Discussione generale
Data: 
Lunedì, 5 Febbraio, 2024
Nome: 
Andrea Casu

A.C. 1457​ e abbinate

Signor Presidente, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, il mio intervento di oggi si collega idealmente a quello già svolto dalla senatrice Rojc nella dichiarazione di voto al Senato, che qui alla Camera sarà affidata, per il nostro gruppo, a Gianni Cuperlo, e sarà l'occasione per ribadire, ancora una volta, la limpida posizione del Partito Democratico e della nostra comunità su questo tema. Una posizione che è ancora più forte quando viene espressa da chi è nato e cresciuto lungo gli opposti sentieri di quel martoriato lembo di terra, scolpito dal vento e della storia, chiamato un tempo confine orientale, ma che riguarda tutte e tutti noi: la nostra storia, la storia d'Italia e la storia d'Europa.

In discussione generale penso sia fondamentale inquadrare l'ambito nel quale interviene la proposta di legge in esame. Nel 2004, è stato ricordato, è stato istituito il Giorno del Ricordo, con una legge che ha voluto porre le basi di una riconciliazione nazionale doverosa, necessaria, e credo che chiunque venga chiamato oggi a prendere la parola debba tenerne conto. Sono un parlamentare romano e non dimentico quando, il 10 febbraio 2008, eravamo in occasione del quarto Giorno del Ricordo, è stato inaugurato, a largo Vittime delle foibe istriane, un monumento commemorativo per le vittime dei massacri delle foibe. Allora ero un giovane consigliere municipale e ricordo le emozioni in quel quartiere Giuliano-Dalmata che è diventato negli anni, nella nostra città, la casa di migliaia di profughi che sono diventati romani a partire da quel matrimonio, quel primo matrimonio, quando il 7 novembre 1948 il fiumano Armando Chioggia sposò, nella piccola cappella del Villaggio, la romana Fernanda Tombesi. Oggi, a distanza di 20 anni dall'approvazione di quella legge, siamo tutti chiamati ad avanzare, non indietreggiare, in questo percorso.

Non onora mai le vittime usare questa tragedia, non onora mai le vittime usare alcuna tragedia per fare propaganda politica. Strumentalizzare ogni tragedia è sempre un errore, un peccato gravissimo, che contraddice lo spirito stesso anche della legge che abbiamo votato in Parlamento, quasi all'unanimità, 20 anni fa e del percorso che stiamo portando avanti. E voglio ricordarlo proprio con le parole della senatrice Rojc al Senato: “Questi decenni hanno segnato un cambio di passo in quel percorso di amicizia e collaborazione tra due comunità, due Nazioni, due Paesi confinanti, che tutti dobbiamo impegnarci a consolidare. Nella giornata del 13 luglio 2020, i Presidenti delle Repubbliche di Italia e Slovenia, Sergio Mattarella e Borut Pahor, hanno posto Trieste al centro del mondo, tenendosi per mano in due luoghi simbolo del Novecento giuliano per guardare al futuro”.

La memoria storica rappresenta il nostro futuro. Il Giorno del ricordo non può diventare mai e non deve diventare mai monopolio di una parte, soprattutto in quei luoghi così significativi che ne determinano la sacralità. Per noi questo è motivo di profondo rammarico quando avviene, perché dobbiamo rispetto a tutte le vittime e a tutti gli esuli. Tragedie così grandi non si possono utilizzare al fine di un consenso per se stessi o per la propria parte politica. Nella memoria dolorosa si ha il dovere di entrare con il passo rispettoso, senza forzature e senza l'intendimento di voler imprimere il proprio marchio politico alla tragedia di migliaia di persone, che passa in seconda linea o, peggio, viene dimenticata. È importante non dimenticare, non dimenticare chi ha dovuto lasciare tutto, cercare di ricostruire una vita altrove, non dimenticare i morti per mano dell'ideologia, tutti i morti per mano delle ideologie. Ed è importante che le più alte istituzioni parlamentari, la Camera, il Senato della Repubblica, non abbandonino mai al monopolio di una parte politica un discorso storico che ha permesso, attraverso una legge votata nel 2004, ulteriori passi. Oggi noi lo rinnoviamo, con nuovi strumenti e lo rinnoviamo in un momento in cui i venti che stanno soffiando nel mondo, anche nel nostro Paese, sono venti di odio, e richiedono più memoria, richiedono più strumenti, richiedono tutta la memoria di cui siamo capaci per dare più opportunità alle nuove generazioni di orientarsi in un mondo che sta cambiando tanto velocemente.

Noi voteremo anche questa proposta perché vogliamo sempre guardare la storia negli occhi, con entrambi gli occhi bene aperti, con l'occhio destro e con l'occhio sinistro sempre bene aperti, senza passi indietro o passi di lato, senza giravolte a seconda del tema che viene affrontato. E, per farlo, la storia, che noi stiamo andando a onorare e rinnovare, con l'impegno attraverso il provvedimento in esame, la voglio ricordare come ha fatto Gianni Cuperlo in Commissione lo scorso 30 novembre, in I Commissione affari costituzionali.

Ha ricordato un fatto anche personale. Gianni è nato a Trieste e nel 1989 è stato il primo esponente del Partito Comunista Italiano di quelle terre a rendere omaggio, a nome del Partito, alle vittime dell'eccidio della Foiba di Basovizza. Richiamando la definizione di Predrag Matvejević, per il quale, se l'Atlantico è il mare della distanza e il Mediterraneo è il mare della vicinanza, allora l'Adriatico è il mare dell'intimità, nonostante quell'intimità quanto ci si è potuti odiare, quanti e quali conflitti sono deflagrati in un territorio che per secoli ha mescolato lingue, religioni, culture e identità.

Dovremmo tutti conoscere la storia di quei conflitti prima di affrontare, anche dal punto di vista politico, queste vicende. Nel 2004, il Giorno del ricordo delle vittime delle foibe è stato individuato nel 10 febbraio, perché in tale data, nel 1947, furono firmati i Trattati di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia i territori di Istria, Zara e del Quarnaro, dando vita alla drammatica vicenda di circa 300.000 esuli partiti da quelle terre, prevalentemente italiani, ma anche sloveni e croati.

Per anni, su quella vicenda è calato un silenzio colpevole, tanto da parte delle principali forze politiche del Paese, tanto da parte della Democrazia Cristiana, quanto da parte del Partito Comunista Italiano. E, anche oggi, commettiamo un errore se sovrapponiamo la memoria dello scontro tra fascismo e antifascismo al riconoscimento delle complessità di quella pagina della storia, caratterizzata dallo scontro tra opposte aspirazioni nazionali, dalle più diverse appartenenze politiche.

Sul confine orientale non si sono consumate deportazioni, espulsioni o pulizie etniche, bensì fenomeni di sostituzione nazionale e questi fatti non sono meno gravi della pulizia etnica. Prima, in esito della Prima guerra mondiale, il regime fascista ha allontanato migliaia di sloveni e croati dalle regioni italiane, poi gli Accordi di pace del 1947 hanno prodotto l'esodo dall'Istria. Nella lotta politica può sempre esserci spazio per i compromessi, ma quando la lotta è nazionalistica ciò non è consentito, perché il nazionalismo, per definizione e storia, incuba e semina odi che, alla fine, possono solo esplodere.

Pensiamo all'impresa di Fiume e ai conseguenti pogrom verso i cittadini croati - quelli che D'Annunzio sminuì, definendoli impeti di passione - e, poi, all'incendio per mano fascista all'Hotel Balkan il 13 luglio 1920, sede delle istituzioni slave a Trieste, con conseguente pogrom anti-sloveno e rogo di 134 edifici, ed eravamo prima della marcia su Roma. Pensiamo all'internalizzazione dei cognomi sloveni nel 1927 - tentativo di sradicare l'identità di un popolo -, fino all'esplosione, il 10 febbraio 1930, di una bomba nella sede del quotidiano fascista Il Popolo di Trieste, con conseguente rappresaglia e condanna a morte di quattro irredentisti slavi. Poi, la Seconda guerra mondiale ha sconvolto assetti, etnie e comunità e ciò, soprattutto, nelle terre di confine. Ancora, l'offensiva tedesca nella Jugoslavia e la persecuzione di 2 milioni di serbi, l'eccidio di ebrei e rom, la resistenza jugoslava e il caos che ha fatto seguito all'armistizio dell'8 settembre, l'uccisione dell'istriana Norma Cossetto, infoibata nell'autunno del 1943, e la nascita di opposte retoriche negazioniste, per arrivare agli anni Settanta, al Trattato di Osimo, fino all'incontro a Trieste, nel 1988, tra il Presidente della Camera Luciano Violante e il leader della destra di allora Gianfranco Fini, per tentare di ricomporre un quadro storico complesso e la gravità di una storia che ha visto vittime e carnefici.

Ricordare tutta la storia non serve a difendere la memoria degli orrori profondissimi, ingiustificabili, inaccettabili perpetrati da Tito e dai suoi seguaci. Non può essere attenuata una condanna totale, definitiva, irrevocabile, ma è necessario palesare la complessità di tutta questa vicenda storica per rendersi conto che è intraducibile, in una semplificazione strumentalizzabile, con le lenti della politica di oggi. Riconoscere responsabilità storiche, tutte le responsabilità storiche, è indispensabile. La storia non si può e non si deve mai piegare a una parte, si deve sempre guardare negli occhi, con entrambi gli occhi aperti. Ed è per questo che abbiamo votato, 20 anni fa, la legge per il ricordo di tutte le vittime delle foibe, abbiamo sostenuto in Senato questa proposta, continueremo a sostenerla qui, alla Camera, e sempre continueremo, in ogni sede, ad onorare la memoria di tutte le vittime, senza mai strumentalizzarne nessuna.