A.C. 2196
Grazie, Presidente. Voglio rispondere subito al deputato Bellomo. Se il deputato fosse andato a trovare in carcere Provenzano, noi non avremmo detto niente, perché andare a visitare le carceri è una prerogativa parlamentare e noi non abbiamo nessun problema con le prerogative parlamentari, che sono degne di uno Stato democratico.
Colleghe e colleghi, il voto del Partito Democratico a questo provvedimento sarà di astensione. Noi condividiamo, certo, alcuni interventi derogatori di perfezionamento delle norme.
Tuttavia, dobbiamo constatare che ancora troppi sono i problemi del mondo della giustizia che questo decreto non va in alcun modo ad intaccare, e quindi anche il nome altisonante, il titolo di questo decreto, probabilmente, non è adeguato.
Quello che abbiamo di fronte è un provvedimento che è assolutamente evasivo. Quando, insieme alle altre opposizioni, abbiamo proposto emendamenti di miglioramento e di compensazione delle tante mancanze in questo decreto, sono stati, ovviamente, tutti respinti. Il perché non è dato, ovviamente, saperlo, ma è ormai abitudine di una maggioranza e di un Governo che hanno il gusto a fare tutto da sé. Eppure, i problemi della giustizia restano e rimangono tanti, profondi e, spesso, anche drammatici. Uno su tutti - l'hanno già citato in molti - è il problema delle carceri: 63.000 detenuti, 51.000 posti disponibili; 83 suicidi accertati nel 2024, già 8 suicidi nei primi 20 giorni del 2025. L'autolesionismo è, ormai, un dramma quotidiano, e le persone in carcere vivono sotto la custodia dello Stato trattati come le bestie. Una sofferenza che cresce sempre di più e che ha origine, purtroppo, nelle terrificanti condizioni di detenzione delle carceri italiane. La media del sovraffollamento è del 130 per cento, ma ci sono carceri, come quello di San Vittore a Milano, dove i picchi raggiungono il 220 per cento. Dei 63.000 detenuti in Italia, ce ne sarebbero 23.000 con pena residua di meno di 3 anni e, di questi, almeno 19.000 potrebbero già accedere alle misure della giustizia alternativa. Invece, la carcerazione non fa perdere al detenuto il beneficio dei diritti sanciti dalla Convenzione, al contrario, in alcuni casi, la persona incarcerata può avere bisogno di una maggiore tutela proprio per la vulnerabilità della sua situazione e per il fatto di trovarsi totalmente sotto la responsabilità dello Stato.
«In questo contesto, l'articolo 3 pone a carico delle autorità un obbligo positivo che consiste nell'assicurare che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l'interessato ad uno stato di sconforto né ad una prova di intensità che ecceda l'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente». Non sono, ovviamente, le mie parole, ma sono le parole della sentenza Torreggiani con cui, nel 2013, l'Italia è stata condannata per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. Dodici anni sono passati da quella sentenza e il problema, purtroppo, va sempre peggiorando. Certamente, prevengo già quello che si ribatterà: non è un problema che nasce con questo Governo. Non tutte le responsabilità possono essere addotte a questo Governo ma, dopo più di 2 anni, è anche un ritornello che siamo stufi di sentire come giustificazione all'inerzia e, quindi, è un problema che il Governo ha il dovere e la responsabilità di prendere di petto. Si ha l'impressione qui, invece, che ciò che fa il Governo sia semplicemente voltare le spalle. Con la recente legge di bilancio, infatti, il comparto giustizia subisce tagli per oltre 500 milioni di euro, proprio lì dove servirebbero interventi significativi e, quindi, rimangono irrisolte, se non addirittura aggravate, le carenze dei servizi educativi e di riabilitazione, le mancanze sull'accoglienza, il trattamento penitenziario e le politiche di reinserimento. Ci sono tagli alla giustizia minorile e di comunità, tagli alla giustizia civile e penale (in particolare, i 166 milioni di euro che andranno a colpire, soprattutto, il funzionamento degli uffici), ci sono tagli all'azione di potenziamento e ristrutturazione dell'edilizia carceraria, su cui peserà il decremento di 50 milioni del Programma dell'amministrazione penitenziaria gestito dal DAP. Mancano, dunque, le risorse per affrontare l'emergenza permanente dell'edilizia carceraria in sé e per sé, ma non mancano quelle per rafforzare la struttura commissariale e, in particolare, aumentare l'indennità del commissario straordinario per l'edilizia carceraria.
Sono risorse - peraltro, questo è ancora più grave, lo si diceva anche prima - che sono prelevate da due Fondi che, secondo noi, non andrebbero assolutamente toccati: il Fondo per il funzionamento della giustizia riparativa, che noi consideriamo un istituto da valorizzare secondo le linee della riforma approvata nella scorsa legislatura, e il Fondo che riguarda la copertura delle spese degli imputati assolti nel processo penale, quindi persone che hanno subito ingiustamente un'accusa.
Strano, dico io, perché il commissario, nominato ormai l'estate scorsa per affrontare la grande emergenza dell'edilizia carceraria, ancora non si è visto. Siamo a gennaio dell'anno successivo, e ancora questo commissario non si è degnato neanche di presentarci un programma su cui possiamo giudicare le sue azioni. Quindi, mi chiedo - e chiedo a voi, colleghi, tramite il Presidente - quante altre vittime dovranno fare le carceri italiane e le loro condizioni di detenzione prima che accada qualcosa da questo punto di vista, e che questo commissario faccia qualcosa.
Si sarebbe potuto fare qualcosa già adesso, si sarebbe potuto, in questo provvedimento, raccogliere i tanti suggerimenti delle opposizioni per colmare alcune gravi mancanze. Li ripropongo per titoli: la salute mentale, le risorse per il personale, il funzionamento della giustizia penale e civile, la giustizia minorile, l'applicazione per il processo telematico penale (dove si è riusciti, purtroppo, a registrare, invece, un clamoroso fallimento); servirebbero misure per la magistratura onoraria, che è in grande crisi, per la stabilizzazione e l'ottimizzazione dell'ufficio del processo, per la solidarietà alle vittime di mafia, usura, estorsione e crimini domestici; avremmo bisogno di aumentare le REMS, le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, farne almeno una in ogni regione; avremmo bisogno di sostenere più e meglio il personale medico sanitario e psichiatrico che, ogni giorno, affronta dentro al carcere l'emergenza di salute mentale e di salute dei luoghi di detenzione; dovremmo porre fine all'orrore delle madri in carcere - ma qui so che sto buttando, purtroppo, parole al vento -, oppure dare l'accesso, a chi è detenuto, al diritto umano fondamentale alle relazioni e all'affettività; dovremmo risolvere il tema del sovraffollamento con un grande investimento sull'esecuzione penale esterna, sul lavoro di formazione, ma anche, se avessimo un minimo di visione, con degli interventi di architettura penitenziaria che diano respiro ai luoghi di detenzione.
Sì, esatto, respiro, perché il vero fine della pena è la rieducazione, appunto, e non l'umiliazione. Lo Stato sì, punisce, quando è giusto punire, ma rieduca, non umilia. Non c'è rieducazione senza la dignità della persona, e dovremmo mettercelo in testa. Più lo Stato trascura questo aspetto fondamentale, più ci aspettano cronache di morte, di suicidi, dolore e, per chi sopravvive, cronache di recidiva, purtroppo. Secondo il CNEL, il 68,7 per cento dei detenuti torna a delinquere, sono 2 su 3. I dati cambiano drasticamente se si considerano solo i detenuti che hanno svolto percorsi di formazione o di lavoro in carcere: il tasso di recidiva, per questi ultimi, è pari solo al 2 per cento. Le ricerche dimostrano che c'è una forte relazione tra il lavoro e la possibilità di commettere il crimine: all'aumento dei tassi di disoccupazione aumentano i crimini, ed è un dato che i detenuti che partecipano a programmi di formazione in carcere, che trovano un lavoro sia durante l'esecuzione della pena che dopo la sua fine, hanno un tasso di recidiva più basso. Ma per fare questo servono, ovviamente, delle risorse che, anche in questo decreto, purtroppo, mancano.
Questa è la discussione sulla giustizia che noi siamo ed eravamo disponibili a fare. In queste occasioni dobbiamo ricordarci che non parliamo solo di cifre o di tecnicismi, ma parliamo, ovviamente, della vita delle persone. Ogni taglio, ogni ritardo, ogni mancata azione ha delle conseguenze reali sulle vite di queste persone, non solo sui detenuti, ma anche, ad esempio, sulle vittime di violenza domestica che, ancora oggi, si vedono negare la protezione a causa dell'assenza di braccialetti elettronici e, forse, anche su questo, ascoltando le audizioni, si poteva trarre qualche spunto in più rispetto a questo decreto. Noi vogliamo discutere di giustizia, ma non possiamo farlo seriamente se i provvedimenti di merito come poteva essere questo, vengono affrontati con superficialità, mentre si taglia nel settore e si interviene sul sistema giustizia solo con interventi a cui, purtroppo, ci siamo abituati: aumenti delle pene, nuovi reati.
Una concezione panpenalistica della giustizia che non esaurisce assolutamente la sua missione. Per questo il nostro voto sarà di astensione.