Dichiarazione di voto
Data: 
Martedì, 11 Settembre, 2018
Nome: 
Elena Carnevali

 Grazie, signora Presidente. Sottosegretario, onorevoli colleghe e colleghi, in assenza del Ministro Di Maio, perché è più facile rifugiarsi dietro gli schermi delle dirette Facebook, siamo qui oggi a discutere su un grande tema che impatta la vita e il futuro di oltre 5 milioni di persone. Lo dobbiamo al Partito Democratico che ha chiesto di calendarizzare la mozione in esame e non è casuale se abbiamo chiesto di farlo alla vigilia dell'aggiornamento del DEF e nel pieno del dibattito della legge di bilancio. Ne discutiamo oggi, a cento giorni dal vostro insediamento, con cui avete prodotto più danni che benefici: danni prodotti dalla competizione tra due componenti della maggioranza in assenza di un Premier forte e autorevole, impegnato più a garantirsi un futuro da cattedratico che da guida del Paese. Una gara a chi alza la posta ogni giorno di più e che ha già provocato la fuga degli investitori, l'aumento dei tassi di rendimento che vale oltre 4 miliardi di euro; la riduzione delle previsioni di crescita che impatta per 2 miliardi e mezzo di euro; l'aumento dello spread che non avviene per autogenesi ma è provocato dagli atteggiamenti difensivi di investitori e risparmiatori e forse anche di qualche speculatore a cui avete dato una buona occasione: una botta che il Ministro Tria ha cercato di contenere, un fardello che pagano gli italiani e che vale oltre 7 miliardi di euro. Di tali risorse, sottosegretario, abbiamo bisogno come il pane essendo necessarie per far fronte alle politiche redistributive, per investire anche nella più grande sfida a cui moralmente, eticamente siamo chiamati: per proseguire l'impegno di sconfiggere la povertà. Dico proseguire, cari colleghi, perché una misura per la povertà già c'è. Dopo diciotto anni dalla legge Turco che prevedeva il reddito minimo, oggi in Italia esiste uno strumento universale, il reddito di inclusione, che consente a tutti i cittadini che ne hanno i requisiti, senza distinzione rispetto all'appartenenza tra regioni, province e comuni, di avere il sacrosanto diritto all'accesso di un reddito e di un futuro di inclusione. Il reddito di inclusione non è una misura puramente assistenziale ed è più di uno strumento di sostegno al reddito: è un progetto di ricostruzione, di autonomia, è una concreta attivazione sociale e lavorativa di cui si fanno carico i comuni e la rete dei servizi, inclusi i centri per l'impiego che è giusto rafforzare, con quel bisogno di senso che il lavoro equamente redistribuito può riconsegnare a soggetti resi vulnerabili dai venti avversi per assicurare loro dignità e autonomia profondamente coerente con l'articolo 3 della Costituzione. Si tratta di impegni e non sussidi perché, come negli altri Paesi dell'Unione europea, gli schemi di reddito minimo di inserimento sono nati per combattere la povertà, non la disoccupazione.

I sussidi sono quindi condizionati alla prova dei mezzi e a percorsi di formazione e d'accompagnamento, perché emanciparsi da una condizione di povertà non significa vivere di lavoro socialmente utile o di voucher, come candidamente ieri ha ammesso il Ministro Di Maio quando ha dichiarato, ieri, in audizione inducendo le persone a rifugiarsi nella condizione di dover dipendere da quel sussidio e relegando i poveri nella trappola della povertà”; perché la povertà non è una sola: ha molti volti e ha molte facce, perché sono poveri coloro che non hanno un lavoro, quelli che non l'hanno mai avuto, quelli che non hanno un reddito che gli garantisca una vita dignitosa per loro e per i componenti della propria famiglia, spesso minori, a cui viene negata la prospettiva di un ascensore sociale e di pari opportunità con gli altri, o coloro che, per condizioni di disabilità o di fragilità, non hanno mai avuto l'opportunità di uscire dal tunnel della povertà.

Ma, signori, avete sbagliato obiettivo; in nome dell'ossessione del cambiamento, l'unica azione che vi guida, che vi tiene uniti, è quella di fare tabula rasa di quello che è stato fatto in precedenza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). L'unica spasmodica e perseverante esigenza del cambiamento fine a se stesso vi spinge solo a quel bisogno comunicativo di smantellare un'infrastruttura sociale che si chiama reddito di inclusione, che non è un vessillo del PD, né di Renzi, né di Gentiloni, perché un reddito minimo c'è ed è una misura che funziona e che, entro la fine dell'anno, riguarderà due milioni e mezzo di persone. Non è un palliativo, Presidente, lo dica al Ministro Di Maio: un giudizio che ha solo chi ha la cultura dell'arroganza, al limite del disprezzo, e che ha giudicato il lavoro non del Partito Democratico, ma di chi, con noi, ha costruito il reddito alla povertà: 35 organizzazioni, che sono un punto di riferimento, l'argine al divario tra politica e società. Occorre colpire il reddito di inclusione per annichilire chi si contrappone al modello di democrazia diretta, per colpire quella parte rilevante del Paese, la spina dorsale rappresentata dai comuni e dal terzo settore, cioè coloro che prima del reddito di inclusione si sono fatti carico dei poveri.

Quando siamo arrivati qui, sottosegretario, nel 2013 spendevamo per la povertà 40 milioni in via sperimentale. Siamo usciti di qui, dopo cinque anni, lasciando 3 miliardi, per sempre, per il contrasto alla povertà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), consapevoli che quel percorso era progressivo. Abbiamo subito depositato una proposta di legge per consolidare, rafforzare ed estendere la misura, con l'obiettivo di raggiungere i 5 milioni di poveri assoluti, aumentando, in un quadro, però, di compatibilità economica, le risorse, la platea e il beneficio, introducendo l'assegno di riqualificazione per rafforzare gli strumenti di accesso e di successo lavorativo, sostenendo più servizi territoriali e il piano nazionale.

Serve riqualificare le competenze dei lavoratori e dei giovani, serve la formazione continua; serve adattare le politiche attive con le richieste specifiche dei diversi ambiti territoriali; soprattutto, servono politiche territoriali e non parchi giochi. Forse Di Maio dopo Taranto lo ha finalmente capito che non si può essere contro il lavoro.

Quando si è poveri da troppo tempo, si rischia di disperdere le competenze professionali, quelle che servono e che sono compatibili con il mercato di lavoro. Ecco perché il reddito di inclusione, che già c'è, che già è operativo da gennaio, ti accompagna in questo percorso.

Rifuggiamo dalla sindrome che vi attanaglia, come è stato chiesto da tutti i soggetti che sono attualmente coinvolti, di una riforma nella riforma che ha dato sin qui una buona prova di sé, senza distruggere quell'architrave attuale del Paese di politiche socio-lavorative e sostenere i progetti finanziati dai fondi europei.

Voi andate in Europa per chiedere di avere più spazi finanziari e di utilizzare i fondi europei da dedicare tutti al reddito di cittadinanza. Peccato che avete un po' di nemici e soprattutto molta diffidenza. La prima diffidenza viene dall'Europa, perché l'Europa vi ha spiegato che quelle risorse possono essere complementari e non sostitutive del reddito di cittadinanza. Ma avete un'altra contrarietà, in particolare quella delle regioni e dei comuni, della cui difesa la Lega si vuole fare paladina ma poi, esattamente come sta facendo con il bando delle periferie, va a ledere la loro autonomia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Ma con voi è inutile parlare. Voi non siete interessati a questo, non vi importa di discutere degli interessi degli italiani, perché voi pensate che essere andati al Governo significa disfare ciò che è stato fatto prima. Questo lo sa bene anche il vostro socio di maggioranza, quello che siede agli altri banchi, perché ai tempi di Tremonti fece la stessa cosa e soffocò in culla il reddito minimo. L'avessimo ora, l'avessimo avuto quando la crisi fendeva e dava i suoi fendenti sulle persone! E lo sa bene ancora la Lega quando pensò di fare cassa con i fondi per la non autosufficienza sulla pelle delle persone.

Un drammatico errore che state compiendo anche adesso. Con l'idea di realizzare un reddito di cittadinanza sacrificate tutte le risorse necessarie sull'altare di un vessillo inattuabile che vale 17 miliardi di euro. Una proposta che non ha neanche in Europa uguali, che disincentiva la ricerca di un lavoro e favorisce il lavoro nero: una demagogia che rischia di mettere in disputa 5 milioni di poveri con 3 milioni di non autosufficienti e un esercito di famiglie che finanzia da sola 800 mila badanti. Una competizione incommensurabile, che rischia di non farsi carico del drammatico calo demografico, negando ai genitori di fare i figli che desiderano.

Pensate di essere furbi - e ho finito, signora Presidente - ma anche per il reddito di cittadinanza adotterete il “decreto Ilva”, perché, dopo aver promesso chimere irrealizzabili, vi accomoderete sulle iniziative già adottate, sperando che la comunicazione faccia il resto, cambiando il nome, ma non la sostanza. Sulla menzogna state costruendo il vostro consenso… …ma noi del Partito Democratico non abbiamo timori, perché la verità è più forte delle vostre bugie.