Data: 
Lunedì, 23 Marzo, 2015
Nome: 
Giuseppe Guerini

A.C. 2168-A

 

Grazie Presidente, sottosegretario, colleghi deputati, come è stato appena ricordato dai relatori, sia per la maggioranza che di minoranza, il provvedimento, che è all'odierno esame di quest'Aula, l'atto Camera n. 2168, introduce nel nostro ordinamento, nel codice penale, il reato di tortura. 
La proposta di legge è stata approvata dal Senato nel marzo del 2014, dell'anno scorso. L'ordinamento nazionale italiano non contempla infatti una fattispecie penale specifica in merito al delitto di tortura, nonostante la Costituzione, all'articolo 13, comma 4, stabilisca che è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. Sono numerosi i trattati e gli accordi internazionali che sanciscono che nessuno possa essere sottoposto a tortura – li ha già ricordati durante la relazione di maggioranza il collega Vazio –, soprattutto tra questi vi è la più volte citata Convenzione del 1984 che è quella che definisce, in maniera specifica, il reato di tortura. 
A questo proposito credo che potrebbe essere utile ed interessante, visto anche quanto riportato nelle due relazioni di maggioranza e di minoranza, cominciare dalla Convenzione, che considera tortura »qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito«. 
Diversi Paesi europei tra i quali, per esempio, la Francia, la Spagna, il Regno Unito, ricordandoli semplicemente a titolo esemplificativo, contemplano discipline dedicate alla materia della tortura. Uno dei motivi principali a sostegno del provvedimento che è oggi all'esame di quest'Aula risiede, infatti, nell'esigenza di dotare il nostro codice penale, il codice penale italiano, di una fattispecie specifica, visto che la mancata trasposizione della Convenzione di New York nel diritto interno ha comportato richiami da parte del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura. Rammento, a questo proposito, le conclusioni rassegnate al Governo italiano nel 2007 dal Comitato stesso, quando raccomandava all'Italia di procedere ad incorporare nel proprio diritto interno il reato di tortura e ad adottare una definizione di tortura in grado di coprire tutti i requisiti contenuti nell'articolo 1 della Convenzione, oltre a far sì che questi reati siano puniti con pene appropriate e che tengano nel dovuto conto la gravità, così come stabilito nell'articolo 4 della Convenzione. Peraltro, esistono altri Stati europei, come per esempio la Germania, che fanno discendere dall'adesione alla Convenzione ONU del 1984 il divieto dell'uso della tortura e, quindi, non esiste nel codice penale tedesco una norma incriminatrice specifica in quest'ambito. 
A questo riguardo, per quanto riguarda, quindi, l'esigenza di dotare il nostro ordinamento di una figura di reato apposita, credo di potere affermare che sia emersa, univocamente e chiaramente, dal dibattito pubblico che si è sviluppato soprattutto in questi ultimi anni, in presenza di fatti di cronaca nei quali quei comportamenti criminosi sarebbero stati punibili in maniera più efficace e più puntuale qualora il nostro ordinamento fosse stato dotato di questo tipo di reato. Ma credo anche di poter dire che, nel corso di tutte le audizioni che si sono svolte innanzi alla Commissione giustizia tutti gli auditi (associazioni, il capo della polizia, sindacati di polizia, associazioni di diversa estrazione politica e di diversa sensibilità), hanno tutti rammentato e confermato l'esigenza di inserire questo reato nel nostro codice. 
In seguito, appunto, alle citate audizioni e con l'approvazione di alcuni emendamenti al testo da parte della nostra Commissione, il provvedimento consta ora di sette articoli, nei quali si stabilisce, tra l'altro, di inserire, nel codice penale l'articolo 613-bis, con una configurazione di reato comune, di stabilire un'aggravante qualora i fatti vengano commessi da un pubblico ufficiale e di inserire nel codice penale il delitto di istigazione a commettere la tortura, che in questo caso, invece, è reato proprio del pubblico ufficiale, nonché di escludere l'immunità diplomatica dei cittadini straniera indagati o condannati nei loro Paesi d'origine per il delitto di tortura e di apportare modifiche all'articolo 19 del testo unico sull'immigrazione, laddove stabilisce il divieto di espulsione e di respingimento a carico dei cittadini stranieri, coordinando appunto le norme dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 286 del 1998, e sue successive modifiche, con l'introduzione del reato di tortura, di cui al presente provvedimento. 
Concentro la mia attenzione su quest'ultima disposizione, che è prevista dall'articolo 4 del testo oggi all'esame della Camera, il quale è stato emendato rispetto alla formulazione licenziata dal Senato. Il Senato prevedeva, infatti, di sostituire l'articolo 19 o, meglio, di inserire, dopo il comma 1, il comma 1-bis, che recita: »Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza in tale Stato di violazioni sistematiche gravi dei diritti umani”. In sede di audizioni, soprattutto da parte del prefetto Pansa, era stata, in qualche modo, evidenziata l'opportunità di procedere a delle modifiche di questa formulazione del comma 1-bis dell'articolo 19 del testo unico sull'immigrazione, cioè il decreto legislativo n. 286 del 1998, così come poi variamente modificato nel corso di questi anni.
Questo proprio perché il prefetto Pansa riteneva che ci fosse il rischio, nella formulazione licenziata dal Senato, di rendere difficoltose, in qualche modo, o di impedire o di rendere più macchinose e più difficoltose le espulsioni non solo di cittadini, che sono coloro che vengono tutelati dalla richiesta di asilo politico, per i quali era già previsto il divieto di espulsione in Stati dove sia praticata la tortura, ma anche per quanto riguarda i cittadini stranieri giunti in Italia a seguito dell'immigrazione cosiddetta economica. Quindi, si faceva presente da parte della prefetto Pansa che sarebbe stato meglio tipizzare in maniera più approfondita la previsione facendo riferimento a circostanze più precise e più specifiche. 
Ora, nella formulazione attuale, la Commissione giustizia in effetti ha emendato la disposizione in esame e, quindi, attualmente il comma 1 dell'articolo 19 viene sostituito dal seguente: «In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, o oggetto di tortura, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione o dalla tortura ovvero da violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani». 
Io credo che, in riferimento alla formulazione di questo articolo, la Commissione giustizia abbia operato e abbia fatto un ottimo lavoro di sintesi delle diverse istanze che si sono manifestate sia nel corso dell'esame sia nel corso delle diverse audizioni. Infatti, se da un lato potevano essere in qualche modo comprensibili le preoccupazioni del Capo della polizia – in relazione all'ipotesi di meglio specificare questa fattispecie in ordine alle esigenze di continuare ad addivenire alla comminazione di espulsioni, soprattutto in riferimento a soggetti non rifugiati, non profughi, non richiedenti asilo, nel momento in cui dovessero essere rimandati in Paesi nei quali vengano praticate violazioni dei diritti dell'uomo e, in certi casi, torture – di non bloccare l'esercizio del diritto all'espulsione dell'ordinamento in questi campi. Ma credo che, con la formulazione adottata dalla Commissione giustizia, specificando meglio la fattispecie, si sia scongiurata questa ipotesi, ma, soprattutto – ed è la cosa che sicuramente mi preme più sottolineare –, si è specificato finalmente, anche in seguito ad una serie di richiami che erano stati svolti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo negli scorsi anni, effettuati a carico del Governo italiano, che in alcuni casi aveva proceduto ad espulsioni – ne ricordo una del 2008 verso la Tunisia, per esempio – verso Paesi che non erano considerati e considerabili sicuri dal punto di vista del divieto di tortura, della penalizzazione di comportamenti di tortura e discriminazioni fondate su altri motivi che sono indicati nell'articolo 4 del presente testo di legge. Credo che, anche in riferimento alla giurisprudenza corposa della Corte europea dei diritti dell'uomo in questi anni, la Commissione giustizia abbia limato e abbia inserito nel testo del provvedimento, dell'atto Camera n. 2168, una formulazione che consente di contemperare tutte le esigenze, ma soprattutto che stabilisce finalmente il principio che non è possibile per lo Stato italiano addivenire ad espulsioni verso Stati nei quali non sia assolutamente certo e previsto dall'ordinamento che i cittadini non vengano sottoposti a provvedimenti, a comportamenti o a condotte che possano essere configurati come tortura. 
A questo proposito, ricordava prima il relatore per la maggioranza, l'onorevole Vazio, come, per quanto riguarda l'articolo 3 della CEDU, la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia ormai prodotto una corposa e costante giurisprudenza che indica parametri e delimita il perimetro della tortura, chiedendo che la fattispecie preveda un minimo di offensività e una serie di altri criteri che sono stati precedentemente indicati. 
Proprio per questo motivo – per rispondere, in qualche modo, alle preoccupazioni che erano emerse in sede di audizione da parte degli organi di Polizia e del Ministero dell'interno –, mi sento di poter affermare che il riferimento costante a questa giurisprudenza possa riuscire a fare in modo che vengano, in qualche modo, equilibrati, da un lato, l'interesse a dare corso alle espulsioni e, d'altro canto, il diritto sacrosanto dell'espulso, dell'espellendo, a non essere inviato in un Paese nel quale poi venga sottoposto a trattamenti disumani o a torture. 
Quindi, facendo riferimento a questa giurisprudenza ormai costante della CEDU, non credo che vi sia alcun rischio di inceppamento o di impedimento nell'esercizio delle espulsioni da parte dello Stato italiano, anche perché, utilizzando le parole della Corte costituzionale, vorrei ricordare che la Convenzione europea dei diritti dell'uomo è uno strumento vivente, da interpretare alla luce delle condizioni di vita attuali, e che il livello crescente di esigenze in materia di protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali implica, parallelamente e ineluttabilmente, una grande fermezza nell'apprezzare le violazioni dei valori fondamentali delle società democratiche. 
Quindi, anche per questo specifico punto che è stato portato all'attenzione della Commissione giustizia e con il quale si è riusciti ad emendare e, dal mio punto di vista, a meglio delimitare e precisare, e quindi migliorare, il testo così com'era stato licenziato dal Senato, credo di poter affermare che l'Aula si appresta oggi a discutere e, nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, a dare la propria approvazione ad un testo che è equilibrato e che – sia per questo ambito specifico delle espulsioni, ma anche per quanto riguarda il dibattito corposo, sul quale, poi, avremo il modo di tornare, rispetto al fatto che sia preferibile un reato proprio o un reato comune – credo che, in linea generale, sia tutto accomunato da un grande equilibrio, che è stato possibile apportare grazie al lavoro della Commissione, partendo da un testo del Senato che aveva alcuni punti da chiarire. 
Quindi, ritengo di poter dire che ci apprestiamo a presentare, o meglio, che presentiamo, in effetti, a quest'Aula un provvedimento equilibrato, sul quale non mancherà l'appoggio convinto del Partito Democratico.