Discussione generale
Data: 
Lunedì, 28 Febbraio, 2022
Nome: 
Enza Bruno Bossio

Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, qualche giorno fa un mio compagno di gruppo, di partito, in considerazione della mia ostinazione ad occuparmi del tema dell'ergastolo ostativo, che è più universalmente conosciuto come “fine pena mai”, mi risponde “non lo so che cos'è l'ergastolo ostativo e non voglio saperlo”. Ho replicato, conoscendo tra l'altro le sue qualità umane e politiche, nonché il suo rigore istituzionale, che sbagliava, perché tutti i parlamentari, soprattutto di sinistra, dovrebbero essere sensibili alle questioni che riguardano le violazioni dei diritti costituzionali, in questo caso l'articolo 27, comma 3, della Costituzione, e la violazione del principio di umanità della pena ex articolo 3 della CEDU.

Dunque è stato questo il tema che abbiamo avuto in discussione e all'ordine del giorno della Commissione giustizia all'indomani dell'ordinanza della Corte costituzionale n. 97 del maggio 2021, che ha rinviato al legislatore entro un anno la modifica dell'articolo 4-bis, lasciando comunque - questo è importante - alla Corte di verificare ex post la conformità alla Costituzione delle decisioni effettivamente assunte.

Avviando la discussione in quest'Aula, che è sovrana, non si può quindi non partire dalla sentenza della Corte europea dei diritti umani e dalle successive decisioni della Corte costituzionale. La Corte europea dei diritti umani nella sentenza “Viola”, ritenendo che l'ergastolo ostativo non abbia i connotati di una pena perpetua riducibile, condanna l'Italia per violazione del principio di umanità. A seguire, nella sentenza della Corte del 2019 si afferma che la collaborazione non può essere l'unico elemento indicativo della cessazione della pericolosità di un condannato e, viceversa, la mancata collaborazione non può essere di per sé indice della persistenza della pericolosità sociale del condannato. Come afferma giustamente il professor Dolcini nel suo saggio Fine pena: 31/12/9999, l'ergastolo ostativo, assumendo che la personalità del condannato non possa modificarsi nel tempo, si pone in contrasto con la funzione risocializzatrice della pena.

Sulle orme, dunque, di una chiara indicazione della Corte europea, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4-bis, comma 1, dell'ordinamento penitenziario e afferma non più una pericolosità assoluta bensì relativa, poiché può essere superata anche alla luce di elementi diversi dalla collaborazione, da valutarsi naturalmente caso per caso; ovviamente, le allegazioni sono il minimo che si possa aspettare per dimostrare la non più attualità dei collegamenti con la criminalità e anche il pericolo di un loro ripristino. In più, la Corte osserva che, se da un lato è corretto premiare la collaborazione, non è costituzionalmente ammissibile punire il condannato per la mancata collaborazione, impedendo al detenuto non collaborante ogni accesso ai benefici penitenziari normalmente previsti per gli altri detenuti. Questa legittimità costituzionale torna all'esame della Corte nel 2021. Qual è la premessa che muove in questa ordinanza della Corte? La disciplina vigente dell'ergastolo ostativo che preclude in maniera assoluta, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, di chiedere la liberazione condizionale si pone in contrasto con l'articolo 27 della Costituzione e l'articolo 3 della CEDU. In particolare, nei punti dal 3 al 7 dell'ordinanza si segnala come questo carattere assoluto impedisce alla magistratura di sorveglianza di valutare dopo un lungo tempo di espiazione della pena - in questo testo base, addirittura, questo tempo è stato allungato - il percorso carcerario del condannato e che si pone in contrasto, come ho detto, con la funzione rieducativa della pena. Però la Corte, l'ha ricordato il relatore, dispone un rinvio a maggio 2022, dichiarando che spetta in primo luogo al legislatore ricercare il punto di equilibrio tra i diversi argomenti, anche però - questo è un punto importante - alla luce delle ragioni di incompatibilità con la Costituzione attualmente esibite dalla normativa censurata.

Ma per quanto unicamente prospettata dalla Corte, come giustamente afferma il professor Pugiotto nel bellissimo libro Contro gli ergastoli, l'incostituzionalità dell'ergastolo ostativo segna, nella sentenza della Corte, un punto di non ritorno e l'uso del presente indicativo in questa sentenza non lascia adito a dubbi.

Dopo queste indicazioni di diritto e i principi ordinati e indicati dalla CEDU e dalla Corte, troviamo il testo approvato in Commissione. Avrebbe dovuto rispondere a questi principi, anche perché, come ho detto, rimane un giudizio sospeso. Purtroppo, il testo approvato in Commissione non va in direzione delle sentenze della Corte checché ne dica il relatore Perantoni, né nei principi ispiratori, né nella pratica; si presenta con un testo base che unifica le diverse proposte di legge, tra cui la 1951 a mia prima firma la quale, evidentemente, troppo in linea con il mandato della Corte, non trova nel testo unificato alcun minimo riscontro. Tengo a questo proposito a precisare che la mia proposta è stata depositata prima delle due sentenze della Corte e fa riferimento sia alla relazione finale della Commissione Palazzo che ai lavori de Gli Stati Generali dell'esecuzione penale coordinati da Glauco Giostra, per cui, come riconosciuto in audizione dal presidente Santalucia, non poteva che anticipare già nell'articolato le indicazioni della Corte stessa. Ma, lo ripeto, non trova nessun riscontro nel testo; di contro, questo testo trova specifico fondamento nelle relazioni delle proposte Ferraresi, 5 Stelle, e Paolini, Lega. Ferraresi, nella relazione illustrativa alla sua PDL, indica le decisioni della Corte costituzionale come un colpo mortale all'ergastolo ostativo; un colpo mortale, come dice lo stesso Ferraresi al quale la sua proposta di legge deve porre rimedio. Così come Paolini, Lega, afferma, nella relazione al suo testo di legge, che allentare le maglie del 4-bis, per come la Corte indica, significa perdere una delle poche efficaci armi che lo Stato ha contro le organizzazioni criminali. Nelle audizioni, d'altra parte, abbiamo potuto ascoltare i PM ai quali si ispirano questi principi anticostituzionali, i quali hanno chiesto chiaramente al Parlamento di non arretrare di un centimetro rispetto alla norma vigente, se non si vuole offrire alla mafia un trampolino di lancio. Dunque, secondo questi unici depositari della lotta contro la mafia, come giustamente afferma Alessandro Barbano, il condannato non deve avere nessuna chance di superare il muro di divieti che la legge gli alza di fronte. A nulla servirà la sua buona condotta perché per definizione assoluta i PM auditi affermano che il mafioso è obbligato dal suo giuramento a non dare fastidio in carcere. A nulla varrà il suo percorso rieducativo, perché, sempre per questi PM, il mafioso è abilissimo nel fingere una redenzione. Quanto alla dimostrazione di non essere più mafioso, si tratta appunto di una probatio diabolica, perché la mafia non muore mai; conseguentemente, chi, ad esempio, anche come me, osa criticare questo sistema, che vede solo nella collaborazione la strada per l'accesso ai benefici, fa il gioco della mafia, ovvero, secondo queste tesi, dovremmo restare in quella logica di tipo militare che tante distorsioni ha creato al nostro Stato di diritto, la logica del nemico catturato e condannato che può liberarsi dalla prigionia solo passando nelle file di un avversario altrettanto armato, logica giustamente contestata dall'ex Presidente della Corte costituzionale, Valerio Onida. Ma lo Stato non è un avversario armato e non può conformarsi a questo tipo di logica opposta al diritto costituzionale. Lo Stato ha il dovere di rispondere al delitto con il diritto e non certo aggiungendo un'altra dose di delitto.

A questa considerazione bisogna aggiungere che, di per sé, la collaborazione potrebbe anche non essere sincera, ma motivata da ragioni utilitaristiche, come dimostrano i tanti anni e i danni di un abuso della pratica del cosiddetto pentitismo. Dunque, nel dibattito in Commissione c'è stato un appiattimento pregiudiziale verso l'indirizzo anti Corte costituzionale che ha prodotto un testo in alcuni passaggi addirittura più negativo di quello vigente. C'è il tema sostanzialmente della norma che trascura l'insegnamento che reputa legittimo distinguere tra chi rimane silente per sua scelta e chi rimane silente suo malgrado, la scomparsa della collaborazione impossibile nel comma 1-bis, la competenza collegiale con la conseguenza di rendere quasi impossibile costruire percorsi premio che costituiscono invece il più importante banco di prova del senso di responsabilità e, infine, il divieto di scioglimento del cumulo che colpisce anche reati che non hanno a che fare con la mafia e il terrorismo. Su questi punti presenteremo emendamenti in Aula, anche perché la Corte aveva inteso richiamare il legislatore all'adozione di una disciplina complessiva, in grado di rendere davvero compatibile con la Costituzione non solo la disciplina dell'ergastolo ostativo, bensì l'intero assetto normativo sulle ostatività.

Il testo unificato approvato, invece, come detto anche dall'Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere penali, ha il sapore di una controriforma che ci espone a forti richiami delle Corti, ma, soprattutto, al richiamo della nostra coscienza. Concludendo, mi auguro che l'Aula veda quello che la maggioranza della Commissione non ha visto ed eviti, per il legislatore, il rischio di vedersi ulteriormente censurare la costituzionalità del proprio operato