Dichiarazione di voto di fiducia
Data: 
Martedì, 7 Novembre, 2023
Nome: 
Marco Lacarra

A.C. 1517

Signor Presidente, onorevoli colleghi e membri del Governo, prima di entrare nel merito di un decreto sbagliato, lasciatemi sottolineare un fatto, ossia che siamo dinanzi all'ennesimo voto di fiducia a un Governo che la Presidente del Consiglio non perde occasione per definire “granitico”.

Continuate a battere tutti i record sull'abuso della decretazione d'urgenza e sul numero di fiducie richieste e, allora, forse, ha ragione la Presidente Meloni: il Governo è effettivamente granitico nella sua risolutezza. Temo piuttosto che sia la maggioranza parlamentare che lo sostiene ad essere andata in pezzi oramai da mesi e si limiti a fare da scendiletto a questi Ministri.

Venendo al decreto di oggi, signor Presidente, il termine “sbagliato” che ho usato poc'anzi è chiaramente un eufemismo. Questo provvedimento è di gran lunga peggiore di tanti altri decreti usciti dal Consiglio dei ministri nell'ultimo anno, ma anche in questo sono convinto che saprete superarvi nel prossimo futuro. È il peggiore perché non è soltanto la solita risposta emergenziale a un problema strutturale e profondamente radicato nella nostra società, ma perché questa volta va a toccare temi delicatissimi, signor Presidente, come la giustizia minorile, intaccando un sistema che finora ha fatto scuola in Europa.

Il decreto Caivano nasce da un disgustoso fatto di cronaca, un episodio di violenza sessuale su minori perpetrata da minori e per giunta per un periodo di tempo insopportabilmente lungo. Quello di Caivano è stato un caso che ha sconcertato e ha fatto discutere a lungo l'opinione pubblica; come quello, tantissimi altri episodi, negli ultimi anni e in modo particolare dopo la pandemia, ci hanno interrogato sullo stato di salute della nostra società e, soprattutto, delle nostre giovani e dei nostri giovani, ma la delinquenza e la microcriminalità, l'abbandono scolastico, l'uso e l'abuso di alcol e sostanze stupefacenti, i fenomeni di autolesionismo e i suicidi sono tutti sintomi sempre più evidenti di un male molto più profondo.

E non possiamo tornare a commettere sempre lo stesso errore, ovvero, scambiare le conseguenze di un problema per le sue cause. Nel concetto di disagio giovanile, spesso, ricomprendiamo, in maniera un po' troppo frettolosa e approssimativa, l'espressione di un'intera generazione di persone che, per motivi anche molto differenti, si sente abbandonata a se stessa, incapace di agire e reagire, impedita nei sogni e interdetta anche nelle più semplici aspettative che è lecito e naturale avere dalla vita. Vale la pena chiedersi da dove nasca questo senso di perenne smarrimento, da dove venga questo sentimento d'incolmabile inadeguatezza, da dove arrivi la sensazione di sentirsi soli, privi di appigli e privati di un futuro, a prescindere dai propri talenti, dai propri sforzi e dai propri meriti.

Mi rendo conto, signor Presidente, che queste sono domande complesse, che, probabilmente, dovrebbero spingerci nell'abisso di certe ragioni da cui troppo spesso la politica si tiene a distanza: lo stato di deprivazione economica e sociale in cui versano milioni di persone e, tra loro, milioni di giovani, oppure la grande questione della salute mentale e di quanto poco si faccia per riconoscerla come patologia. Ecco, davanti a queste domande, davanti a tutti questi temi, il decreto legge che è oggi al nostro esame non dà alcuna risposta. Come detto, questo provvedimento nasce da un caso di cronaca e muore nello stesso caso di cronaca, perché, invece che intervenire alla radice dei problemi su cui si sono accesi i riflettori, ci si è limitati a rispondere all'ondata d'indignazione che ha scatenato nell'unico modo che conoscete: più carcere, più reati, più repressione. E, alla fine dei giochi, il messaggio che si manda qual è? Qual è, ancora una volta? Che in certe parti d'Italia lo Stato esiste solo quando ci scappa il morto e, soprattutto, che esiste solo come autorità, esiste solo come Polizia, esiste come giudice, esiste solo come carceriere!

Ma pensate che tutto questo possa davvero servire a sanare i problemi di un territorio che lo stesso sindaco di Caivano, poco più di un anno fa, ha definito periferia dalle periferie? Pensate che regole più severe possano creare deterrenza e siano capaci di aprire gli occhi di migliaia di giovani che oggi sono preda della criminalità organizzata? Ritenete che sbattere in carcere un minore, magari insieme a un delinquente abituale, possa aiutarlo ad avere un futuro nella società? Credete sul serio che la passerella di qualche Ministro o l'annuale blitz notturno delle Forze dell'ordine possano avere una qualche utilità nel ricomporre fratture sociali vecchie di decenni? Ancora una volta, con questo decreto, per i cittadini di Caivano e di tutte le altre Caivano d'Italia vi sarà uno Stato autorità, polizia, giudice e carceriere. Ancora una volta, invece, lo Stato ha rinunciato ad essere scuola, ad essere assistenza sociale, aiuto familiare, ha rinunciato ad essere lavoro, ad essere cultura, ad essere sport. Lo Stato con voi ha rinunciato ad essere sostegno, ad essere presente come opportunità e non solo come tutore dell'ordine e della legge, come pure, ovviamente, deve essere. Lo Stato ha rinunciato, signor Presidente, ad essere un'alternativa vera alla camorra, alla 'ndrangheta, alla mafia, ad essere la strada dritta fra le tante strade storte che esistono.

Se leggiamo i contenuti di questo decreto certe mancanze non possono sfuggire. Se è vero che per costruire una via d'uscita dal degrado servono misure repressive, ma anche strumenti di prevenzione, possiamo dire, senza timore di smentita, che vi siete concentrati interamente sulle prime, dimenticandovi del tutto dei secondi. In ordine sparso, leggiamo che avete aumentato le pene per diversi reati, avete allargato ai minori misure che prima si applicavano solo ai maggiorenni, come quelle in materia di sicurezza urbana, o, ancor peggio, le misure cautelari, compresa la custodia cautelare. Come vi ho detto prima, avete indebolito uno degli strumenti più efficaci in fatto di recupero dei minori, ossia l'istituto della messa alla prova: uno di quegli strumenti grazie al quale il nostro Paese poteva vantare dati di gran lunga migliori rispetto al resto d'Europa in termini di recidività del reato commesso da minori. Avete reso più semplice - e questo è grave - l'ingresso nelle carceri dei minori che creano problemi nelle case di comunità, dimenticandovi del tutto che il nostro Paese vede nella carcerazione un'extrema ratio, soprattutto per il minore. Perché mandare in carcere un minore, signor Presidente, è un fallimento dello Stato, non del ragazzino.

Con queste norme, invece, andate contro questo orientamento con effetti che nessuno ha nemmeno provato a stimare in fatto di sostenibilità degli istituti penitenziari minorili, già ai limiti delle loro capienze. Infatti, se siete stati tanto solerti nell'inasprire gli strumenti penali, avete dimostrato totale indifferenza per l'altro lato della medaglia: gli investimenti nelle case di comunità, signor Presidente, per aumentarne il numero e migliorarne le condizioni. Di tutto questo non c'è assolutamente nulla nel testo del decreto, perché la priorità non è - torno a ripetermi - risolvere il problema in sé. La priorità di questo Governo è rispondere al clamore mediatico che qualsiasi problema di tanto in tanto genera. E allora non deve stupire se la risposta è sempre e solo il carcere, le pene, la repressione.

Sono queste, in sostanza, le ragioni per le quali il Partito Democratico voterà contro la fiducia e contro questo decreto. Perché in un provvedimento del genere non c'è nulla di ciò che serve per cambiare il volto delle Caivano d'Italia; non c'è spazio per i presidi dell'educazione e della cultura, non c'è spazio per la presa in carico delle famiglie in difficoltà, non c'è spazio per i servizi sociali e di comunità, non c'è spazio per la rigenerazione delle aree degradate, né per il recupero e la rieducazione civica e sociale dei minori; non ce n'è per garantire il benessere educativo e psicologico delle ragazze e dei ragazzi, né per assicurare che certi diritti, come quello allo studio, ad esempio, siano effettivamente garantiti a tutti. Non c'è sostegno alla genitorialità, né forme concrete di contrasto alla marginalità.

Insomma, signor Presidente, questo provvedimento - e mi avvio a concludere - non arriva lì dove dovrebbe arrivare: a colpire la povertà sociale, educativa, culturale ed economica, che poi è la vera radice degli episodi davanti ai quali, in modo ricorrente, inorridiamo. Non riesce a combattere il sentimento di solitudine e disperazione in cui tanti, tantissimi, si sentono persi nelle nostre periferie; ribadisce il rifiuto delle istituzioni ad essere presenti in certi territori, tra certe comunità.

Per concludere, non posso che citare Don Ciotti, il quale, proprio rispetto a questo decreto, ha espresso un pensiero che dovrebbe tuonare in quest'Aula: “Prima di annunciare bonifiche e mandare le Forze di polizia” - dice Don Ciotti - “bisogna chiederci tutti cosa abbiamo fatto, o meglio, non abbiamo fatto per arrivare a questo punto. Una politica che non ha il coraggio dell'onestà, dell'assunzione di responsabilità, anche di fronte alle proprie omissioni, non sarà mai in grado di costruire un bene comune, di realizzare democrazia”.

Caivano, signor Presidente, ha aperto una ferita che vi siete ben guardati dal rimarginare. E allora quella ferita tornerà presto, purtroppo, a sanguinare.