Discussione sulle linee generali
Data: 
Martedì, 6 Aprile, 2021
Nome: 
Paolo Lattanzio

 Presidente, colleghi e colleghe, sottosegretaria Floridia, il tema di questa mozione è un tema che, come membro della Commissione cultura, ho avuto la possibilità e la fortuna di trattare in varie occasioni e circostanze; è più di un anno che ci interroghiamo su come sia possibile aprire e in che situazioni di sicurezza. Oggi, visti anche gli interventi di molti colleghi e molte colleghe che mi hanno preceduto, voglio provare anche a non sovrappormi e a non ripetere gli spunti molto interessanti che sono stati forniti, ma credo che in questa fase noi dobbiamo fare un discorso che vada oltre alcuni aspetti che sono un po' dicotomici e un po' ideologici al tempo stesso. Primo, non dobbiamo correre il rischio di ricadere in quell'equivoco che ci porta fra urgenza ed emergenza. La scuola che guardiamo adesso, quella che stiamo provando ad immaginare in maniera congiunta, per molti aspetti, in questa fase, è una scuola che non può essere considerata più in una situazione caratterizzata da emergenza, perché è un anno, sono più di dodici mesi ormai, è quasi il tredicesimo mese, che conviviamo in un modo o nell'altro a fasi alterne con questa pandemia e, quindi, abbiamo il dovere, e credo che in questa fase nessuno si possa sentire escluso, di immaginare una visione di scuola futura che, quindi, non preveda degli interventi che vadano a tappare i buchi di ciò che il destino avverso o la pandemia hanno creato, ma servono interventi strutturali che vadano oltre anche - qui la seconda dicotomia, molte volte anche ideologica - il discorso binario per cui: apriamo o chiudiamo. La sfida, e lo ripetiamo da tempo, è: come apriamo, in che modalità, con quali caratteristiche e tutelando quali aspetti? Sapendo che al momento il rischio zero non esiste.

Su questo dobbiamo dire che - io credo in maniera molto chiara - scegliere di aprire prima di tutte le altre realtà le scuole non è giusto o sbagliato, ma è una scelta politica e come tale deve essere valutata. Il Presidente Draghi e il Ministro Speranza, nell'ultima conferenza stampa, se non sbaglio, hanno ripetuto che, avendo acquisito un piccolo tesoretto in termini di sicurezza sanitaria, quel tesoretto il Governo ha deciso, in maniera sana, dal mio punto di vista, di investirlo nella riapertura immediata delle scuole. Questa è la direzione, questa è una scelta, senza i temporeggiamenti che hanno reso più farraginosi i meccanismi decisionali nei tempi passati, è una scelta politica che condividiamo, mantenendo al centro, ovviamente, anche l'attenzione all'aspetto sanitario, senza rischiare però di andarci ad incastrare eccessivamente in quella gara che pure tante componenti sociali, ma soprattutto alcune forze politiche hanno cavalcato, per cui ci dovrebbe essere un luogo più sicuro degli altri, i teatri, a detta di chi ci lavora e di chi li gestisce sono i più sicuri, le scuole lo stesso, i cinema, i supermercati, i ristoranti.

Noi credo, con senso di responsabilità, abbiamo la necessità di dire che non ci serve questa gara, non ci serve cavalcare o fomentare le aspettative, ci serve studiare i dati - e il collega Bella ne ha espressi di importanti -, laddove sono disponibili, e, in base a quello, prendere delle decisioni politiche.

In questa fase, abbiamo avuto modo di ragionare e di vedere diversi interventi sulla scuola, ma credo che ancora, quando si parla di scuola, il problema sia stato individuato, indirizzato molte volte sul mondo adulto, sulla componente adulta che guarda la scuola. Noi sappiamo.. Io, per indole personale, sono abituato a stare dalla parte dei ragazzi e delle ragazze, che sono il grande rimorso, non è un caso che oggi abbiamo la mozione sulla riapertura delle scuole, domani abbiamo la mozione sull'infanzia e adolescenza; mi sembra che queste questa componente sia veramente il grande rimorso della politica italiana, rischiando un effetto di allontanamento, non solo dalla politica, ma dalla partecipazione attiva alla vita sociale, che non ci possiamo permettere.

Ed è il motivo per cui io sono contento che tante volte in quest'Aula venga citata la CRC (la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza), però un po' da secchione quale sono, mi permetto di sottolineare che la Convenzione ONU non prevede solo il diritto all'istruzione, prevede anche il diritto per i minori al gioco, alla partecipazione, alla fruizione culturale, alla socialità, alla partecipazione. Queste sono le linee che dobbiamo tenere in forte considerazione, perché quando parliamo di riapertura delle scuole, non parliamo soltanto di una chiave da girare, come quando parliamo di scuola digitale, non parliamo - mi sembrerebbe ovvio - di schermi o di muri che devono contenere i dispositivi digitali; parliamo o dovremmo parlare di molto altro.

Credo - e questo traspare nella mozione che abbiamo elaborato – che quello che serve sia un progetto educativo, oltre ad un piano di intervento, che non sia - ripeto - soltanto legato all'emergenza, ma che guardi al futuro.

Non sono per formazione personale un amante dei numeri, però tanti amici, che invece sono bravi ed esperti, mi hanno fatto capire quanto siano importanti; i numeri ci danno dei dati drammatici la cui lettura ci fa capire un altro aspetto chiave che è alla base delle scelte che dobbiamo fare su come riaprire la scuola e che la scuola pubblica italiana non se la passava bene già prima. Perché se noi saltiamo a piè pari questo passaggio, rischiamo di rimanere un po' imbambolati davanti - ripeto - al destino cinico e baro che ci ha portato ad una pandemia. Ma la pandemia ha fatto deflagrare delle disuguaglianze, dei problemi, delle carenze e dei limiti della scuola italiana che erano tutti lì, tutti lì presenti. Noi abbiamo 1,3 milioni di cittadine e cittadini in situazione di povertà educativa. Quando è iniziata la pandemia, il numero dei neet in Italia era al 20,7 per cento, tasso ovviamente del 36,2 per le ragazze (dati della già citata tante volte Save the children), la dispersione scolastica era ferma al 13,5, adesso la stima che oltre ai 120 mila che abbandonano la scuola - o meglio che la scuola perde ogni anno -, se ne dovrebbero aggiungere altri 30 mila circa, portando a 150 mila, quindi invertendo il trend. Ancora. Gli apprendimenti. Si parla di un peggioramento degli apprendimenti stimati all'incirca del 35 per cento, ma qui, grave lacuna italiana, ci basiamo su dati dall'estero, dati che arrivano dal Regno Unito, dagli Stati Uniti, dall'Olanda, che hanno mappato e tracciato le carenze.

E ancora, per rimanere ai numeri, e questi sono particolarmente mortificanti, noi avevamo il 5,3 per cento delle famiglie che non aveva il denaro necessario per acquistare un pc; significa che quando abbiamo fatto il passaggio alla DAD, questi non potevano accedere, queste famiglie non potevano accedere ed è un dato che ci siamo portati dietro, dato che si va ad aggiungere ad una situazione del Paese già estremamente critica, perché, riguardo alle competenze digitali, siamo i terz'ultimi in Europa, ventiseiesimi su ventottesimi. Questo avrebbe dovuto far capire – ed io lo propongo ancora oggi, dopo un anno - che parlare di DAD, anche lì, non è una battaglia ideologica ma significa comprendere che non è sufficiente accendere un computer può aprire una porta di una di un'aula per la fruizione della didattica in presenza. Il discorso è molto più complesso ed è un discorso che riguarda l'alfabetizzazione digitale, la formazione del senso critico, l'alfabetizzazione alla lettura e alla composizione di testi complessi ed articolati, riguarda la media education, riguarda tutta una serie di aspetti, lato studenti, che si devono, si dovrebbero completare con gli aspetti lato docenti, perché la scuola di un Paese moderno non si può affidare alla generosità e allo spontaneismo di docenti molto bravi, che lanciano il cuore oltre l'ostacolo. Noi abbiamo bisogno di interventi strutturali e strutturati. Io sono uno di quelli che ha sempre appoggiato le scelte e i ragionamenti anche sulle scuole private – non le demonizzo - ma io voglio coltivare e coltivo l'ambizione che la scuola pubblica italiana sia migliore delle scuole private: non è uno scontro, è una sfida culturale ed educativa che noi dobbiamo percorrere. Ancora: degli 8,5-9 milioni di alunni che abbiamo in Italia, che hanno bloccato e interrotto la didattica, abbiamo registrato che più del 41 per cento hanno disagi abitativi, cioè vivono in case sovraffollate, con più di un figlio, con un solo device e così via, quindi è meritoria l'attività che è stata fatta, gli interventi fatti per portare i tablet e gli altri dispositivi, ma non è finita lì. E allora, su questo, bisogna chiarirsi: dal prossimo anno scolastico - detto che abbiamo buttato e sacrificato l'estate del 2020 -, non rifacciamo lo stesso errore, ma mettiamolo a frutto. C'è il “decreto Sostegni”, con gli interventi proposti dal Ministro Bianchi, che è un primo passo importante, la mozione che stiamo discutendo dà degli spunti anche interessanti, molto interessanti su come ampliare e diversificare quegli interventi sul recupero degli apprendimenti, ma - anche qui - il tema non è solo DAD buona o DAD cattiva, ma questa DAD in questa Italia che non ha funzionato, e non ha funzionato perché ha creato e rafforzato quelle disuguaglianze che già tracciavamo. Infatti - uso le parole del professor Borgatti, direttore di Neuropsichiatria infantile a Pavia - la DAD ha avuto degli effetti classisti e antidemocratici, non perché i Ministri - passati o attuali - fossero cattivi, non perché il Parlamento fosse cattivo, ma perché questa DAD si è innestata su un sistema Paese fortemente deprivato, ricco di disuguaglianze ed è andata ad esasperare ciò che già succedeva. Quindi, noi su questa DAD abbiamo il dovere di intervenire, di modificarla e di limitarla con gli interventi in presenza. Una dinamica che si è verificata è che i docenti che già erano in grado di stabilire una relazione educativa, relazionale, empatica con i propri studenti hanno continuato a mantenerla, portando avanti anche sperimentazioni didattiche eccellenti a livello europeo. E tutti gli altri? Allora, noi tante volte anche in quest'Aula sentiamo dei richiami (“la scuola ci chiede, il mondo della scuola…”), ma io ho sempre diffidato di questi richiami perché, come mi interesso dei bambini e delle bambine che sono sempre gli ultimi, non appena mi viene detta una cosa del genere, io mi preoccupo di chi non ha la voce per far arrivare a me, ai colleghi e alle riviste specializzate, i loro veri bisogni e allora credo che la sfida sia lì, verso chi non è rappresentato, che è la stragrande maggioranza di docenti e anche di studenti. Pochi giorni fa, gli studenti – i grandi assenti - erano in Piazza Castello, a Torino, e hanno esposto, con un richiamo storico molto affascinante, 95 tesi sulla scuola, che vanno dall'antimafia nella scuola, allo sviluppo del senso critico, al lavoro sui bisogni psicologici ed emotivi. Chi c'era ad ascoltarli? Chi c'era? Il mondo della politica no. E, allora, noi qui dentro abbiamo con questa mozione e con gli atti che seguiranno una grande occasione per rimettere loro al centro, per rimettere le loro proposte al centro e vi invito a leggerle, perché sono veramente, ma veramente approfondite e ricche. Ancora: questa riflessione mi porta quasi a identificare un qualcosa che va oltre l'aspetto che guarda - ed è già importante - alla tecnologia, al diritto all'accesso, al diritto alla conoscenza.

C'è una sorta di grado zero della problematicità che guarda la scuola. Un grado zero che riguarda la possibilità di avere, di fruire, di accendere l'interruttore che lo permette.

Il banco scolastico rappresentava la linea di partenza per tutti quanti, dove tutti potevano almeno posizionarsi e da ripartire. La DAD no. Questa DAD in questa Italia no. Allora è lì che dobbiamo continuare ad investire con interventi, che non sono solo economici, ma sono anche pedagogici ed educativi. Ci vuole testa oltre che soldi. Chiudo Presidente, con un riferimento proprio all'ultimo impegno della mozione che guarda al già citato “decreto Sostegni” e ai piani per quest'estate. Allora quest'estate, chiariamoci, è bene che la scuola rimanga aperta più a lungo possibile, dopo un periodo già scolastico di apertura, ma facciamo in modo che non sia a compartimenti stagni e, quindi, una apertura soltanto per le attività, come posso dire, non formali, perché se perdiamo quella occasione estiva di gancio anche con i docenti, la cui presenza è fondamentale, rischiamo di perdere l'ennesima grande occasione, che invece per fortuna abbiamo, perché a scuola da subito, e in particolare da settembre, c'è una scuola in presenza, inclusiva, democratica e che coinvolga tutti coloro che sono rimasti, che rischiano di rimanere tagliati fuori, affinché non ci troviamo in una situazione in molti ragazzi e ragazze, già lo vediamo, e i medici ce lo stanno raccontando, in cui c'è quasi una sorta di rifiuto sdegnato – chiudo, grazie Presidente - una sorta di rifiuto sdegnato a condividere le proprie difficoltà. Noi abbiamo bisogno di quelle difficoltà per costruire un futuro che sia degno del nostro Paese.