A.C. 2460-A
Grazie, Presidente. Colleghi, siamo per l'ennesima volta, qui, in Aula, avendo persino rischiato di doverci sottoporre a un voto di fiducia, a discutere di un decreto fiscale che, con la solita retorica emergenziale di questo Governo, viene presentato come urgente. È fondamentale che i cittadini e molti dei miei colleghi in quest'Aula sappiano che qui di urgente c'è solo la necessità di alimentare una narrazione fuorviante, utile a placare i malumori interni alla maggioranza direi piuttosto che a risolvere i problemi dei cittadini.
È un provvedimento che sfoggia il titolo di “decreto fiscale” e uno si aspetterebbe allora un provvedimento che è in grado di indirizzare risorse verso le casse disastrate del nostro Stato. E, invece, si tratta di un “decretino” - dobbiamo dirlo - che ha un impatto finanziario irrisorio, direi addirittura ridicolo: 9 milioni di euro del 2025, 11 milioni di euro dal 2026 in avanti.
È un decreto che ha pochissime briciole, una sorta di maquillage normativo che produce alcuni aggiustamenti di natura tecnica, molte ambiguità e una quantità enorme di preoccupazioni.
Ci sarebbe da chiedersi, a questo punto, per quale motivo allora il Governo ci sottopone a questo tour de force. È bene spiegare, sempre ai nostri cari concittadini, che questo decreto è la conferma che il fisco, in questo Paese, è diventato un terreno di sperimentazione ideologica per la destra e, ancora peggio, un campo dove si coltivano relazioni clientelari con ristrette categorie di contribuenti. Il Governo usa in maniera compulsiva il termine “semplificazione”, ma in realtà la semplificazione si traduce quasi sempre nello smantellamento del principio di equità. Promette un fisco più giusto, ma fa regali ai soliti noti: evasori, speculatori e gruppi di interesse. Parla di trasparenza, ma dissemina il testo di norme che allentano i controlli, rendono più opache e difficili le operazioni di verifica, si sottraggono intere categorie alla giurisdizione tributaria.
Questo decreto quindi non è un intervento fiscale, è un manifesto ideologico. Un manifesto per un'Italia dove la fedeltà fiscale è una pratica da fessi, dove la tracciabilità è un fastidio, dove il merito fiscale non è pagare le imposte, ma trovare una scorciatoia adeguata e conveniente.
È un provvedimento, purtroppo, che sfregia e insulta i lavoratori dipendenti, i pensionati e le imprese oneste che pagano tutto e subito, mentre altri, con l'ennesimo condono, potranno cavarsela con una pacca sulla spalla.
Andiamo per ordine. L'articolo 1 introduce la possibilità di dedurre le spese per i viaggi, vitto e alloggio sostenuti all'estero anche se effettuati in contanti. Giusto per far comprendere ai nostri cittadini: in altre parole, il Governo pretende che queste stesse spese vengano realizzate in Italia in maniera tracciata, mentre all'estero uno può andare anche con la valigetta a fare questo tipo di spesa e non succede nulla. E sarebbe proprio il caso di dire: alla faccia della trasparenza!
È ancora più grave, però, quanto disposto dall'articolo 2. Il Governo consente ai soggetti passivi Ires di calcolare perdite riportabili in base a una stima forfettaria del valore dei conferimenti, anziché al loro valore nominale. La possiamo definire una misura tecnica? Direi proprio di no. È una misura per favorire una rappresentazione soggettiva di valori, con il rischio concreto di manipolazione fiscale ed elusione massiccia. Il valore nominale di un conferimento - esame di diritto commerciale - è un dato oggettivo e certificato. Il valore forfettario è un artificio che apre spazi a pratiche elusive, per manovre contabili creative e per operazioni di cartolarizzazione dei debiti e delle perdite, che non hanno alcun legame con l'economia reale.
In Commissione, poi, abbiamo assistito all'ennesimo allargamento del regime forfettario. Con l'approvazione di un emendamento del relatore, si consentirà l'accesso alla flat tax anche a chi esercita un'attività di impresa diversa da quella professionale. E' una misura che aggrava ulteriormente una sperequazione clamorosa che c'è nel nostro sistema. Lo diciamo da anni: un lavoratore dipendente che guadagna 35.000 euro paga molte più tasse di quanto paga un lavoratore autonomo con lo stesso livello di reddito.
E tutto questo mentre la delega fiscale - come è noto, come abbiamo già detto la scorsa settimana - è ferma, prorogata, direi abbandonata. Il Governo Meloni ha alzato bandiera bianca. Dopo due anni di promesse, la montagna continua a partorire topolini e, oltre ai topolini, anche i condoni. Anzi, due.
Questa volta - devo dire che è stato un grande merito di questa maggioranza - la maggioranza è riuscita a infilare l'ennesimo condono fiscale dentro un provvedimento tecnico: è il famoso ravvedimento speciale per chi aderisce al concordato preventivo biennale 2025-2026. Per inciso - ma tanto è una cosa che a voi non interessa - il Servizio studi della Camera vi ha appena detto che ha dubbi sulla copertura e vi ha anche detto: “Occhio, perché rischiate, per sostenere questo condono, di pregiudicare quel poco spazio di manovra che avete per il resto della delega fiscale”. Ma comunque, evidentemente questa cosa non vi interessa.
E' una misura - questa del ravvedimento speciale - che era già stata respinta nelle precedenti versioni del decreto e che oggi ricompare per accontentare i soliti noti. È un condono mascherato e questo lo sanno anche i muri. Sarebbe catartico, colleghi della maggioranza, se lo diceste. Ve lo garantisco. Liberatevi! Affermate che avete fatto l'ennesimo condono!
Si permette di chiudere la propria posizione fiscale, versando un importo ridotto, anche solo con la prima rata, senza neppure l'obbligo di un pagamento integrale. Questa è l'ennesima occasione offerta ai furbi per cavarsela, mentre i contribuenti onesti continuano a pagare subito e per intero. E non è finita qui.
Con un altro emendamento si riaprono i termini per dichiarazioni Irpef e IRAP decadute, rendendole ancora valide ai fini del concordato preventivo. Cioè come dire, sostanzialmente: non avete dichiarato nulla per tempo? Avete omesso? Non vi preoccupate, il Governo Meloni vi grazia, e addirittura vi offre l'occasione di porre questa dichiarazione a base dell'imposizione futura. Complimenti! Questo è il fisco del Governo Meloni, un sistema dove il principio dell'adempimento spontaneo è solo un'illusione e dove chi rispetta le regole viene sistematicamente penalizzato.
Non paghi poi dei condoni, avete deciso, come è giusto che sia, di smontare anche la macchina dei controlli, limitando l'azione dell'Agenzia delle entrate. Il Partito Democratico, come sappiamo, ha provato, con un subemendamento, a salvare il senso della norma, ma la maggioranza ha detto di no, e il risultato, oggi, è che l'Agenzia delle entrate dovrà motivare, in maniera articolata, ogni accesso, rendendo, di fatto, impossibile la tempestività dei controlli.
Se qualcuno avesse dubbi sul fatto che il Governo sta navigando a vista, ora ne ha la prova provata. Questo provvedimento è una prova schiacciante del tentativo del Governo di fare disperatamente l'occhiolino ai furbi per lucrare consenso, mentre l'immaginifico sistema di riforme epocali promesse in campagna elettorale si è arenato di fronte alla divisione delle forze della maggioranza.
Parlate da mesi di tasse tagliate, eppure la pressione fiscale in questo Paese ha raggiunto il 50,6 del PIL nel primo trimestre di quest'anno. Nel frattempo, abbiamo un'inflazione percepita del 10 per cento. Che cosa vuol dire? Che, non domani, non in futuro, ma già oggi c'è meno potere d'acquisto per i nostri cittadini, e, di conseguenza, meno consumi. Addirittura, i giornali e i telegiornali di regime in queste ore hanno magnificato il fatto che i cittadini stessero riscoprendo i lidi e le località turistiche italiane; i cittadini italiani non vanno in vacanza all'estero, perché non hanno i soldi! Li avete impoveriti.
Un fisco diverso da quello che abbiamo in mente, che ha in mente il Partito Democratico, che è un fisco che affonda le radici nella Costituzione e nei princìpi di equità e progressività, princìpi che questo Governo ha completamente pretermesso; un fisco che dia il senso di un patto chiaro fra Stato e cittadini, dove chi paga le tasse sa di farlo per avere in cambio sanità, scuola, infrastrutture e giustizia: un fisco che non ha paura di combattere l'evasione e che sicuramente non cerca ogni giorno di spuntare le armi all'Agenzia delle entrate.
Siamo consapevoli, signora Presidente, che, in questo Paese, esiste una questione legata al fisco. Siamo consapevoli che è necessario semplificare le regole d'ingaggio, che occorre sostenere chi fa fatica e vive la difficoltà del momento storico. Ma siamo, altresì, certi che chi evade ruba alla collettività, e questo è un principio di cui tutti noi dovremmo essere consapevoli. Non può essere premiato o addirittura incentivato con l'ennesima sanatoria, non può essere protetto da norme opache, non può dettare legge, mentre chi lavora onestamente viene lasciato solo.
Per tutte queste ragioni, il Partito Democratico voterà contro questo decreto. Lo faremo con convinzione, perché è nostro dovere opporci a una visione regressiva, disuguale e miope della fiscalità. Questo decreto è il simbolo di una maggioranza che ha abbandonato ogni coerenza, che ha fatto del fisco uno strumento di propaganda e di clientela, che ripete a memoria slogan sulla tassa piatta e sulla libertà fiscale, ma che non sa garantire un sistema giusto, stabile e moderno.
Noi continueremo a opporci, noi continueremo a combattere questo sistema, perché l'equità non è un optional, è la condizione minima per poter dire di vivere in una Repubblica democratica fondata sul lavoro e non sulla furbizia.