzione. Ma al di là del metodo - ne hanno parlato bene i colleghi che mi hanno preceduto - un metodo di per sé grave, è il merito che ci preoccupa e ci preoccupa molto. Questo decreto non è una risposta efficace a un problema reale. Vede, Presidente, la destra parla spesso di sicurezza, è un suo cavallo di battaglia, ma dopo tre anni che governa (alcuni di loro è molto di più che governano), di fronte a problemi quotidiani di sicurezza, continua a cercare delle scappatoie e a dare la colpa agli altri di ciò che non funziona.
Ma questo provvedimento è un atto ideologico, punitivo ed inefficace. È un intervento che alimenta la paura. È un provvedimento che fa credere, con un pericoloso gioco propagandistico che inasprisce le pene e allunga le detenzioni, che questo possa bastare a garantire la sicurezza. Ecco, non c'è alcuna prova che un simile approccio riduca i reati. Non lo dice solo il buon senso, lo dicono i dati, gli anni di esperienza, gli studi, i numeri. Non serve moltiplicare i reati e le aggravanti. Qui arrivano 14 nuove fattispecie penali e 9 nuove circostanze aggravanti.
Non serve, se non si agisce sulle cause sociali ed economiche. Più carcere non significa più sicurezza; significa, al contrario, più sovraffollamento, più disperazione, più recidiva. E il sistema penitenziario non ha bisogno di questo perché è già al collasso. Lo sappiamo bene. Al 24 maggio, i detenuti sono 63.000, a fronte di una capienza regolamentare che si aggira intorno ai 51.000 posti. Ma la capienza effettiva è ancora più bassa, considerando che oltre 4.500 posti sono inagibili. Questo significa che in molti istituti si arriva a tassi di affollamento superiori al 160 per cento. Le celle sono sovraffollate, i servizi educativi insufficienti, l'accesso al lavoro e alla formazione gravemente compromessi.
E i numeri dei suicidi ci restituiscono una fotografia drammatica: 88 suicidi in carcere nel 2024, già 29 nel 2025. È il dato più alto, quello del 2024, degli ultimi 30 anni. I suicidi non sono solo tra i detenuti, si contano anche tra il personale penitenziario, l'ultimo purtroppo una settimana fa, segno di un sistema logorato, esasperato, lasciato senza risorse. Quando si parla delle Forze dell'ordine, noi siamo accanto alle Forze dell'ordine, anche accanto a quei poliziotti di Polizia penitenziaria lasciati soli in carceri sovraffollate. Ricordiamocelo quando si fa propaganda. Eppure, invece di investire su queste criticità, il Governo sceglie ancora la strada dell'inasprimento delle pene, ancora la strada di più carcere.
Penso al tema delle donne e dei bambini. Ne abbiamo parlato negli interventi precedenti. Guardi, Presidente, su questo tema c'è un regresso culturale pazzesco non solo perché ci abbiamo messo secoli a far sì che le colpe dei padri non ricadano sui figli, ma perché oggi le colpe delle madri devono ricadere sui bambini che voi mettete in carcere.
E non solo, per giustificare un provvedimento etnico - perché questo è, sentite come suona “un provvedimento etnico” - voi arrivate a dire che per proteggere delle donne sfruttate, quelle donne devono essere messe in carcere. Pensate se questo lo applicaste ad altri temi e ad altre persone sfruttate. Ecco, credo che questo è qualcosa che rimette in discussione principi basilari della nostra civiltà giuridica. Poi si introduce un nuovo reato: quello di rivolta carceraria. Anche qui un'altra cosa assurda: si equipara la resistenza passiva non violenta al reato di rivolta.
Chi di voi è mai entrato in carcere, chi ha parlato con un detenuto, con un agente di Polizia penitenziaria sa bene la grande differenza tra chi commette una resistenza non violenta - magari non accetta il cibo, non si veste, fa qualcosa di passivo - rispetto a chi appicca un incendio, picchia i compagni di cella. Come vi viene in mente di equiparare la resistenza non violenta alla rivolta, con tutto quello che questo può far sì che accada in carcere? Si aumentano le pene in questo caso. Lasciamo la gente di più in carcere, con tutto quello che questo vuol dire: criminalizzare la protesta, irrigidire la repressione, togliere la voce a chi fa una resistenza passiva non violenta.
Eppure, alcuni degli effetti di quello che avete fatto già li potete constatare. Lo abbiamo visto con il cosiddetto decreto Caivano: l'inasprimento delle pene non produce risultati. Lo scorso anno, dopo l'approvazione del decreto Caivano, si è registrato un aumento del 48 per cento delle presenze di minori negli istituti penali per minorenni. Non una riduzione della devianza, non un miglioramento della sicurezza, ma più reclusione, più disagio e carceri minorili che oggi scoppiano.
Il Governo continua a investire sulla repressione e trascura totalmente la prevenzione, l'inclusione. Su questo punto voglio sottolineare un altro aspetto. Voi andate a creare e a intervenire anche nel sistema che riguarda i CPR, cioè i luoghi, i centri di permanenza e rimpatrio per i migranti. È un tema delicato su cui il vostro operato, l'operato del Governo in questi anni ha un elefante in una cristalleria, in una stanza: è l'Albania, è aver speso un miliardo dei nostri soldi, dei nostri contribuenti per aver creato lì un luogo dove portare dei migranti per essere espulsi quando già ci sono dei luoghi analoghi in Italia.
Ma, come se non bastasse, voi andate a incidere anche in termini penali su questi luoghi che dovrebbero essere luoghi in cui non stanno i delinquenti, perché in Italia chi commette reati sta in carcere e non sta nei CPR, e andate anche lì a inserire norme che creano procedimenti penali. È una deriva pericolosa, è una deriva a tratti autoritaria, che riduce sempre più lo spazio del diritto e allarga quello del potere punitivo, come se la sicurezza si potesse costruire solo con la forza, con le sbarre, con la repressione. Ma la sicurezza non significa questo: sicurezza è giustizia sociale, è coesione, è unità, è equità.
Sicurezza è un quartiere illuminato, una scuola che funziona, un luogo di aggregazione aperto nelle periferie, un lavoro regolare, magari non morire di lavoro perché si muore. Tre nostri concittadini al giorno vorrebbero la sicurezza di non morire sul lavoro. Le nostre figlie, le nostre mogli, le nostre compagne non vorrebbero essere molestate o uccise dai loro compagni. Questa è la sicurezza che vogliamo. Magari non fare ironia quando una donna, magari una bella donna, decide di far politica, perché questo è anche cultura e la cultura provoca anche violenza.
Ma la sicurezza si ottiene anche con la cultura. Per esempio, allisciare il pelo agli evasori fiscali, che non rubano un portafoglio, ma rubano a tutti noi, rubano i servizi ad ognuno di noi, non è certo un buon viatico per promuovere la sicurezza. Ecco, Presidente, l'ultima cosa che voglio dire su questo punto, tramite lei, ai nostri colleghi della destra è che più volte, anche questa mattina, io ho sentito dire: voi di sinistra state dalla parte di chi non rispetta le leggi, noi di destra dalla parte di chi rispetta le leggi.
Io consiglierei un po' più di pudore quando si parla di queste cose, un po' più di serietà. Un po' più di pudore! Io in carcere ci vado da tanti anni a trovare le persone. Ho trovato tante persone, anche di destra e anche politici di destra, in carcere. Non si commette reato per opinione politica, quindi non ci sono difensori della legalità e supporter dell'illegalità. Siate seri! Siate seri perché la sicurezza è un argomento serio.