Data: 
Giovedì, 20 Aprile, 2023
Nome: 
Debora Serracchiani

Grazie, Presidente. Ministro, dopo averla ascoltata attentamente - mi perdonerà se mi consento una battuta - mi verrebbe da dire che l'intervento è riuscito perfettamente ma il paziente è morto. Mi verrebbe da dire questo, Ministro, perché a sentir lei è andato tutto bene, giuridicamente e nei fatti. Invece, Ministro, sono tante le cose che non tornano e gliene voglio ricordare soltanto alcune: non torna il fatto, ad esempio, che quella famosa nota degli americani non sia stata mandata tempestivamente alla Corte d'appello e alla procura; non torna il fatto, ad esempio, che neppure la rogatoria da Washington sia stata mandata tempestivamente a Milano, tant'è che, pensi, Uss non solo era a casa ma ha utilizzato brillantemente i suoi due cellulari e anche le carte di credito. Soprattutto però, Ministro, in tutto quello che lei ci ha raccontato non tornano i tempi di reazione suoi e del Ministero, perché, vede Ministro, non si tratta soltanto del fatto che quelle note non sono andate dove dovevano andare tempestivamente, ma non è neppure del tutto corretto quello che lei ha affermato - ce lo consenta, Ministro - perché il sistema consente proprio a lei, Ministro, di attivarsi per salvaguardare l'interesse dello Stato richiesto per prevenire il rischio di rendersi inadempiente di fronte all'obbligo di consegna. Quindi lei, Ministro, poteva intervenire. Guardi, non sta a me fare l'avvocato di nessuno, ma nessuno le sta dicendo che lei poteva intervenire. Si è detto, però, che poteva - questo si: questo poteva farlo, Ministro - chiedere un aggravamento della misura. Questo ce lo dicono proprio gli articoli che lei ha citato.

Quindi, ricapitolando, Ministro, le note non sono arrivate per tempo a chi di dovere e le risposte che sono state date dal Ministero sono quanto meno curiose. Ricordiamo che agli americani abbiamo detto che gli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico equivalgono alla detenzione in carcere e questo lo ha scritto il Ministero. E poi non ci si è attivati in quattro mesi, neppure durante le procedure di estradizione (ce n'erano due), a chiedere, appunto, di valutare se vi fossero le condizioni per un aggravamento della misura.

Questi sono i fatti, Ministro, e ora assistiamo, però, a un maldestro tentativo, da parte sua e del Ministero, di trovare un capro espiatorio di quanto accaduto e di scaricare la responsabilità sui giudici.

Vede, Ministro, lei oggi ancora una volta viene in quest'Aula e ancora una volta non si assume la responsabilità di fatti gravissimi che riguardano il suo operato e quello del Ministero che rappresenta, che è evidentemente incapace e inadeguato nella gestione di una vicenda delicatissima che ha, peraltro, esposto il nostro Paese a una figuraccia internazionale e la responsabilità che le attribuiamo, Ministro, è una responsabilità tutta politica.

Vede, Ministro, quello che ci ha appena detto è gravissimo. Cioè, lei ha confermato che sta avviando un'azione disciplinare nei confronti dei giudici per una decisione fondata su elementi di merito che nessuno, peraltro, ha impugnato. Ha detto che stima il procuratore generale. Allora, Ministro, se quella decisione presa dalla Corte d'appello non avesse avuto alcuna motivazione sarebbe potuto intervenire. Ma se quella motivazione c'è, la domanda che allora mi faccio è la seguente: perché, Ministro, il procuratore generale non l'ha impugnata? E allora, Ministro, l'azione disciplinare non la fa solo nei confronti dei giudici della Corte d'appello: ci ha per caso detto che la fa anche nei confronti del procuratore oppure no? Perché altrimenti non torna rispetto alla sua ricostruzione.

Ma le voglio ricordare soprattutto, Ministro, che il codice disciplinare afferma che l'attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove non danno luogo a responsabilità disciplinare. Vede, Ministro, mi verrebbe facile domandarle come mai i suoi collaboratori si dilettano a rivelare notizie riservate anche in quest'Aula e non trasmettono, invece, agli organi giudiziari informazioni fondamentali per la corretta esecuzione degli atti di cooperazione internazionale (ma sarebbe troppo facile). Se per nascondere questa realtà e pur di non assumersi la responsabilità arriva a minare in radice l'indipendenza e l'autonomia della magistratura, allora vuol dire che si sta prendendo una strada contraria alla nostra Costituzione repubblicana e molto più simile a quella imboccata da alcune democrazie illiberali. È la prima volta, Ministro, che la decisione presa da un collegio giudicante, dopo un regolare contraddittorio fra accusa e difesa, diventa oggetto di un illecito disciplinare. È la prima volta che ciò accade in questa Repubblica!

La sua decisione è di inaudita gravità ed è una decisione tutta politica e, come tale, ancora più grave. È grave per la palese ingerenze e per l'attacco ai principi costituzionali della separazione dei poteri e dell'indipendenza della magistratura ed è grave per le conseguenze pratiche che potrà avere. È fondato, infatti, il timore degli avvocati di fronte al rischio che questa decisione possa portare ad evitare la concessione dei domiciliari, come sono fondati lo sconcerto e la preoccupazione dei giudici i cui provvedimenti si possono e devono contestare nel processo attraverso lo strumento delle impugnazioni, ma mai attraverso le azioni disciplinari, che, semmai, servono a sanzionare eventuali loro comportamenti illeciti ma non gli atti. Di più, Ministro, la sua decisione fa dire a uno dei suoi predecessori che siamo addirittura nel campo del dadaismo più che dell'ordinamento giudiziario.

Io aggiungo, Ministro, che non sappiamo davvero più che fine abbia fatto Carlo Nordio, che, quando è venuto in quest'Aula per presentarsi come Ministro, ci ha detto che occorreva limitare al massimo la carcerazione preventiva e che “il paradosso più lacerante è che tanto è facile entrare oggi in prigione prima del processo, da presunti innocenti, quanto è facile uscirne dopo la condanna da colpevoli conclamati” (sono le sue parole, Ministro). È lo stesso Ministro che oggi accusa i giudici di grave e inescusabile negligenza di fronte ai fatti in base ai quali, al contrario, sono ormai evidenti le grandi responsabilità commissive ed omissive del suo Ministero. Faccia, quindi, un'ispezione, ma la faccia all'interno del suo Ministero e non minacci delle azioni disciplinari nei confronti dei giudici, perché che qualcosa non torni, Ministro, lei lo sa e ne è assolutamente responsabile.

Ministro, concludo. Un grande giurista ha affermato: “Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra”. Sono le parole di Piero Calamandrei. Lei, Ministro, entrando nel palazzo di giustizia di Milano con questa iniziativa disciplinare rischia di far uscire la giustizia dalla finestra. Se lo rammenti.