Relatore per la maggioranza
Data: 
Lunedì, 25 Settembre, 2017
Nome: 
Davide Mattiello

 

A.C. 1039 ed abbinate

Grazie, Presidente. Quattro anni sono passati da quando questo lavoro è cominciato con l'incardinamento della proposta di legge di iniziativa popolare n. 1138 in Commissione giustizia alla Camera; poi vennero l'inchiesta della Commissione antimafia, che produsse un'articolata proposta di riforma, e il contributo del Governo, a partire dal DDL Orlando dell'agosto del 2014. Era l'11 novembre del 2015 quando, a larga maggioranza, la Camera approvava in prima lettura il testo che oggi arriva nuovamente all'attenzione dell'Aula, dopo che il Senato lo ha licenziato, con modifiche, il 6 luglio.

Vediamo allora subito le modifiche più significative apportate al testo, che sono tre : l'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati resta sotto la vigilanza del Ministero dell'interno, come è attualmente, mentre noi l'avevamo collocata sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio; nell'articolo 1, il riferimento agli indiziati di reati contro la pubblica amministrazione resta, ma collegato al 416; agli articoli 25 e 28 è stata estesa la portata della certificazione prefettizia antimafia, con particolare riguardo alle concessioni dei terreni agricoli, prevedendo che, aperte virgolette, “l'informazione antimafia sia sempre richiesta nelle ipotesi di concessione dei terreni agricoli demaniali che ricadono nell'ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune, a prescindere dal loro valore complessivo, nonché su tutti i terreni agricoli a qualunque titolo acquisiti, che usufruiscono dei fondi europei”, chiuse virgolette. Ho voluto leggere per esteso questa norma in particolare, perché è la traduzione in legge della ottima pratica adottata dal presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, a causa della quale lo stesso ha subito il gravissimo attentato che ricordiamo.

Le modifiche sono state approfondite e discusse; pertanto le ritengo, oltre che ragionevoli, apprezzabili. Come ha ribadito il Ministro Orlando, intervenendo personalmente nella discussione svoltasi in Commissione giustizia la scorsa settimana, il giudizio sulla riforma va elaborato tenendo uno sguardo d'insieme su tutti e trentotto gli articoli, che complessivamente si fanno carico tanto dell'esigenza di maggiore efficacia nella individuazione e aggressione dei patrimoni illeciti, quanto di quella di maggior tutela per i soggetti coinvolti a vario titolo nella procedura: il proposto, i lavoratori, i terzi in buona fede.

È chiaro a tutte le forze politiche che, dopo quattro anni di lavoro, oggi il punto è decidere se licenziare il testo così come ci è arrivato dal Senato, facendolo diventare legge, oppure sprecare questa occasione. In questa prospettiva abbiamo valutato gli emendamenti proposti in Commissione e valutiamo quelli eventualmente presentati per l'Aula. Non c'è spazio per emendare ancora e rimandare in Senato. Chi facesse finta di non capirlo si assumerebbe una responsabilità gravissima. Per questo, come relatore, ho chiesto e chiederò il ritiro di ogni emendamento.

Esistono, peraltro, ragioni molto concrete per fare di questo testo, legge senz'altro. All'articolo 34, per esempio, la riforma prevede un'importante e delicata delega al Governo sulle misure da definire a sostegno dei lavoratori di imprese sequestrate e giudicate capaci di stare sul mercato. La delega ha bisogno di un tempo, pur breve, per essere esercitata, altrimenti andrà in fumo.

Credo che, dopo quattro anni di lavoro, tutte le forze politiche dovrebbero poter ritenere il testo frutto di una mediazione positiva nella quale riconoscersi, anche chi, in prima lettura, aveva mosso critiche e aveva votato contrariamente. Al MoVimento 5 Stelle dico: sulla questione della trasparenza nella gestione di tutto il procedimento, e segnatamente nell'affidamento degli incarichi agli amministratori giudiziari, le viti sono state strette, anche accogliendo vostre proposte. Peraltro, alcune di queste norme vanno specificate tempestivamente esercitando un'altra delega, quella di cui all'articolo 33.

A chi, soprattutto nel centrodestra, si è preoccupato per un'eccessiva attenzione verso le aziende sequestrate, denunciando il rischio di una distorsione della libera concorrenza, dico: non un euro pubblico sarà speso per le aziende finte o incapaci di stare sul mercato senza la spinta mafiosa, saranno liquidate. A chi si è preoccupato che l'estensione della platea dei soggetti cui possano essere applicate le misure di prevenzione patrimoniali si traduca in una soffocante ingerenza dello Stato nel mercato dico: al contrario, la riforma non soltanto amplia l'istituto dell'amministrazione giudiziaria non finalizzata all'ablazione del bene azienda, ma introduce finalmente l'istituto del controllo giudiziario, che oltre a evitare l'ablazione evita anche lo spossessamento in fase di sequestro, un modo per intervenire chirurgicamente a tutela dell'attività di impresa, almeno fino a quando ve ne siano le condizioni.

A chi, concedendo un po' troppo alla vis polemica, ha cercato di agitare l'opinione pubblica affermando che con questa riforma basterà un semplice indizio di corruzione per vedersi confiscare l'azienda, la casa e il conto in banca, dico: vi sbagliate e soprattutto inducete all'errore. Il meccanismo della prevenzione patrimoniale considera la pericolosità sociale del soggetto soltanto come innesco, come condizione inizialmente necessaria, ma non sufficiente; infatti, soltanto l'esito dell'indagine patrimoniale, che mette in evidenza l'illecita provenienza del patrimonio, ovvero la sua sproporzione rispetto al reddito dichiarato e attività economica svolta, giustificherà il provvedimento di sequestro. Addirittura possiamo spingerci a dire che la presunta pericolosità sociale del soggetto è una condizione necessaria soltanto inizialmente; prova ne è che il procedimento di confisca continua anche nei confronti del patrimonio imputabile alla persona meno pericolosa che esiste in natura, il morto. La pericolosità sociale del soggetto è condizione necessaria e sufficiente soltanto per l'applicazione delle misure di prevenzione personali, e non di quelle patrimoniali.

Spero che il punto sia chiaro ed è per questo motivo che è condivisibile l'inserimento all'articolo 4 del reato di cui al 612-bis, cioè lo stalking. L'articolo 4 fa riferimento alle misure di prevenzione personali disposte dall'autorità giudiziaria, che non di per sé, appunto, si traducono in misure di prevenzione patrimoniali, pure essendo, il 4, richiamato dall'articolo 16. Ben vengano quelle personali per lo stalker; abbiamo, anzi, un tragico ritardo ancora in parte da colmare in materia.

A chi ha manifestato la seria preoccupazione che l'allargamento della platea dei soggetti a cui possono applicarsi le misure di prevenzione patrimoniali possa esporre la normativa a nuove censure da parte della Corte costituzionale o della giustizia europea dico: comprendo la preoccupazione, ma la riforma si fa carico delle censure del passato, risolvendole. Intanto, perché alcune di quelle censure, come quelle contenute nella sentenza De Tommaso, pretendevano una maggiore attenzione al sacrosanto principio della prevedibilità delle condotte che vengono sanzionate, riconoscendo peraltro piena legittimità al meccanismo della prevenzione. Sul punto rimando al preciso parere formulato dalla I Commissione. Ma a questa pretesa abbiamo risposto individuando le ulteriori condotte attraverso il richiamo puntuale delle fattispecie di reato corrispondenti, le quali, per definizione, garantiscono sufficiente grado di tipizzazione e quindi di prevedibilità. Altre censure, invece, hanno nel tempo riguardato il meccanismo della procedura di applicazione della prevenzione patrimoniale, ritenuto eccessivamente comprimente le ragioni del proposto e dei terzi di buona fede.

Queste censure pretendevano una maggiore attenzione al contraddittorio, alla posizione dei terzi di buona fede, alla certezza dei tempi, alla chiarezza degli esiti della procedura medesima ed è esattamente in questa direzione che abbiamo lavorato. La parte più corposa e meno discussa della riforma è proprio quella che interviene sulle competenze giurisdizionali, sui tempi, sulle impugnazioni, sulla tutela dei terzi di buona fede, sul rapporto tra procedura di prevenzione e sequestro di natura penale, sul rapporto tra procedura di prevenzione ed esecuzione fallimentare.

A chi ha espresso perplessità sull'estensione dell'articolo 1 agli indiziati di reati contro la pubblica amministrazione, quando esista anche l'indizio dell'associazione per delinquere, come ha fatto autorevolmente il presidente dell'Anac, Cantone, dico che faccio mia la preoccupazione di un utilizzo abnorme di questa previsione e credo che sarà doveroso, da parte nostra, monitorare la normativa e intervenire tempestivamente per perfezionarla. Lo dico con la serenità di chi è consapevole che in questi quattro anni il Partito Democratico e la maggioranza, in piena sintonia con il Governo, hanno alzato gli scudi contro la corruzione, intanto, istituendo l'Anac stessa, ma poi aumentando le pene, allungando i termini di prescrizione, prevedendo sconti a chi rompa il patto scellerato collaborando con la giustizia e la confisca penale obbligatoria. Certo, mi conforta su questo ultimo punto specifico, ma anche complessivamente sul lavoro che abbiamo fatto in Parlamento, il giudizio favorevole del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti, e il fatto che il 13 settembre il Consiglio superiore della magistratura, normalmente critico nei confronti del legislatore, abbia approvato una delibera che dedica alla riforma del codice decine di pagine di analisi e conclude con un inequivocabile invito ad approvarla così com'è, riconoscendo che il testo scioglie diversi nodi da anni lamentati dagli operatori del settore; non un cenno, nelle 40 pagine, all'articolo 1 e, come ha fatto notare il Ministro Orlando, in Commissione giustizia, non certo per una forma di amnesia o di cortesia istituzionale. Infatti, c'è un punto sul quale il Consiglio superiore della magistratura mantiene un dissenso e non voglio eluderlo: i beni confiscati, secondo la nostra riforma, su questo coincidente tra Camera e Senato, passano nella gestione dell'Agenzia dopo la confisca di secondo grado mentre il CSM avrebbe preferito una secca anticipazione, funzionale a sollevare la magistratura da un'incombenza ritenuta, per alcuni aspetti, eccessiva. Intanto, voglio chiarire che i motivi di questo dissenso li trovo legittimi, considerato il carico di lavoro delle sedi giudiziarie e aggiungo che abbiamo inteso farcene carico, esplicitando che l'Agenzia debba avere un ruolo di supporto dell'autorità giudiziaria, fin dal sequestro, estendendo a tal fine il ventaglio degli strumenti per realizzare gestioni provvisorie dei beni fin dal sequestro medesimo. Ma, voglio anche rivendicare le ragioni politiche di questa scelta; la storia di un bene confiscato, come sappiamo bene, comincia generalmente dalla cosiddetta proposta e finisce con il suo riutilizzo pubblico, passando per sequestro, confisca di primo grado, confisca di secondo grado, confisca definitiva, destinazione, assegnazione e controllo dell'utilizzo. Le maggiori criticità che abbiamo evidenziato nel nostro lavoro di inchiesta si sono concentrate soprattutto nelle fasi di destinazione, assegnazione e controllo dell'utilizzo.

Ecco, abbiamo voluto, con la nostra scelta, ribadire che l'Agenzia nasce, prima di tutto, per gestire queste fasi della storia di un bene: destinazione, assegnazione, controllo. L'idea di un'Agenzia nazionale, infatti, comincia a manifestarsi proprio quando si impone nell'opinione pubblica il valore del riutilizzo sociale dei patrimoni illeciti confiscati. La mafia restituisce il maltolto, era lo slogan con il quale Libera raccoglieva nel 1995 oltre un milione di firme per quella che sarebbe diventata la legge n. 109 del 1996. Sull'onda di questa consapevolezza civica, maturerà il bisogno di un soggetto istituzionale deputato a gestire il patrimonio confiscato, inverando la promessa della legge n. 109: la ricchezza sottratta al crimine diventa risorsa per la collettività. L'Agenzia, fondata nel 2010, è il frutto di questo bisogno e deve poter svolgere fino in fondo questo mandato.

Tutto ciò posto, abbiamo comunque e finalmente provveduto a potenziare anche l'organico dell'Agenzia e le risorse economiche a disposizione del direttore che, in futuro, a riforma approvata, potrà anche non essere un prefetto.

Per intanto, però, fatemi ringraziare i prefetti con i quali abbiamo avuto modo di collaborare in questi anni, che hanno dato e danno un importante contributo anche all'elaborazione parlamentare, nel ruolo di direttori dell'Agenzia, Umberto Postiglione, che ha terminato l'incarico nella scorsa primavera, e Ennio Sodano, che lo ha sostituito.

In conclusione, Presidente, vorrei approfondire una questione che ha segnato il dibattito attorno a questa riforma. Sarà vero che il sistema della prevenzione patrimoniale si giustifica se, e soltanto se, rimane formalmente agganciato alla fattispecie dell'articolo 416-bis? Detto altrimenti, il sistema di prevenzione patrimoniale si giustifica soltanto se è ancorato all'eccezionalità del cosiddetto doppio binario, a sua volta legato all'emergenza mafiosa, come tale specifica, non estensibile, fatalmente transitoria? Pertanto, mollando questo aggancio formale si snaturerebbe il sistema sottoponendolo anche alle censure della giurisprudenza costituzionale italiana ed europea? Io non credo. La prova sta nella storia stessa di questo strumento.

È vero che per Pio La Torre e per coloro che lo coadiuvarono nell'elaborazione della legge che vedrà la luce soltanto dopo l'assassinio suo e del generale Dalla Chiesa, il reato di associazione mafiosa e la confisca di prevenzione dei patrimoni illeciti nella disponibilità medesima dell'organizzazione furono due facce della stessa medaglia. È quella la legge, la n. 646 del 1982 che inventa il 416-bis ed è quella la legge che introduce la confisca di prevenzione fondata sull'indizio di appartenenza alla mafia, oltre alla provenienza illecita del patrimonio disponibile. Ma è altrettanto vero che in tre distinti interventi legislativi, il primo dei quali risalente alla maledetta estate del 1992, i presupposti di applicazione della confisca di prevenzione si sono via via progressivamente ma coerentemente allargati, arrivando a comprendere, da un lato, il meccanismo della cosiddetta confisca allargata, ex articolo 12-sexies e, dall'altro, tutte le fattispecie di reato considerate all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. Non si è sfasciato niente, perché sono state evoluzioni coerenti a due principi: il primo, le organizzazioni di stampo mafioso mutano le proprie strategie di accumulazione e, quindi, è fondamentale aggiornare il catalogo di quelle condotte-spia che possono essere considerate rivelatrici di un movimento mafioso; secondo, che è quello che a me sta particolarmente a cuore, è che mafiosi si può anche diventare col tempo, ammesso di averne la volontà e la possibilità. Non dobbiamo, cioè, pensare alle organizzazioni mafiose soltanto come organizzazioni date e, quindi, cosa nostra, 'ndrangheta, camorra, sacra corona unita, che, al più, cambiano strategie di accumulazione, perché questa è soltanto una parte del problema.

Dobbiamo pensare che “mafioso” è un particolare modo di organizzare il crimine, quello che si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo capace di generare omertà e assoggettamento e che questo modo mafioso di fare crimine, essendo molto efficace, può essere imparato e applicato da associazioni criminali che, inizialmente, nulla hanno a che fare con le organizzazioni mafiose storicamente date, né con il metodo medesimo. Soprattutto, per questo secondo principio del ragionamento, sono convinto che abbiamo fatto bene ad estendere l'applicazione agli indiziati di reati contro la pubblica amministrazione con l'aggiunta del 416, non tanto, quindi, perché le mafie, come siamo soliti dire, sparano di meno e corrompono di più, se fosse soltanto questo il punto, probabilmente avremmo potuto intervenire in maniera più limitata sul testo vigente, ma perché, chi oggi corrompe in maniera sistemica, si sta seriamente candidando ad organizzare un potere criminale che si è lasciato evolvere, potrà trasformarsi in una vera e propria nuova mafia. Credo che stiamo assistendo a forme sofisticate di nuova accumulazione proto-mafiose, fondate sull'illecito dirottamento della volontà pubblica a beneficio di interessi particolari. Credo che queste nuove organizzazioni criminali costruiscano il proprio potere soprattutto sulla captazione da remoto di informazioni sensibili, funzionali alla pianificazione di un capillare e pericolosissimo sistema estorsivo, al quale, con ogni probabilità, fa e farà seguito un significativo cedimento dei soggetti ricattati che produrrà come conseguenza il moltiplicarsi di comportamenti di connivenza, di indebita convenienza, di natura, appunto, corruttiva.

Resta con tutto ciò vera la lezione di Pio La Torre: la mafia è questione di classi dirigenti. Soltanto che la classe dirigente che aveva negli occhi Pio La Torre ancorava il proprio potere alla terra e al calcestruzzo. La nuova frontiera dell'organizzazione del potere mafioso è e sarà ancorata alle banche dati.

Per questo, vicende come il disastro provocato dal virus WannaCry, l'inchiesta “Occhionero”, l'inchiesta sulla cosiddetta P4, i Panama Papers, fino ai più recenti attacchi hacker alla banca dati del Ministero degli esteri, sono vicende assai sintomatiche. Per questo abbiamo ancora molto da studiare e da capire di quel fenomeno criminale, eversivo, sostanzialmente impunito e a lungo irrisolto attraverso mille rivoli carsici, che è stato la P2. Per questo non può essere disgiunto il tema che ci occupa da quello della riforma della cosiddetta legge Anselmi.

Presidente, ho finito. La democrazia vive soltanto attraverso un costante, paziente e tenace lavoro di bonifica delle sue infrastrutture portanti: la politica e l'economia. Come un sistema vascolare, che, se non mantenuto, si riempie di colesterolo fino a collassare, così queste infrastrutture rischiano di venire ingombrate dal colesterolo di mafia e corruzione. Ecco, con questa riforma noi rendiamo più forti gli strumenti con i quali bonificare le nostre infrastrutture portanti e far vivere più lungo e meglio la Repubblica italiana (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).