Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 1 Luglio, 2019
Nome: 
Paolo Siani

Grazie Presidente, grazie sottosegretario, grazie cari colleghi. Questa mozione, Presidente, è una mozione importante. È importante perché è decisiva per molte persone. Noi stiamo parlando, oggi, qui, non solo di promuovere la lotta al cancro, ma di renderla una priorità per la politica sanitaria nazionale. E quindi oggi qui vorremmo provare a orientare in tal senso la legislazione. È un impegno importante per tutti. Avete già sentito i numeri, l'epidemiologia del fenomeno, che è impressionante. La proiezione dell'OMS nel 2030 è di 21 milioni e mezzo di persone malate di cancro. L'Italia vanta, al 2018, circa 380 mila nuovi casi diagnosticati. Di questi, 180 mila muoiono.

Le quattro patologie più importanti sono a carico del colon retto, della mammella, del polmone, della prostata e della vescica. Tumori che possono essere, tutti e cinque, che sono i più frequenti, curati dai medici. È altrettanto vero, però, che numerosi studi indicano una incidenza diminuita dei tumori in questi ultimi anni, dovuta fondamentalmente al miglioramento delle nostre capacità diagnostiche, cioè siamo più bravi a capire il tumore come si manifesta e interveniamo prima. Questo successo della scienza è dovuto certamente agli screening, che quindi vanno implementati su tutto il territorio nazionale e vanno fatti diventare livello di cura essenziale.

Poi c'è un capitolo molto fastidioso, anche da raccontare, un capitolo molto piccolo, che sono i tumori pediatrici, che rappresentano soltanto l'1, massimo il 2 per cento di tutti i tumori, con un'incidenza pari a 180 nuovi casi ogni milione di bambini da 0 a 14 anni. Ma questi tumori sono la seconda causa di morte dei bambini, fino a 18 anni, dopo i traumi. Quindi, sono pochi, ma fanno morire i bambini. È anche vero che la sopravvivenza dei tumori pediatrici sfiora l'80 per cento, cioè siamo in grado di curare bene questi bambini che hanno una sopravvivenza, a cinque anni, abbastanza soddisfacente.

Quindi, in premessa: il cancro è la principale causa di malattia nel mondo, è la seconda causa di morte nell'età pediatrica, l'incidenza sta diminuendo perché migliorano gli screening e le cure funzionano, perché il 60 per cento dei pazienti con un tumore ha una sopravvivenza molto buona, a cinque anni. Però, non è per tutti così, perché?

Perché vi sono delle disparità di cure, ossia fattori culturali, socio-economici, fattori ambientali, fattori di esposizione a fattori di rischio, immagino la obesità, il fumo, che fanno sì che non tutti abbiano lo stesso approccio, la stessa fortuna nell'essere curati. Vi sono in oltre disparità di trattamento nelle diverse gestioni dei tumori all'interno delle singole regioni e nel nostro Paese. Vorrei soltanto ricordarvi due numeri, ossia che le regioni del nord - cito soltanto Emilia-Romagna, Toscana e Veneto - hanno un tasso di sopravvivenza a cinque anni che supera il 55 per cento; Sicilia, Sardegna e Campania sfiorano sì e no il 50 per cento: è abbastanza intollerabile. Perché tali differenze? Per molti motivi: il primo è che le regioni del sud c'è una scarsa adesione ai programmi di screening per cui il tumore viene riconosciuto troppo tardi, quando è già in stadio avanzato e quindi la cura riesce meno. Secondo, perché in queste regioni i fattori di rischio non sono contrastati cioè si fuma di più, si fa meno attività fisica e c'è un maggior eccesso di peso. Per cui ricapitolando: Veneto sopravvivenza a cinque anni 56 per cento; Campania 50 per cento. Quindi non basta fare programmi di prevenzione: bisogna vedere se funzionano e come funzionano ed è evidente che, perché la prevenzione funzioni, c'è bisogno di una comunicazione che sia condivisa, che sia efficace, che sappia arrivare lì dove deve arrivare. È necessario spiegare gli stili di vita che vanno seguiti ed è necessario controllare l'inquinamento ambientale sia all'esterno sia all'interno delle case. Lo studio SENTIERI ci dà dati molto scoraggianti sull'inquinamento ambientale. Ma il dato che più mi preoccupa e che più ci deve preoccupare è che le condizioni socioculturali della popolazione influiscono moltissimo sulla prognosi dei tumori. Il sottosegretario lo sa bene, la salute coinvolge molte politiche: politiche lavorative, abitative, sociali e riguardanti anche l'istruzione, perché si faccia una buona sanità tutto questo deve funzionare insieme in rete. Voglio illustrarvi ma forse il sottosegretario già lo conosce, uno studio di qualche anno fa apparso in una rivista importante, Annals of Oncology, realizzato a Napoli nell'Istituto nazionale tumori, l'Istituto Pascale, un istituto pubblico. Sapete qual è la parola più spesso citata in questo lavoro degli scienziati napoletani? Non è “tumore”, non è “cancro”, non è sopravvivenza ma è “sorprendente”, cioè gli scienziati si sono sorpresi dei loro stessi risultati. Ve lo dico in modo semplice: stessi ricercatori, stesso setting, stessi farmaci, stesso tipo di tumori e i poveri guariscono di meno. Gli stessi ricercatori, cioè, non sapevano spiegarsi perché tra i loro stessi pazienti ricchi e poveri c'era una differenza; loro erano sempre gli stessi e li curavano tutti allo stesso modo ma in più scoprirono che chi non era povero all'inizio del trattamento e lo è diventato nel corso degli anni con il tumore ha il 20 per cento in più di rischio di morire rispetto a chi non era povero. Se questo è sorprendente per i ricercatori, è insopportabile per la politica; è insopportabile per tutti noi qui dentro. Voi mi direte - il sottosegretario lo sa bene - che esiste negli Stati Uniti un termine, financial toxicity: gli americani sanno che un tumore provoca danni anche economici a chi ne è ammalato. Lo sappiamo, non è una novità per noi ma per noi italiani, per noi europei è uno shock, considerato che abbiamo un Sistema sanitario pubblico nazionale addetto a tutti. Ebbene, i ricercatori hanno cercato di capire perché i loro pazienti poveri si ammalavano di più e morivano di più e hanno fatto sei punti: il primo è il costo della burocrazia soprattutto al Centro e al Sud; il secondo sono i tempi di attesa che sono lunghi dappertutto ma un po' peggio al sud e, quindi, orientano verso attività intramoenia per chi può permettersela; il terzo punto sono le difficoltà lavorative e quindi minor reddito; al quarto posto c'è un costo di trattamenti integrativi, tipo fisioterapia, che non può essere sostenuto da chi è povero; il costo dei trasporti e gli stili di vita che vanno di fatto modificati nel corso della malattia. Quindi, come sto cercando di dirvi e di farvi comprendere, non è un problema sanitario: gli scienziati sanno curare i tumori, li sanno individuare, li sanno curare bene. È problema socio-sanitario.

Voglio farvi un altro esempio di un tumore molto diffuso, la seconda causa di tumori nel nostro Paese, il tumore della mammella, che ha ottimi risultati sul territorio nazionale, al nord e al sud; la stessa sopravvivenza al nord e al sud; le stesse terapie al nord e al sud. Ma sapete che cosa succede? Le donne deprivate, le donne povere del Sud ma anche del Nord ricevono due procedure che sono standard linee guida, cioè biopsia del linfonodo sentinella e chirurgia conservativa e poi radioterapia, nel 30 e nel 34 per cento in meno rispetto alle donne ricche. Quindi la diagnosi viene fatta, la cura viene effettuata ma hanno due possibilità in meno di essere curate bene e anche di avere conservazione del loro organo.

Per tutti questi motivi e perché è un problema enorme e per ora non sanitario ma socio-sanitario, vogliamo che la mozione impegni il Governo a fare alcune cose che non sono cose di secondaria importanza per un Paese che ha questi numeri. Il primo punto è adottare un nuovo piano oncologico che si basi sì sulla centralità del paziente ma che tenga conto del paziente in tutte le sue sfaccettature e, quindi, anche delle condizioni socio-economiche perché noi medici sappiamo bene che curare un ammalato che abita a Milano, nel centro di Milano, e che è ricco è ben diverso da curare il paziente con la stessa malattia che abita a Secondigliano e che è povero. C'è bisogno di altri approcci sia diagnostici sia terapeutici e c'è bisogno che nel piano oncologico ci si renda conto che non è più la medicina tutto vale per tutti ma ogni paziente ha bisogno di quella sua specifica medicina, di quel suo specifico farmaco, che significa anche sapergli far comprendere che è importante che lui lo prenda.

Il secondo punto che vorremmo che fosse all'attenzione del nostro Governo e del Parlamento è il fatto che vengano riattivate le reti oncologiche ed emato-oncologiche con i registri dei tumori nazionali. Senza i registri non capiremo mai come si fa davvero prevenzione. Il registro ci aiuta a capire come il fenomeno va avanti e ci aiuta a dare dati certi, concreti, non impressioni di un singolo medico o di un singolo scienziato ma ci dice quello che accade in quel territorio. Vorremmo, come terza cosa, che si individuassero per l'area pediatrica centri di eccellenza distribuiti in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale perché guardate che non possiamo avere in ogni città un polo oncologico ma possiamo averlo in ogni regione e in ogni gruppo di regioni. Noi sappiamo molto bene ormai, con dati confermati da tutta la letteratura, che il bambino curato in un centro di oncologia pediatrica viene curato meglio e vive di più. Per cui dobbiamo far sì che la popolazione pediatrica si rivolga ai centri pediatrici di eccellenza: ce ne siano tre, quattro, cinque in Italia ma che ci siano e che funzionino e che siano messi in condizione di funzionare bene. Ma sappiamo anche che il tumore pediatrico ha un problema enorme di lunga distanza: un bambino che ha un tumore pediatrico ha un rischio più alto di fare una seconda neoplasia. Ma è un rischio più alto anche per gli effetti tardivi dovuti alla terapia che affronta nell'età pediatrica e, quindi, c'è bisogno di un servizio che sia assolutamente multidisciplinare, che guardi il problema da più punti di vista per far sì che il bambino malato di tumore guarisca e non ricada nell'età da adulto. Vi cito soltanto l'infertilità che è una delle più frequenti cause dovute alla terapia che il bambino deve affrontare in età pediatrica. Esiste infatti un registro italiano degli off-therapy, il ROT, che serve esattamente a questo: a seguire bambini off-therapy e a vedere che cosa succede nella loro crescita e questo registro deve essere in grado di fare ricerca, sviluppare linee guida sugli effetti tardivi. Però i bambini hanno molteplici problemi: per esempio i farmaci; usiamo farmaci off-label in pediatria, usiamo farmaci non sperimentati sui bambini. Noi ci adattiamo solo rispetto ai farmaci giusti per i bambini. C'è bisogno di investimento nella ricerca biologica e nella ricerca pre-clinica: bisogna far sì che anche per i bambini vi sia accesso a nuove cure innovative ed efficaci.

Poi c'è il punto cruciale di inquinamento ambientale: sappiamo che è un punto delicato, che coinvolge molte professionalità ma, senza averlo risolto, facciamo una corsa ad ostacoli.

Infine chiediamo che ci sia davvero la messa a punto decisiva dei famosi piani terapeutici assistenziali per tutte le forme di tumore e che di questi PDTA facciano parte integrante le associazioni dei pazienti perché senza conoscere quello che pensano i familiari dei pazienti affetti da tumore o gli stessi pazienti di tumore, noi non riusciremo mai a curarli bene fino in fondo; se non abbiamo dentro le nostre organizzazioni di medici anche il parere dell'ammalato, noi non saremo mai dei medici all'altezza.

Vi chiediamo che ci sia un approccio, quindi, multidisciplinare e un lavoro di équipe per questi PDTA, che validino anche l'aspetto socio-sanitario. Chiediamo che ci sia un sostegno finanziario importante, forte per i nuovi farmaci oncologici. Io voglio citarvi una frase: “Il cancro ha già perso”. Questa è una frase di uno scienziato italiano, partenopeo, che è Michele Maio, che ha scritto da poco un libro e l'immunoterapia oncologica ha avuto il Nobel per la medicina l'anno scorso: lui sostiene che, grazie all'immunoterapia oncologica, i tumori possono essere sconfitti. Il melanoma è uno di quelli che sta su questa strada: riusciamo a contrastarlo e anche a sconfiggerlo. È una terapia nuova, non sono più chemioterapie; è una terapia che dà risultati straordinari, ma è costosa: va fatta ricerca ancora, va sostenuta. Lui ci dice - e io me ne sento fortemente responsabile - che la politica sanitaria può e deve fare molto di più per mettere in campo nuove strategie, che sono sì costose, ma che, alla lunga, sono assolutamente economicamente vantaggiose, fanno dei risultati straordinari sulla vita dei pazienti.

Infine, le ultime due cose che voglio dirvi sono le seguenti: dare informazioni chiare e puntuali sulla ricerca clinica e sugli studi in un campo così delicato, come è l'oncologia. In questo tema non ci si può affidare a Internet, non si può leggere la prima frase su Internet e farsene un'idea e avere una convinzione: per fare informazione bisogna che venga adattata e personalizzata ad ogni paziente, perché sia formazione seria, profonda, che dia risultati, bisogna informare i pazienti di tutto ciò che accade in quel momento nella loro vita e, cioè, della terapia, delle possibili terapie che funzionano, degli insuccessi e anche dei percorsi alternativi che, in certi casi, esistono; ma bisogna assolutamente rimettere in moto il dialogo paziente-medico, ristabilire la fiducia tra medico e paziente. Solo così possiamo contrastare le fake news, che sono molto frequenti, purtroppo, in campo scientifico.

La letteratura scientifica lo dice in modo molto chiaro che una buona comunicazione influisce in modo molto positivo su una serie di indicatori, per esempio, sulla terapia, sul controllo del dolore, sul miglioramento del benessere fisico e psicologico del paziente. Cioè, saper comunicare al paziente notizie giuste, notizie vere, notizie comprensibili, migliora tutto questo. Quindi, bisogna promuovere - in questo è importante la formazione - gli screening oncologici, bisogna sapere le zone in cui ci si sottopone meno agli screening, essere noi ad andare da quelle popolazioni a rischio a fare gli screening e a sottoporgli questa possibilità di intercettare molto presto un tumore, perché che sappiamo con certezza che questo funziona.

E sulla mammella c'è bisogno assolutamente, sottosegretario, di rimettere in campo le breast unit, perché sono ferme da un po' di tempo e non tutte le regioni le hanno attivate. Noi sappiamo che queste unità di terapia multidisciplinare, danno un successo, il 18 per cento in più alle donne che si rivolgono a queste unità, perché guardano al problema della mammella sotto tutti i punti di vista; non farlo, effettivamente, è colpevole.

Infine - e concludo con questo -, voglio ribadire il concetto che se vogliamo davvero affrontare il cancro in modo serio, in modo consapevole, nel modo di un Paese all'avanguardia, perché siamo su molti temi all'avanguardia, dobbiamo fare una scelta, una scelta economica. Non voglio qui rubare il pensiero agli economisti, però sostenere la ricerca innovativa e investire sui tanti ricercatori che esistono nel nostro Paese non è un investimento a perdere, ma è assolutamente un vantaggio per il nostro Paese.

Allora, io credo che sia per noi, per noi tutti indispensabile e, ormai, non più procrastinabile trattenere in Italia i nostri migliori giovani, che non siano costretti più ad andare a fare fuori dal nostro Paese esperienze, per poi non tornare più. Noi formiamo dei ragazzi straordinari, investiamo dei soldi sulla loro formazione, ci dedichiamo alla loro crescita e, poi, li facciamo andar via. Questo per noi è un depauperamento culturale eccessivo, che non possiamo più permetterci.

Per cui io credo che perché questa mozione abbia un senso, perché si parli di un tema così importante, bisogna fare una scelta, capisco, non facile, ma bisogna almeno pensare a investire sui giovani, a investire in ricerca e a investire in ricerche innovative, perché il cancro davvero si può sconfiggere e la immunoterapia biologica davvero è una svolta decisiva per combattere il tumore, purché ci si mettano soldi, competenze e passione.