Discussione generale
Data: 
Martedì, 31 Marzo, 2020
Nome: 
Romina Mura

A.C. 2423

 

Signora Presidente, oggi, siamo chiamati a percorrere l'ultimo miglio per convertire in legge il decreto-legge n. 3 del 2020, in materia di riduzione della tassazione sul lavoro dipendente o come più correntemente si dice di “taglio del cuneo fiscale”. Accogliendo la raccomandazione del Consiglio d'Europa, che lo scorso luglio ci invitava a ad alleggerire l'onere fiscale sul lavoro, così come anche le sollecitazioni dell'OCSE, e avendolo fra l'altro assunto quale impegno prioritario del programma di Governo Conte formatosi alla fine dell'estate, inserito nella nota di aggiornamento al DEF e, infine, previsto a livello di dotazione finanziaria nella legge di bilancio 2020, realizziamo oggi una condizione, quella di aumentare il netto in busta paga per 16 milioni di lavoratori, che, oltre a rispondere a una legittima istanza di equità fiscale e restituire potere d'acquisto ai lavoratori, rappresenta un tassello fondamentale, il primo, nel percorso di riduzione dell'eccessivo carico fiscale che depotenzia e ingessa i fattori produttivi, fra i quali il lavoro è quello più importante. L

o facciamo in un contesto nazionale profondamente cambiato e traumaticamente sottosopra rispetto all'Italia di appena un mese fa, in un Paese impaurito, messo sotto scacco da una crisi sanitaria, una pandemia che mai avremmo creduto di vivere; lo facciamo in un momento in cui milioni di lavoratori e di imprese sperimentano, per la prima volta, in maniera così diffusa, sebbene per forza maggiore, formule di svolgimento della prestazione lavorativa differenti da quella tradizionale, da remoto, come si dice, lontano dalla sede aziendale. Si tratta di un periodo, un momento, in cui lo Stato mette in campo interventi di welfare e sostegno al reddito con un approccio universalistico, senza distinzione di tipologia lavorativa o di azienda, come mai era successo prima, con uno sforzo, anche in termini economici, che non ha precedenti. Ricordiamolo, oltre 3 milioni di lavoratori dipendenti e 5 milioni e mezzo di commercianti, partite IVA, artigiani, professionisti e precari saranno supportati dallo Stato in questo momento di grande difficoltà, lo facciamo in attesa che l'Europa, l'Europa dei popoli, in cui noi abbiamo sempre creduto e vogliamo continuare a credere, smetta di balbettare, come incomprensibilmente sta facendo, e colga questa occasione di forte bisogno condiviso per svolgere la funzione che dà senso alla sua resistenza quale realtà politica, oltre che entità geografica e storica.

Lo facciamo in punta di piedi, con il timore di distogliere l'attenzione dall'unico pensiero che in questo tempo sospeso accompagna le nostre giornate, cioè quello di salvarci dall'aggressione di un nemico invisibile che può colpire chiunque e in qualsiasi momento.

E allora, con l'intento di dare un contributo a questa importante discussione - anche se svolta in maniera straordinaria, senza il passaggio in Commissione, - partirei dal fatto che, fra quei 16 milioni di lavoratori, che dal 1° luglio 2020 saranno destinatari di un incremento di retribuzione grazie al provvedimento che siamo in procinto di approvare, ci sono un numero rilevante di lavoratrici e lavoratori che in questi giorni di restrizioni, di chiusura di molte aziende e di interdizione di tutti i luoghi della nostra socialità, ci garantiscono la salute, la sicurezza, gli alimenti e i beni di prima necessità, i trasporti, l'informazione. Penso agli infermieri, agli operatori sanitari, alle commesse, agli insegnanti, ai lavoratori del trasporto pubblico locale, ai servitori dello Stato, carabinieri, poliziotti, polizia municipale, militari che garantiscono la sicurezza; agli operatori dell'informazione, che ci tengono aggiornati facendoci sentire in questi giorni vicini ai luoghi, ai territori italiani che più di altri stanno pagando un prezzo altissimo in questa crisi.

Certo, non è tutto ciò che serve quello che approviamo oggi, sia che guardiamo al funzionamento strutturale del mercato del lavoro, all'attuale livello delle retribuzioni, alla disparità che a parità di mansioni ancora sussistono fra donne e uomini, alla dignità e alla sicurezza del lavoro, alla precarietà ancora forte, sia che ci atteniamo al contingente che stiamo vivendo in questi in questi giorni; ma è un primo passo fondamentale. E concordo con la scelta operata dal Governo, in sintonia con le associazioni sindacali, di partire, nel tagliare il cuneo fiscale, dalla componente relativa agli oneri fiscali a carico dei lavoratori. Ricordo al riguardo che, a fronte di un cuneo fiscale in Italia del 47,9 per cento, il peso sopportato da un lavoratore medio, che è quello single e senza figli, ammonta a circa la metà del valore complessivo del cuneo stesso: praticamente su una busta paga, su un netto in busta di circa 21.500 euro, abbiamo un costo complessivo di 41.200 euro, di cui 19.713 sono di cuneo fiscale, ripartiti in maniera quasi equa fra i costi a carico del lavoratore, fra tassazione personale, quindi Irpef e contributi previdenziali, e d'altra parte contributi previdenziali a carico dell'azienda. Quindi, questo numero, ecco, questo rapporto fra il netto in busta del lavoratore e il cuneo fiscale, e quindi il costo di imposta e contribuzioni previdenziali per lavoratore e datore di lavoro, ci segnalano quanto sia urgente adottare questo provvedimento.

La scelta di partire dall'alleggerire gli oneri fiscali a carico dei lavoratori dipendenti parte da alcune considerazioni secondo me assolutamente giuste. L'ammontare Irpef - questa è la prima considerazione -, che poi rappresenta la voce più consistente delle nostre entrate tributarie, è sostenuto per oltre l'85 per cento del gettito dai lavoratori dipendenti e dai pensionati. C'è una questione di equità fiscale da raggiungere; e anche in considerazione, anzi, soprattutto in considerazione della progressività del nostro sistema fiscale - progressività, ricordiamolo, stabilita in Costituzione -, esiste e deve esistere, e con questo provvedimento cerchiamo di fare un passo ulteriore per raggiungere tale obiettivo, esiste un rapporto diretto fra l'imposizione, deve esistere un rapporto diretto fra l'imposizione e il reddito individuale del contribuente. Per fare questo è necessario alleggerire la pressione fiscale sui redditi medio-bassi. Le due misure previste dal provvedimento che oggi noi andremo a convertire, quindi da un lato il trattamento integrativo e dall'altro la detrazione dall'imposta lorda, rispondono a questo obiettivo, ricomprendendo fra l'altro i redditi compresi, quella fascia di reddito compresa fra 8.174 euro e 40 mila euro, di fatto andando ad ampliare la platea di coloro che ricevevano il bonus degli 80 euro da 11,7 milioni a ben 16 milioni di lavoratori. È aperta una discussione circa la possibilità di considerare un ulteriore ampliamento della platea fino ad arrivare alla soglia di 55 mila euro per la detrazione di imposta.

Stiamo innanzi a un cantiere aperto: si lavorerà a rendere strutturale la detrazione, così come è stato detto nei giorni scorsi, e nel percorso di rivisitazione del nostro sistema fiscale, con particolare attenzione alle imposte sui redditi personali, e con l'ulteriore step che sarebbe bene fosse proprio l'ampliamento della platea per raggiungere i 55 mila euro.

La progressività di cui dicevo richiama anche un altro principio, che è quello della redistribuzione e quindi dalla giustizia sociale. Nel ripensare il sistema tributario è vero che bisogna definire strumenti e percorsi affinché siano maggiori l'efficacia, la certezza e la trasparenza del sistema nella sua funzione più importante, che è quella di recuperare le risorse necessarie allo Stato per l'esercizio delle funzioni che gli sono proprie. Ma il sistema tributario deve anche e soprattutto, proprio in attuazione di quella progressività di cui dicevo, assolvere anche a un ruolo di redistribuzione della ricchezza, in modo tale da contribuire a una maggiore giustizia sociale. Assume questo significato il trattamento integrativo che i lavoratori dipendenti con redditi da 8.174 euro a 28 mila si troveranno in busta paga a partire dal prossimo 1° luglio.

Altra considerazione, con le due misure di cui al decreto-legge si aumenta il potere d'acquisto dei lavoratori. Negli ultimi sette anni, quindi dal 2010 al 2017, come rileva un recente rapporto della Fondazione Di Vittorio della CGIL, gli stipendi degli italiani hanno registrato una perdita di potere d'acquisto pari a oltre 1000 euro, circa il 3,5 per cento, determinata da una riduzione delle retribuzioni medie. Nello stesso intervallo di tempo, in Germania e in Francia le retribuzioni lorde sono invece aumentate. Le cause di questo fenomeno sono da ricercare nel diverso impatto della crisi, nelle distorsioni del nostro mercato del lavoro, nelle dinamiche delle politiche salariali, nella formazione del capitale umano, che nel nostro sistema ha presentato e presenta diversi punti deboli. Ci sarebbe da parlare per ore di questi temi, ma non è questa la sede. C'è da dire però che una delle leve da azionare per cambiare questo fatto, che è appunto la perdita di potere d'acquisto delle retribuzioni, è proprio una riforma fiscale che le irrobustisca, esattamente come iniziamo a fare a partire dal prossimo 1° luglio.

Ultima considerazione. La scelta di agire sulla componente reddituale dei lavoratori dipendenti, quale primo tassello di intervento sul cuneo fiscale, non cancella né tantomeno ridimensiona la necessità di agire sulla riduzione del cuneo fiscale, del costo del lavoro, di quello che è l'altro fattore produttivo per eccellenza, cioè l'organizzazione e quindi le imprese. Una leva, questa, fondamentale per la crescita economica e la competitività del sistema Paese, una leva fondamentale per incentivare l'occupazione, perché lo sappiamo bene tutti che sono le imprese a creare il lavoro. Per incentivare occupazione, e aggiungo occupazione di qualità, aggiungo occupazione femminile, su cui vorrei fare un piccolo approfondimento. Ricordo infatti al riguardo, anche se immagino che tutti abbiamo ben chiaro questo dato, che nel nostro Paese il livello di occupazione femminile è pari al 52,5 per cento: siamo praticamente il penultimo Paese dell'Unione europea, appena sopra la Grecia. Questo è un dato che ci deve far riflettere. Per questo serve creare le condizioni, abbattendo il costo del lavoro per le imprese e favorendo anche le assunzioni e l'occupabilità di qualità, considerato che le donne presentano, come dicono e raccontano tutti gli istituti di studio e statistici, competenze, esperienze e valori che nel mercato del lavoro possono valere e trasformarsi in maggiore produttività e in esperienze lavorative di qualità.

E a proposito di opportunità da cogliere nei momenti di grandi stravolgimenti come quello che stiamo vivendo, segnalo, partendo dall'ultimo rapporto dell'Istituto superiore di sanità, che lo conferma, che le donne si ammalano di meno anche in questo nuovo contesto di pandemia del Coronavirus (gli uomini sono maggiormente contagiati rispetto alle donne); e ciò, riprendendo Ilaria Capua, che ci invita a cogliere quanto ci consegna la scienza a proposito della forza delle donne, individuandole come semafori rossi per iniziare, per far ripartire il Paese. Ecco, aggiungerei a questa citazione che le donne potrebbero essere, anche nella costruzione di un nuovo mercato del lavoro, in particolare in questa fase di ripartenza, semafori verdi per la ripartenza, così come è sempre successo nei momenti storici di grandi stravolgimenti, dalla Rivoluzione francese alla Grande Guerra al periodo della Resistenza. E allora, per tutti questi motivi, la discussione che stiamo facendo oggi, e poi il voto finale che seguirà, diventano non solo la ovvia e doverosa conclusione di un iter legislativo che vede al lavoro la Camera dei deputati, ma simbolicamente rappresenta il segnale che, a maggior ragione vista questa emergenza, noi siamo e dobbiamo essere in campo per cambiare il Paese attraverso una rinnovata valorizzazione di quei tratti distintivi che caratterizzano la nostra democrazia e su cui è nata la nostra Repubblica. Il lavoro prima di tutto, in tutte le sue accezioni e forme, quale unico strumento di libertà.