Data: 
Martedì, 7 Settembre, 2021
Nome: 
Debora Serracchiani

Signor Presidente, ministri, colleghe e colleghi, il drammatico epilogo della missione internazionale in Afghanistan, avviata per sconfiggere il terrorismo e stroncare Al Qaeda, all'indomani dell'efferato attacco al World Trade Center di New York che provocò più di 3 mila vittime, resterà nei nostri occhi e nei nostri cuori, con quelle immagini strazianti di migliaia e migliaia di persone accalcate ai cancelli dell'aeroporto di Kabul, di uomini che precipitano dai carrelli degli aerei in decollo, di mamme che lanciano i propri figli oltre le barriere, chiedendo di portare in salvo almeno loro.

Desidero esprimere il nostro apprezzamento al Presidente del Consiglio e al Governo, per gli sforzi messi in campo da subito per convocare anche in via straordinaria una riunione del G20, perché solo un'azione congiunta e coordinata dei più grandi Paesi del globo può evitare una catastrofe umanitaria. Da parlamentare della Repubblica e da cittadina italiana, voglio anche manifestare la gratitudine e il plauso per i nostri militari, per il personale della difesa e degli esteri e per quanti hanno collaborato con essi ad Aquila Omnia, il piano di evacuazione dei nostri connazionali e degli afgani che in questi anni ci hanno assistito e che, per questo, rischiavano la persecuzione e la morte. È stato un esempio eccezionale, come osservato dal Ministro Guerini, non solo di professionalità e di efficienza, che ha consentito di portare in salvo oltre 5.000 persone, il maggior numero tra i Paesi europei, ma anche di coraggio, di umanità, di abnegazione. A tutte e a tutti loro va la nostra riconoscenza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), come va ai nostri 54 caduti e ai più di 700 feriti nel corso dei venti anni di presenza in Afghanistan. Non dimenticheremo mai il loro sacrificio. Rinnovo qui la vicinanza, a nome del Partito Democratico, ai loro cari e ai familiari.

Condividiamo senza incertezze il piano di accoglienza e di integrazione, predisposto dal Governo per i rifugiati afgani nel nostro Paese, e l'iniziativa per favorire corridoi umanitari. Siamo grati a quei sindaci e a tutti coloro che, mostrando il volto migliore dell'Italia, hanno dato disponibilità ad aiutare le famiglie giunte con il ponte aereo. Allo stesso modo, siamo convinti che quella società civile e coraggiosa, le donne afgane che protestano a Herat, a Kabul, a Balkh non possa essere lasciata sola. Così come non possono essere lasciate sole le organizzazioni non governative e le associazioni che sono rimaste in Afghanistan, come la Croce Rossa, Intersos ed Emergency, solo per citarne alcune.

L'Europa si è vista poco; non c'è stata quando ad inizio giugno Italia e Gran Bretagna hanno provato a convincere gli Stati Uniti che il ritiro andava basato sulle condizioni per il futuro assetto e non sulle date, oppure quando, nei giorni scorsi, Francia e Gran Bretagna hanno proposto senza fortuna, in sede di Consiglio di sicurezza ONU, la creazione di una safe zone internazionale a Kabul. E non c'è un'Europa unita nemmeno oggi, visto che alcuni Paesi dichiarano solidarietà al popolo afgano e, poi, voltano le spalle all'accoglienza. Giustamente il Capo dello Stato, celebrando gli ottant'anni del manifesto di Ventotene, ha ricordato con forza che questo comportamento non è all'altezza dei valori dell'Unione europea (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

La tragedia afgana rappresenta un punto di svolta per l'Unione. Essa chiama in causa l'assenza di una politica di difesa e di pronta reazione comune e mette ancora una volta al centro la questione delle decisioni assunte all'unanimità. Se sul primo versante si può sperare nell'adozione a novembre dello Strategic compass, la bussola strategica per orientare l'azione esterna dell'Unione nella direzione di un'autonoma capacità di difesa europea che non può comunque, come ricordava il Ministro Guerini, non essere in sinergia e nel quadro della NATO, sul secondo versante è del tutto evidente che occorra una robusta iniziativa per il superamento del diritto di veto e della regola dell'unanimità.

Del resto, i Trattati dell'Unione europea prevedono le cosiddette cooperazioni rafforzate fra gli Stati che intendono agire insieme: basta quindi paralisi! La miopia e l'egoismo di alcuni Governi non devono fermare chi vuole aiutare davvero coloro che sono costretti a fuggire dal Paese. La crisi dei profughi rischiò nel 2015 di far saltare l'Unione europea. L'Italia e gli altri Paesi, come la Francia e la Germania, facciano quello che devono fare, senza aspettare l'unanimità. Non possiamo fare come nel 2015 e nel 2016 - così tuonano varie Cancellerie -, ma dopo l'incontro fra i Ministri dell'Interno dell'Unione europea è evidente che l'orientamento di gran parte dei Governi europei è proprio quello di rifare tutto come nel 2015, con l'aggravante di aver già sperimentato che il modello dei muri e dell'aiutiamoli a casa loro non funziona. Austria, Ungheria, Slovenia, Grecia e Olanda si illudono che basti costruire un muro e fare qualche dichiarazione bellicosa per fermare le persone che non sono riuscite a lasciare Kabul e che si stanno ammassando al confine con il Pakistan e con l'Iran. L'Europa dunque, prima di tutto, deve dotarsi di una strategia di politica estera - come ricordava anche il Ministro Di Maio - perché quanto successo in Afghanistan è un problema di politica estera. Esiste il nodo di quale tipo di relazioni avere con i talebani e di come rispondere alla repressione interna ed ai possibili tentativi di destabilizzazione che verranno dall'Afghanistan. Si devono rafforzare i legami con i Paesi delle regioni limitrofe e cercare soluzioni all'instabilità dell'Afghanistan, quello che il Presidente Draghi sta cercando di fare con il G20. A me pare, su questo terreno, un segnale importante anche la decisione di mantenere nell'area, a Doha, la nostra rappresentanza diplomatica afgana, così come è importante e cruciale il lavoro diplomatico in queste ore del Ministro Di Maio. Occorre capire se c'è un modo per costringere i talebani a mantenere nei fatti quanto dicono a parole e - mi sia consentito -, guardando alla formazione del Governo che si sta facendo proprio in questi minuti, onestamente, nutriamo molte perplessità che questo possa essere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Evitare che tutti gli afgani scappino dal proprio Paese: questa è la priorità. Purtroppo, finora, però, solo dall'Italia si chiede che le decisioni sulla politica estera siano prese a maggioranza e non all'unanimità, di fatto rendendo la politica estera dell'Europa ostaggio di Orbán, oppure di Kurz. L'Europa, dunque, è di fronte ad un tornante, ancora una volta: a meno di due anni dall'esplosione della crisi sanitaria, sociale ed economica, causata dall'emergenza COVID, siamo – Governi, Parlamenti, opinioni pubbliche - interpellati sul tipo di risposta da dare alla domanda che la storia ci pone. Vogliamo dare alla casa comune fondamenta e mura più solide, intraprendendo la strada della solidarietà, della condivisione, dell'unità vera, e non solo declamata, come abbiamo fatto dopo l'emergenza COVID, cancellando le ricette dell'austerity, del rigore finanziario, della ceca sudditanza agli interessi nazionali, oppure vogliamo restare fermi sulle gambe, pensando che quello che accade lontano dai nostri confini non ci riguarda? Scegliendo questa seconda via non solo commetteremmo un grande errore strategico, consegnandoci ad un destino di “nano politico”, ma soprattutto verremmo meno ai valori ispiratori dell'Unione europea. Nella lectio magistralis dedicata ad Alcide De Gasperi qualche anno fa, il Presidente Mattarella ricordava che “l'unità europea, in un certo senso, è sempre un'impresa in salita, dove, alle difficoltà ed alle visioni anguste, si devono contrapporre fattori ideali e politici”. E ancora: “Sprovvista delle sue autentiche ambizioni, l'Europa non può esistere. Non sono le banche o le transazioni commerciali che hanno determinato l'Unione Europea, ma uomini politici e Parlamenti lungimiranti”. La lungimiranza, quindi, oggi, è quanto mai necessaria nei Governi e nei Parlamenti dell'Unione. La lezione afgana ha a che vedere anche con i rapporti tra l'Europa e gli Stati Uniti. Noi - come affermato anche dal Presidente Draghi - non crediamo al ritiro generalizzato, all'abbandono e all'isolazionismo, ma -come detto dal Presidente del Consiglio - ci sono linee guida diverse dal passato. Questa situazione interpella, prima di tutto, l'Europa e le sue scelte strategiche per il futuro, che non possono essere di competizione, ma di cooperazione, cooperazione che trova ovviamente ragione nella visione strategica che ci accomuna, ma direi principalmente nella fratellanza e nella comunanza di valori su cui fondano le nostre società, nella medesima visione di una società fondata su libertà, uguaglianza, giustizia, tutela dei diritti di tutti e ognuno.

Signor Presidente, Ministri, ci sono momenti nella storia che impongono riflessioni e cambiamenti di straordinaria rilevanza: questo è uno di quelli. Credo, anzi, sono sicura che, così come è accaduto in queste settimane, il Governo continuerà a mantenere uno stretto rapporto con le Camere, informando e ascoltando gli orientamenti del Parlamento.

Un'ultima considerazione che riguarda noi, riguarda l'Italia: penso che l'eccezionale opera svolta dai nostri militari e diplomatici nell'inferno dell'aeroporto di Kabul sia una conferma che, come abbiamo visto anche nella mobilitazione dell'intera comunità nazionale contro il COVID, il nostro Paese ha le energie, le competenze e le risorse per combattere e vincere le sfide, anche quelle più difficili. Di questo dobbiamo essere orgogliosi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Congratulazioni).