Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 25 Gennaio, 2016
Nome: 
Roberto Morassut

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Grazie, Presidente. Notoriamente, non è la prima volta che Roma tenta la corsa olimpica per aggiudicarsi l'organizzazione dell'evento, dopo la ormai lontanissima edizione del 1960. Gli altri tentativi, a partire da quello sfortunato per il 2004, sono stati segnati appunto da esiti sfortunati, o dalla impraticabilità delle condizioni stesse di partenza. 

Do quindi una prima risposta al collega Fassina sul fatto che, quando si è trattato di decidere senza avere le giuste condizioni di partenza, per l'organizzazione di questo evento, il Governo italiano si è ritratto e si è unanimemente preso atto di condizioni impraticabili. 
Questa volta, però, ci auguriamo qualche fortuna maggiore e delle condizioni, forse geopolitiche, interne al movimento sportivo e al movimento olimpico, meno proibitive delle altre volte. Soprattutto, ci auguriamo che questa occasione possa contribuire – cosa che conta moltissimo, secondo me e secondo noi –, a promuovere l'immagine internazionale di un Paese affidabile, di un Paese credibile, capace di prove importanti e soprattutto di un Paese in ripresa; non è scontato naturalmente, ma si tratta di una importante occasione. 
In questo senso, conterà molto, in questo tentativo peraltro già avviato, l'unità del Paese, la spinta, senza defezioni e senza timidezze, delle istituzioni, del mondo politico, della cultura e anche delle maggiori espressioni dell'economia nazionale e, insieme a tutto questo, conterà il consenso popolare, la partecipazione popolare, per dirla meglio, la voglia reale di ospitare questo evento, di gestirlo al meglio, di avere fiducia e di scommettere sulle capacità del Paese da parte della popolazione intera, ed in particolare quella di Roma, la città principale che ospiterà gli eventi. 
Quindi, è una sfida anche per la città; su questo concordo con un passaggio della mozione presentata da Sinistra Italiana, che cancelli la tradizione dei grandi eventi che hanno stravolto, spesso e volentieri, lo sviluppo della città o ne hanno esaltato gli aspetti negativi. L'occasione per un evento importante, capace di mobilitare risorse economiche e anche energie morali e intellettuali per avviare e per spingere la città nella direzione di uno sviluppo innovativo basato su nuove condizioni e nuove opportunità. 
La discussione di queste mozioni arriva – questo è un punto importante – quando però già il percorso organizzativo è avviato e formalizzato, secondo i tempi e le procedure che sono inevitabilmente dettate dal Comitato olimpico internazionale. Infatti, entro il settembre del 2017, vi sarà la proclamazione della città ospitante e, nel corso di quest'anno, vi saranno già delle scadenze dirimenti per la consegna dei dossier, del programma olimpico e di tutti gli approfondimenti che si renderanno indispensabili. Roma dunque è già in corsa ed il Governo italiano si è già impegnato nelle sedi formali, a livello internazionale, dopo un intenso – non come un atto arbitrario – percorso istituzionale che correttamente è partito dal consiglio comunale di Roma, che si è espresso favorevolmente alla candidatura e che di fatto la ha promossa. 
Questo è un punto centrale per la nostra discussione. La città ospitante, attraverso la voce dell'organo democratico e istituzionale più autorevole si è espressa per proporre Roma come sede dei giochi e, dopo un'intesa istituzionale, il Governo ne ha proposto la candidatura. 
Quindi è stato un percorso trasparente, nitido che rende impraticabile la condizione primaria, che viene espressa dalla mozione Fassina ed altri, di avanzare la candidatura solo dopo lo svolgimento di un referendum popolare. Il contributo che invece io penso questo dibattito può fornire invece è un altro e non riguarda la candidatura o meno, sulla base di una consultazione referendaria preliminare come ho detto impossibile, ma quello di spingere, diciamo, di lavorare, di dare al programma olimpico, alla sua elaborazione, alla sua organizzazione, alla sua gestione e anche al suo profilo tecnico e valoriale un segno giusto, che contribuisca a un risultato positivo, utile per l'Italia, per la Capitale, innovativo e con sane motivazioni ideali, dal momento che le Olimpiadi, va da sé, contengono anche questo elemento valoriale, ideale, che a certe condizioni è perfino più importante degli aspetti economici. 
I grandi eventi a Roma aprono sempre dei dibattiti retorici, da una parte, catastrofisti, dall'altra; io non credo che la mozione, che qui è stata presentata, voglia aderire alla corrente catastrofista; anzi, ne colgo alcuni aspetti giusti, la necessità che non si tratti di una cosa inutile e dannosa per la città. È vero che in passato molte edizioni sono state segnate da questo esito, non ultima la vicenda e l'esperienza delle Olimpiadi di Atene, ma ci sono state anche esperienze che invece hanno profondamente modificato il tessuto sociale-economico delle città che hanno ospitato gli eventi e che sono stati anche degli esempi importanti, e colti in misura purtroppo minimale, di come tali eventi possono essere spesso organizzati anche in funzione positiva; cito per esempio il caso di Sydney, ma soprattutto il caso di Barcellona che, dall'evento del 1992, ha trasformato completamente la propria realtà, rilanciando la città a livello internazionale, facendone una città che ha riacquistato un ruolo, una funzione e dato al proprio tessuto economico e sociale una nuova possibilità. 
Questa è la carta che dobbiamo cercare di giocare per la Capitale, sapendo che Roma ha avuto altre esperienze; io ho avuto la fortuna di partecipare alla corsa che si fece nel 97 per le Olimpiadi del 2004; la fortuna, perché questo mi ha dato la possibilità di conoscere un po’ dal di dentro certi meccanismi. Il dossier, il programma che oggi viene formulato per Roma è in qualche modo lo sviluppo di quella proposta del 97, con una differenza molto importante, che molte di quelle opere, che erano presenti in quel dossier e che erano già dentro la programmazione urbanistica della città, che poi si è completata e formalizzata successivamente con atti importanti di programmazione urbanistica, sono oggi, in buona parte realizzati; quindi Roma arriva a queste Olimpiadi con circa il 70 per cento delle opere, in parte già realizzate, in parte da completare e con una parte, nettamente inferiore, di nuovi interventi; nuovi interventi che starà al Paese, alla concertazione istituzionale, all'attenzione dell'opinione pubblica fare in modo che siano operazioni utili alla città nel post evento e utili ad un nuovo sviluppo economico della città. Ne cito uno in particolare e cioè puntare molto sull'utilizzo delle grandi risorse pubbliche, delle università, dei patrimoni pubblici delle università, localizzati nei comprensori universitari di Tor Vergata, di Pietralata e dell'Ostiense, per fare in modo che questi luoghi, queste zone e queste ambiti territoriali possano essere sede della realizzazione degli eventi e dell'ospitalità degli atleti e degli staff di accoglienza e possano poi essere utilizzati come occasione per lanciare i grandi campus universitari e formativi di Roma di cui questa città ha grande bisogno; perché, se è vero che la città deve uscire dalla logica e dalla camicia di forza della pubblica amministrazione, dell'edilizia e dello sviluppo intensivo, deve puntare sulla grande carta internazionale della formazione, sullo sviluppo della formazione universitaria, della cultura intorno alle proprie strutture pubbliche che oggi sono queste realtà.
Si tratta dei campus universitari della Sapienza, del campus universitario di Tor Vergata, del campus universitario di Ostiense-Marconi che possono essere i luoghi principe per lo svolgimento delle gare, per gli impianti e per l'accoglienza degli staff olimpici e degli atleti. Questo significa avere un'idea che è completamente diversa dal gigantismo tradizionale delle Olimpiadi che spesso e volentieri abbiamo conosciuto e che ha fatto tanti danni in altre edizioni e significa anche aderire con coerenza agli indirizzi che il movimento olimpico, sulla base di una riflessione critica delle esperienze passate, oggi già individua attraverso l'Agenda olimpica 2020 in cui dice no al gigantismo, no all'eccesso di costi, no alla concentrazione degli eventi nella città ospitante. E questo è un fatto importante perché il gigantismo degli interventi nasceva anche dall'idea tutta decubertiniana, cioè ottocentesca, che gli eventi dovessero tutti essere ospitati nella città che era risultata vincitrice dall'assegnazione dei giochi. Invece oggi si ragiona diversamente, si dice che sì, la città leader è quella che ospita ma gli eventi possono essere sparsi anche nel resto della comunità nazionale e questo consente di pensare ad un programma più spalmato su tutto il Paese, che coinvolga anche le altre comunità territoriali, che dia soddisfazione all'insieme del Paese e che eviti la concentrazione, il gigantismo solo dentro un'area territoriale, una grande area metropolitana. Sono opportunità importanti anche per avere i giochi perché, sulla base di questi criteri, il CIO assegnerà i giochi presumibilmente, auspicabilmente proprio alle città che risponderanno meglio a questi indirizzi innovativi in cui il tema ambientale sarà fondamentale, sarà importante. Ad esempio in quel dossier, in quel programma il dibattito può servire a dare al Governo e al comitato promotore il seguente indirizzo: che molti impianti siano rimovibili, che possano essere costruiti con poca spesa e poi smontati alla fine dell'evento, che possano essere impianti utili per le gare ma che non occupino nuovo suolo, che le aree di svolgimento degli impianti possano essere preservate e che quelli invece definitivi che saranno realizzati dovranno essere impianti costruiti con tecniche di bioedilizia, con il rispetto dei microclimi originali – ad esempio per quanto riguarda le gare degli sport acquatici questo è importantissimo – e che, laddove si debba costruire qualcosa di nuovo, questo sia già previsto dagli indirizzi urbanistici che la città si è data nelle aule consiliari con le sue decisioni strategiche e che queste strutture possano essere riutilizzate: impianti sportivi, strutture di accoglienza, campus universitari per gli studenti dopo i giochi e che sono le strutture di accoglienza per gli atleti e infrastrutture soprattutto per la mobilità e per il ferro. Questo significa muoversi anche in coerenza con la logica sulla quale purtroppo la nostra città, la nostra capitale, è molto in ritardo: considerarsi sempre di più in linea con la prospettiva delle cosiddette smart cities cioè di città intelligenti, città che puntano su progetti di basso impatto, sulla vivibilità e sul sistema della sostenibilità e che esaltano l'elemento tecnologico della organizzazione della città, del suo funzionamento, cosa importantissima per Roma. Infatti, se Roma può giocarsi una carta decisiva in questa competizione, è l'antichità, il fascino dell'antico di una città simbolo in tutto il mondo, anche se questo per certi aspetti può essere perfino considerato un elemento retorico, soprattutto il fascino di una grande città che guarda al futuro e che esalta tutti quegli elementi che l'innovazione e la tecnologia oggi offrono per trasformare le città e per migliorarle. Quindi abbiamo l'opportunità di fare una riflessione in questo Paese anche attraverso – sono d'accordo – forme di consultazione. Non possiamo fare un referendum perché le procedure purtroppo lo rendono impossibile. Va benissimo fare una grandissima consultazione popolare, portare il programma preliminare nelle scuole, nei territori interessati, tra i cittadini, far conoscere questo programma e assumere anche indicazioni critiche modificative, integrative da parte delle popolazioni che vivranno più direttamente l'arrivo dei giochi, lo svolgimento delle manifestazioni e fare in modo, quindi, che la partecipazione e la consultazione siano elementi virtuosi non soltanto di registrazione delle cose ma consentano al programma olimpico di inverarsi, di calare sulla città nel modo più accogliente possibile e di dare una spinta a questa città arenata, di rimettere in moto l'economia, di dare un'opportunità in più, come è stato in altre edizioni. 
Dovremmo rassegnarci a dire che questo non è possibile ? Dovremmo consegnare, anche questa possibilità, al novero della catastrofe, come spesso si è usato fare in occasione dei grandi eventi di Roma ? Mi ricordo il Giubileo del 2000, che fu descritto, all'inizio, come l'arrivo di una catastrofe. Ci fu un grande dibattito tra intellettuali, anche intellettuali di altissimo livello, che animarono una discussione sull'impatto dell'Anno Santo del 2000 come qualche cosa che avrebbe stravolto la città, l'avrebbe condannata al caos ingovernabile. Certo, l'organizzazione dell'evento fu complessa, ma ricordiamo che quell'evento, l'Anno Santo del 2000, fu anche una grandissima occasione per ridare alla città un'opportunità di crescita, alla quale poi sono seguiti problemi, ma sono seguite anche grandissime occasioni che, almeno in quegli anni, hanno fatto crescere Roma, l'hanno aiutata ad uscire da un momento di crisi economica e anche in prospettiva. 
Si tratta, quindi, di scegliere come starci in questo evento, non di renderlo retorico, non di costruirne un mondo dei sogni, neanche però quello di assegnarlo alla categoria delle catastrofi inevitabili. In questo la politica, il Parlamento, le istituzioni, le popolazioni, i cittadini, organizzati nelle reti civiche, possono svolge un importantissimo ruolo. Quindi, credo che questa occasione debba essere vissuta in questo modo per dare a Roma, alla nostra capitale e a tutto il Paese l'opportunità di riproporsi a livello internazionale non più solo come la città della mafia, del malaffare e della corruzione ma come una città, una capitale di un Paese che sa gestire correttamente, trasparentemente, con valori e con efficienza un grande momento, un grande evento che, comunque, è uno dei pochi momenti, dei pochi eventi capaci di parlare a tutto il mondo.