A.C. 1521-A
Grazie, signor Presidente. Colleghe e colleghi, nell'esprimere la nostra posizione sulla proposta di legge a prima firma dell'onorevole Mollicone, desidero anzitutto sottolineare un aspetto che, seppure sembrerebbe un aspetto formale, ha assunto in questo dibattito un valore simbolico non secondario.
Come è già stato evidenziato in sede di discussione generale, dopo la scoperta che abbiamo fatto la scorsa settimana, ma anche nel corso dei voti sugli emendamenti, la proposta di legge in discussione riprende fedelmente il titolo di un libro dello stesso collega proponente. È un fatto molto, molto singolare ed una scelta assai inopportuna, che non può passare inosservata.
Naturalmente, nessuno contesta il diritto di ciascun collega di portare in Aula le proprie idee, le proprie esperienze, la propria visione, ma quando una proposta di legge riprende letteralmente il titolo di un'opera editoriale, il confine tra iniziativa legislativa e iniziativa promozionale o autopromozionale rischia di diventare estremamente sottile. Un atto parlamentare non può e non deve trasformarsi in una vetrina personale o, addirittura, nel prolungamento di un'operazione editoriale. Il Parlamento è il luogo in cui si scrivono le regole della Repubblica e si tutela l'interesse generale. E proprio per questo anche le forme, non solo i contenuti, devono riflettere la sobrietà e la neutralità delle istituzioni.
Venendo al merito della proposta, signor Presidente, il testo prevede la creazione di un circuito nazionale per la valorizzazione delle arti performative e dei beni culturali, con l'obiettivo dichiarato di promuovere l'immagine dell'Italia attraverso eventi e iniziative artistiche. Si tratta, almeno nelle intenzioni, di un progetto volto a rafforzare la connessione tra cultura e territorio, tra patrimonio materiale e creatività contemporanea. Tuttavia, all'analisi concreta del provvedimento, emergono criticità significative.
In primo luogo, la vaghezza degli strumenti attuativi: non sono chiariti i criteri di selezione dei soggetti partecipanti né le modalità di gestione delle risorse, e il rischio è di creare un contenitore sì evocativo, ma privo di solide garanzie di trasparenza, di efficienza amministrativa e di parità di accesso.
In secondo luogo, la sproporzione tra gli obiettivi dichiarati e i mezzi effettivamente previsti: si parla di un grande circuito nazionale, ma senza un piano finanziario strutturato né una visione organica del rapporto con gli enti locali, nonché con il Ministero della Cultura.
E in terzo luogo, la concezione stessa della valorizzazione, che emerge dal testo, appare molto più orientata alla promozione che alla tutela. Eppure, come sappiamo ed è noto, il codice dei beni culturali ci ricorda che valorizzare significa rendere fruibile il nostro patrimonio nel rispetto della sua identità e del suo valore pubblico, non trasformarlo in un marchio o in un brand. L'arte non è un format e la cultura non è, e non può diventare, un prodotto da immettere nel mercato della comunicazione.
La proposta “Italia in scena”, anche per il modo in cui è stata presentata, rischia di incarnare una visione spettacolare e autoreferenziale della politica culturale. Un'Italia “in scena”, appunto, più che un'Italia che vive, che crea, che include. Ed è una prospettiva, questa, che rischia di mettere in secondo piano i veri problemi del settore: la precarietà dei lavoratori dello spettacolo, la carenza cronica di risorse per i teatri, i musei, i luoghi della cultura, le disuguaglianze territoriali nell'accesso ai servizi culturali. Temi, questi, che abbiamo sperato di poter affrontare e trattare anche attraverso questo provvedimento, ma non lo abbiamo potuto fare.
Signor Presidente, noi crediamo che la cultura sia un diritto e non un ornamento. Crediamo che vada sostenuta con politiche solide, non con slogan, e crediamo che il Parlamento debba essere il luogo della responsabilità, non della rappresentazione né dell'autorappresentazione. E per questo, pur riconoscendo l'impegno e l'intenzione, non possiamo condividere l'impianto di questa proposta di legge, che riteniamo debole nei contenuti e impropria nella forma. “Italia in scena” è un titolo evocativo, ma la cultura italiana non ha bisogno di essere messa in scena, ha bisogno di essere sostenuta e resa accessibile. Non servono infatti nuove scenografie legislative, servono interventi concreti, investimenti stabili, strumenti, risorse, tutele e diritti per chi lavora nel settore, semplificazioni amministrative per chi produce arte e cultura.
E, pur riconoscendo un merito di questa proposta di legge - che è quello di aver introdotto e portato alla discussione di quest'Aula un tema che per noi è molto significativo, che è quello della sussidiarietà e della partecipazione nei processi di valorizzazione dei beni culturali (ed è proprio perché riteniamo importantissimo il coinvolgimento degli enti del Terzo settore che in Commissione ci siamo sempre astenuti) -, non possiamo non evidenziare che il testo non è organico, che è eterogeneo e vago.
Peraltro, la modifica proposta al codice dei beni culturali rischia di introdurre delle sovrapposizioni e delle ambiguità nella ripartizione delle competenze tra Stato e soggetti privati, senza un quadro normativo chiaro.
Abbiamo anche provato, signor Presidente, a convincere la maggioranza a modificare il titolo della proposta - anche in zona Cesarini, come si direbbe in gergo calcistico - ma purtroppo non ci siamo riusciti, e, anzi, ci siamo ritrovati anche oggi con emendamenti sorpresa, dell'ultimo momento.
Per tutte queste ragioni devo annunciare, a nome del gruppo parlamentare del Partito Democratico, il nostro voto contrario a questo provvedimento. Lo faccio e lo facciamo nel rispetto del proponente e di quest'Aula parlamentare, ma nella ferma convinzione che la cultura è e deve continuare a essere fondamento comune della nostra identità e della nostra democrazia.