A.C.2570-A
Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, rappresentante del Governo, il provvedimento che oggi siamo chiamati a discutere nasce con l'intento dichiarato di accelerare il percorso del nostro Paese verso il raggiungimento degli obiettivi del PNRR in materia di giustizia. È un decreto, dunque, presentato come salva-obiettivi, che testimonia le mancanze e gli errori commessi fino ad ora in materia di giustizia e che dovrebbe rimettere in carreggiata il sistema per non perdere i fondi europei e la credibilità internazionale.
Ma, a ben vedere, i contenuti raccontano una storia diversa: più che di riforme strutturali, parliamo di soluzioni emergenziali, temporanee e prive di una visione complessiva.
Il decreto si compone di 11 articoli: con gli articoli 1, 2 e 3 si ampliano gli strumenti di impiego straordinario dei magistrati, dai giudici onorari, chiamati a supplire al trasferimento incentivato di togati verso le corti in difficoltà, fino all'applicazione da remoto per lo smaltimento dei procedimenti civili; con l'articolo 4 si conferiscono ai capi degli uffici poteri straordinari di riorganizzazione interna, anche riassegnando fascicoli per compensare ritardi e squilibri; con l'articolo 5 si modifica il tirocinio dei magistrati neoassunti, facendoli entrare subito nelle corti d'appello per accelerare la loro operatività; l'articolo 6 è un contenitore di proroghe, dal tribunale per le persone i minorenni e le famiglie alle sezioni distaccate, ai giudici ausiliari fino agli albi professionali; gli articoli successivi riguardano la consulenza tecnica d'ufficio, l'articolo 7, l'aumento dell'organico per gli uffici di sorveglianza, l'articolo 8 , alcune modifiche della legge Pinto, l'articolo 9 e la copertura finanziaria e l'entrata in vigore gli articoli 10 e 11. Una sequenza di interventi eterogenei, nati, quindi, più per tamponare falle che per risolvere nodi. Colleghi, non possiamo fare finta di nulla: i numeri che fotografano lo stato della giustizia italiana sono allarmanti. Mancano 1.800 magistrati togati pari al 17 per cento della pianta organica e, se aggiungiamo il personale amministrativo e tecnico, la carenza sfiora il 40 per cento; i processi civili durano in media 1.900 giorni, quasi cinque anni e un mese: l'obiettivo europeo è scendere a 1.500 giorni entro il 2026.
La riduzione fin qui raggiunta, rispetto al 2019, è appena del 20 per cento mentre il target fissato è meno 40 per cento.
Le sopravvenienze crescono, i procedimenti civili iscritti sono aumentati del 12 per cento, in particolare, nelle materie più delicate come cittadinanza e protezione internazionale.
Il Ministero stesso nei monitoraggi ufficiali ha certificato che, al ritmo attuale, non raggiungeremo gli obiettivi, per arrivarci servirebbe un aumento delle definizioni annuali dell'8-11 per cento. Ma la realtà è che le definizioni calano, le sopravvenienze aumentano e la scadenza si avvicina. A settembre 2025 la montagna da scalare è ancora ripidissima.
In questo quadro c'è un altro nodo irrisolto che non possiamo ignorare: i 12.000 lavoratori e lavoratrici precari assunti con fondi PNRR, addetti all'ufficio per il processo, data-entry e funzionari tecnici, sono stati loro a garantire in questi mesi lo smaltimento dell'arretrato e a portare avanti la digitalizzazione.
Il loro contributo è stato definito fondamentale da tutti, magistratura inclusa. Eppure, il Governo non dà risposte. Solo 3.000 hanno una prospettiva di stabilizzazione, per gli altri la scadenza del 30 giugno 2026 significa disoccupazione e dispersione di competenze preziose. Lo scorso 16 settembre, questi lavoratori sono scesi in piazza per chiedere certezze. Il loro slogan era semplice ed eloquente: abbattiamo l'arretrato, come premio il precariato.
Abbiamo portato in Commissione emendamenti per stabilizzarli; abbiamo proposto meccanismi selettivi, basati sull'esperienza e sul merito per dare continuità a queste professionalità. Sono stati tutti respinti. Eppure, è chiaro che, senza stabilizzazione, il sistema collasserà. Non lo dice l'opposizione, lo dice l'ANM, che ha parlato di giustizia a rischio paralisi. Nel corso dell'esame in Commissione giustizia abbiamo ribadito che questo decreto non prevede risorse aggiuntive, non garantisce assunzioni né stabilizzazioni e non affronta le vere criticità strutturali, limitandosi a deroghe e soluzioni temporanee. Abbiamo denunciato che il Governo si muove sempre con urgenza e proroghe, mai con una visione organica o con una proposta di legge di sistema.
Abbiamo evidenziato come la qualità della giurisdizione rischi di essere compromessa. Si punta a produrre numeri per Bruxelles, ma senza garantire il diritto dei cittadini a processi giusti e in tempi ragionevoli. Abbiamo sottolineato il paradosso: invece di bandire concorsi adeguati si spostano magistrati come pedine sulla scacchiera e invece di dare stabilità al personale si preferisce un turnover precario e inefficiente.
Colleghe, colleghi, non possiamo nasconderci dietro l'alibi dell'urgenza. Gli obiettivi del PNRR erano noti da 4 anni. Se oggi siamo costretti a misure straordinarie, la responsabilità è di un Governo che ha scelto di non programmare, di non investire, di non ascoltare e di non collaborare. Questo decreto è la fotografia di un approccio sbagliato: ci si affida a deroghe e proroghe, invece di pianificare; si scaricano sui magistrati onorari e sui giovani tirocinanti funzioni improprie, invece di rafforzare l'organico e si lasciano i lavoratori precari nel limbo, invece di valorizzare il contributo.
La giustizia non è una fabbrica di sentenze, non può ridursi a un esercizio statistico. È un diritto dei cittadini, è un pilastro della democrazia.
Per tutte queste ragioni, il nostro giudizio su questo decreto è critico e negativo.
Chiediamo al Governo di cambiare passo, assumendo magistrati e personale amministrativo in numero adeguato, stabilizzando i 12.000 precari della giustizia, investendo davvero in digitalizzazione e formazione, costruendo una riforma organica che non rincorra i numeri, ma garantisca diritti e qualità. Senza questo cambio di rotta, non solo non raggiungeremo i target del PNRR, ma continueremo a consegnare ai cittadini un sistema lento, fragile e iniquo. E noi non vogliamo accettarlo.