Discussione generale
Data: 
Lunedì, 22 Marzo, 2021
Nome: 
Luca Rizzo Nervo

Grazie, Presidente. Sono voluto intervenire in questa discussione, che ritengo molto importante, e lo faccio, Presidente, da uomo, da padre, da cittadino, perché credo che questa discussione mi riguardi. Non posso non notare, Presidente, come non vi siano altri colleghi uomini che oggi intervengono in quest'Aula su questo tema, quasi questa fosse una discussione fra donne, per le sole donne, una discussione a cui regalare al massimo l'attenzione di un applauso, di un sì con la testa, di quelli che nulla cambiano davvero rispetto alla comfort zone fatta di privilegi, diseguaglianze, ingiustizie di genere dentro cui, spesso nella più profonda ipocrisia, viviamo e che troppo spesso assecondiamo, così ribadendole come fossero normalità ineluttabili, abitudini che non abbiamo l'onestà e il coraggio di mettere in discussione per davvero, fino in fondo. E, invece, credo che sia importante, come uomo, padre, marito, cittadino, prendere parte. Lo farò per sostenere il lavoro di colleghi e di tante donne che su questi argomenti da tempo dentro e fuori dal Parlamento, nei consigli comunali, nella rete associativa femminile, con grande autorevolezza fanno sentire le loro voci. Lo farò perché le diseguaglianze di genere sono un peso insopportabile non solo per milioni di donne ma per il nostro Paese tutto, perché sono profondamente persuaso che temi come l'accesso al mercato del lavoro delle donne, l'equilibrio delle opportunità nei ruoli apicali, la parità salariale, il rafforzamento di strumenti di condivisione nella responsabilità genitoriale e di cura (non di mera conciliazione per le donne), il potenziamento della rete educativa dei nidi e delle scuole d'infanzia a supporto della missione educativa delle famiglie siano grandi questioni di modernità, di competitività, di civiltà per il nostro Paese. Per questo credo sia necessario fare parte di questa discussione, di una battaglia che non è solo battaglia di autodeterminazione delle donne ma deve essere una battaglia per una maggiore consapevolezza collettiva che manca nei più e che è necessario poi tradurre nei fatti concreti, una grande battaglia di emancipazione del Paese tutto per dispiegare in pieno uno straordinario potenziale inespresso o espresso fra troppe, assurde e arcaiche fatiche.

Si è parlato spesso in questi mesi, in riferimento alla pandemia, di una crisi simmetrica, cioè una crisi che, a differenza di altre, colpisce tutti allo stesso modo (tutto il mondo deve farci i conti), ma a ben guardare, Presidente, la pandemia è stata ed è tutt'altro che simmetrica. I dati su questo tragico 2020 ci dicono, in modo netto, inequivocabile, definitivo, che la crisi colpisce certamente tutti ma mostra il suo volto più feroce sulle donne, sulle giovani donne, sulle giovani donne madri. L'Istat ci ha detto che il 60 per cento dei posti andati perduti nel 2020 erano precedentemente occupati dalle donne. L'ispettorato del lavoro ci dice che nella quasi totalità dei casi nei primi tre anni di vita dei figli a dimettersi dal posto di lavoro pagato sono madri. Discuterei volentieri del fatto se, come dice il linguaggio dei nostri atti pubblici, siano davvero dimissioni volontarie. Le statistiche europee ci dicono di essere diventati ultimi in Europa per indice di occupazione delle giovani donne tra i 24 e i 29 anni. In Italia l'indice di occupazione femminile di qualità è inferiore di 20 punti - 20 punti - rispetto a quello maschile.

Possiamo davvero chiamarci fuori da tutto questo? Sento che questo è il tempo per assumersi definitivamente la responsabilità di dire che questi sono temi di un Paese che si vuole ancora definire civile, ricco, all'avanguardia. Per farlo è urgente, Presidente, che a partire da questa discussione, dalle mozioni che voteremo, possiamo insieme definire un'agenda politica e parlamentare condivisa, certa nei tempi e che si dia obiettivi impegnativi su questo tema. La prova dei fatti, insomma, fuori da unanimismi di maniera. Un'agenda politica e parlamentare che includa politiche attive per incentivare un'occupazione femminile stabile, piena, giustamente retribuita, perché, Presidente, l'occupazione femminile è un'enorme emergenza nazionale, perché da un lavoro di qualità dipende il fatto che le donne siano libere di scegliere contro ogni rischio di violenza economica, quella che costringe tante donne a stare in situazioni di disagio quando non addirittura di sopruso e di violenza perché prive di un'indipendenza economica. Il livello della partecipazione femminile al mercato del lavoro, cari colleghi, non dipende dalla propensione individuale e collettiva delle donne nei confronti del lavoro, ma anche e soprattutto dalla propensione della società nei confronti del lavoro delle donne. Per raggiungere quel 60 per cento di occupazione femminile, obiettivo di Lisbona, e uscire dalla crisi si stima servano almeno un milione 550 mila nuove occupate nei prossimi anni. Il piano nazionale di ripresa e resilienza è l'occasione per includere pienamente le donne nella vita sociale ed economica del Paese. Serve, insomma, lavoro femminile e serve giustizia ed equità salariale, perché nel 2021 una donna italiana può guadagnare fino al 20 per cento in meno di un collega uomo. È necessario stabilire una nuova normativa di rispetto della parità dei salari fra uomini e donne a parità di mansioni, una normativa che coniughi incentivi e sanzioni. C'è una proposta di legge votata all'unanimità dalla Commissione lavoro che deve andare avanti nei tempi più rapidi possibili. E, ancora, serve estendere anche ai papà il congedo parentale obbligatorio ma non di soli dieci giorni, come è adesso, ma di quattro mesi. Spesso oggi, se sei donna, ti chiedono se vuoi avere figli e prendersi il congedo di maternità oggi è discriminante. Se lo si estende, invece, anche ai papà, allora entrambi i genitori sono messi sullo stesso comune piano, il piano della condivisione della responsabilità genitoriale.

E accanto alla responsabilità educativa dei genitori c'è bisogno di una più robusta e diffusa rete educativa per la prima infanzia. La prima legge in Italia che si è occupata di asili nido comunali è del 1971. Lo so bene: la prima firmataria si chiama Adriana Lodi. Due anni prima di entrare in Parlamento, nel 1969 inaugurava, da assessore comunale, il primo asilo comunale d'Italia, l'asilo “Patini” a Bologna, la mia città, ancora oggi in funzione. È accettabile che, a cinquant'anni da quella legge, oggi appena 12,5 bambini su 100 possano accedere a un'esperienza educativa pubblica? Possiamo davvero dire che sia una questione delle sole donne? Non basta dire che vogliamo raggiungere l'obiettivo di copertura dell'80 per cento degli asili, come chiede giustamente Alleanza per l'Infanzia, se continuiamo a mettere risorse appena sufficienti ad arrivare - e non certo in tutta Italia - alla soglia europea del 33 per cento. Non basta scrivere sulla carta; servono risorse certe e un impegno straordinario in questa direzione.

Vi è, infine, un tema enorme, che confido presto troveremo il modo di affrontare, e, cioè, il fatto che il lavoro di cura domiciliare non può più essere considerato una questione intima e privata. Nella pandemia il nostro bisogno di cura, di salute, di scuola, di relazioni, mostra, in modo evidente, come tutto il monte di lavoro non pagato, a oggi quasi esclusivamente sulle spalle delle donne, debba essere affrontato come una grande questione pubblica e politica. Oggi una donna su tre si prende cura dei propri familiari senza ricevere aiuto e solo una su quattro è agevolata dal punto di vista lavorativo. Serve una legge che riconosca e sostenga lo straordinario lavoro dei caregiver e serve un welfare riformato adattabile alle forme diverse e nuove dell'organizzazione del lavoro, un welfare che non discrimini fra diversi lavoratori. In questo senso ne approfitto per dire che va corretto l'errore di non aver previsto nell'ultimo “decreto Congedi” l'accesso ai bonus babysitter anche ai lavoratori in smart working.

E una cosa voglio dirla anche sulla violenza. La crisi ci ha spiegato ulteriormente che in Italia muoiono più donne per mano della violenza di genere, cioè per mano degli uomini, che per mafia. È tempo di applicare le leggi che già ci sono e lavorare su proposte che sostengano l'autonomia delle donne nell'uscita dalla violenza. Rimando a tutte le proposte già contenute nella relazione della Commissione femminicidio e che il Presidente Draghi ha già affermato di voler fare proprie nel suo discorso qui in Aula. Dico solo che casa, lavoro e anche tutela degli orfani di femminicidio devono vederci maggiormente impegnati.

Questo è ciò che non c'è e poi c'è ciò che è ancora troppo sulla carta. Non mi basta, Presidente, il tempo di un intervento - e concludo - in Aula per dire delle numerose leggi che hanno come prima firmataria una donna e che hanno cambiato in meglio il volto di questo Paese.

Mi limito a citare la legge n. 328, la n. 286, la legge n. 53 per il sostegno alla maternità e alla paternità, la “legge Golfo-Mosca”: dobbiamo applicarle fino in fondo queste leggi, facendo tutto ciò che è necessario, come direbbe il nostro Presidente del Consiglio. Insomma, Presidente -, e chiudo davvero - l'anno terribile che abbiamo alle spalle ci dice che non c'è più tempo da perdere per sanare diseguaglianze di genere così sfacciate, così limitanti, così ingiuste. La ripresa ha bisogno di strumenti concreti per l'inclusione e le pari opportunità, strumenti che esistono, serve essere interpreti coerenti - tutti insieme - del nostro tempo, serve una governance istituzionale forte, capace di produrre un impatto reale sulla vita di milioni di donne, per vivere conseguentemente in un Paese più giusto, più equo, migliore per tutti.