Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 19 Giugno, 2017
Nome: 
Romina Mura

A.C. 3891

 

Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, ci apprestiamo oggi con la discussione generale, e nei prossimi giorni con la votazione, e auspichiamo la definitiva approvazione, a introdurre nel nostro ordinamento, come diceva bene il relatore, una serie di integrazioni alla normativa penale, a quella materia della libera partecipazione alle competizioni elettorali, che consentiranno alle autorità preposte di intervenire in modo puntuale ed efficace, questo perlomeno è il nostro intendimento, rispetto al fenomeno diffuso, anche se non sempre adeguatamente raccontato e rappresentato sia in sede politica che comunicativa, delle minacce e degli atti intimidatori contro gli amministratori locali e coloro che concorrono per diventarlo, più in generale nei confronti di coloro che esercitano funzioni pubbliche.

L'intervento legislativo presentato e votato al Senato come atto successivo e qualificante rispetto agli esiti dell'importante e articolato lavoro svolto dalla Commissione d'inchiesta Lo Moro, che per la prima volta ha indagato a fondo in modo specifico, e non residuale come in passato, sulla sostanza e sul significato del fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali, rappresenta un tassello fondamentale, tra l'altro atteso e richiesto anche nelle diverse audizioni tenute nel corso degli stessi lavori dalla Commissione, per la costruzione delle condizioni minime indispensabili affinché migliaia di donne e di uomini, nostri connazionali, mossi da profondo senso civico, continuino a mettersi al servizio in particolare delle comunità locali, di quelle di piccole e medie dimensioni, di quelle, in molti di questi casi, geograficamente e socialmente più periferiche. Con la proposta legislativa Lo Moro, come detto, già approvata dal Senato, e alla quale qui alla Camera ne sono state abbinate altre due aventi medesime finalità e contenuti similari (quella a prima firma della sottoscritta e l'altra del collega Francesco Sanna), colmiamo un vuoto normativo e mettiamo a disposizione delle autorità competenti strumenti di indagine e di intervento sulla fattispecie specifica, appunto l'atto intimidatorio e quindi la minaccia o la violenza fisica ai danni di un sindaco, di un consigliere o assessore comunale ovvero di un candidato a una qualsiasi carica amministrativa.

Novelliamo l'articolo 338, come ha detto bene il relatore, del codice penale, il 380 del codice di procedura penale, caratterizzati attualmente per l'impersonalità dell'organo pubblico di cui negli stessi si tratta, che contemplano fra l'altro solo la violenza e la minaccia a un corpo politico amministrativo o giudiziario e non ai suoi componenti singoli. Introduciamo, attraverso l'articolo 339-bis del codice penale, un'aggravante nel caso in cui i reati di lesione personale, violenza privata, minaccia o danneggiamento, siano commessi con intento ritorsivo nei confronti di un componente di un corpo politico, amministrativo e giudiziario, e inseriamo fra le ipotesi di reato di cui all'articolo 90 della decreto del Presidente della Repubblica n. 570, del 1970, quello teso, attraverso minacce e altri atti di violenza, a ostacolare la libera partecipazione alle competizioni elettorali.

La nuova impostazione legislativa dà valore alla qualifica soggettiva della persona offesa: fare il sindaco o il consigliere comunale fa la differenza per la normativa che stiamo analizzando e siccome è essenziale per il buon andamento dalla pubblica amministrazione, e al fine di esercitare il mandato democraticamente assegnato, che l'eletto non sia condizionabile nel suo agire, attraverso questa previsione e modifica normativa che prevede un'autonoma ipotesi di reato rispetto alla fattispecie considerata si costruisce una tutela proporzionata al ruolo ricoperto. Le norme così modificate definiscono finalmente una relazione fra il reato commesso e la funzione esercitata rappresentata dalla vittima, mettono sullo stesso piano la condotta offensiva nei confronti del cittadino amministratore e quella a carico dello Stato di cui quell'amministratore è rappresentante nel territorio. Contemplano la lesione del principio democratico sulla base del quale quel cittadino viene liberamente eletto affinché curi e promuova il benessere comunitario senza sottostare a pressioni e ricatti. Assumono quale elemento rilevante che attraverso la condotta offensiva nei confronti del cittadino amministratore si lede il principio costituzionale del buon andamento dell'attività amministrativa.

Si compie in tal modo un cambio di approccio rispetto agli atti intimidatori e alle minacce nei confronti degli amministratori locali, passando da una lunga fase della storia del nostro Paese in cui questi atti criminali sono sempre stati considerati come episodi e conseguenze di un contesto di illegalità più grande e articolato, con particolare riferimento alla mafia e alle altre associazioni criminali similari. Perché d'altro canto, come riportato bene nella relazione finale dei lavori della Commissione Lo Moro, che peso possono avere le cento intimidazioni ai danni di amministratori locali calabresi a fronte dei 10.000 nei confronti di qualsiasi altro cittadino in appena due province di quella regione o le 20 auto di amministratori locali bruciati in Puglia nel corso di un anno, quando ogni notte se ne registrano decine?

O cosa saranno state poche decine di omicidi di sindaci, consiglieri, assessori, quando all'epoca si viaggiava su cifre di 200 o 300 omicidi all'anno solo in alcune regioni del Meridione, del sud Italia? Ovvero, questi atti sono stati considerati come la sommatoria casuale di tutta una serie di casi singoli legati talvolta alle dinamiche dalla criminalità organizzata o a particolari recrudescenza delle culture o sottoculture locali e, in quanto tali, trattati, o mi permetto di dire sottovalutati, sia da un punto di vista politico, che in relazione alle attività investigative. I diversi operatori auditi nel corso dei lavori della Commissione hanno confermato questa prassi che sta alla base delle analisi parziali e veloci. Per esempio uno degli elementi che è stato evidenziato è che il sistema informatico del registro generale delle notizie di reato non dispone di una categoria di richiamo per visualizzare che la persona offesa è un amministratore locale. Atteggiamenti questi che accompagnati dal ritardo della politica nella costrizione di un approccio sistemico, che oggi stiamo cercando di fare, e dall'ampliarsi del perimetro di solitudine e marginalità politica talvolta anche umana di migliaia di sindaci amministratori locali, inevitabilmente hanno determinato la silenziosa diffusione e radicamento del fenomeno. In questo modo è diventato sempre più facile e concesso identificare nel sindaco o consigliere del piccolo comune, della periferia, dell'entroterra, ma anche delle grandi città, il bersaglio ideale per la criminalità organizzata, per le pressioni indebite, sul quale scaricare qualsiasi tipo di frustrazione.

Oggi, con la legge in discussione, sanciamo invece di aver acquisito consapevolezza che tanti atti intimidatori e le minacce agli amministratori, alle loro famiglie, ai loro patrimoni, ai funzionari e al patrimonio pubblico, non sono la somma algebrica di singoli casi di violenza privata, bensì una modalità di contrapporsi allo Stato, alle decisioni e ai decisori pubblici, in alcuni casi ai tentativi di rivoluzione culturale, in quasi tutti all'affermazione e alla promozione della legalità come modalità di governo, alla buona amministrazione come intesa nella nostra Costituzione e, consentitemi, quasi sempre - quasi sempre! - alla buona politica.

L'importante scelta legislativa di cui stiamo parlando segue in particolare alla consapevolezza che gli strumenti ordinari in vigore che intendiamo modificare con questo passaggio parlamentare, a oggi, non hanno mai consentito di individuare i colpevoli degli atti di cui trattasi. I sindaci e tutti gli altri soggetti offesi dopo aver fatto denuncia contro ignoti hanno assistito nella quasi totalità dei casi alla chiusura delle indagini con i colpevoli che sono rimasti ignoti, impuniti e nell'ombra. Ignoti, pertanto incentivati, e quindi involontariamente, sia chiaro, autorizzati, a riproporre le azioni criminose per esercitare pressioni indebite, indegne nei confronti del sindaco, dall'amministratore locale, refrattario ai ricatti, alle richieste improprie e spesso ai tentativi di intromissione di ambienti malavitosi nel governo di scelte locali di particolare valenza; penso all'urbanistica, alla gestione del territorio, agli appalti attinenti il ciclo dei rifiuti, ai lavori pubblici, alle autorizzazioni per l'installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, agli usi civici.

La difficoltà di individuare i colpevoli ha contribuito oltre alla delegittimazione delle istituzioni che le vittime rappresentano e rappresentavano, alla rinuncia delle stesse a denunciare comportamenti lesivi nei confronti propri o della famiglia. Così sono diventati sempre più numerosi i sindaci che essi stessi si sono voltati dall'altra parte soprassedendo alle intimidazioni di cui sono stati oggetto ovvero rassegnando le dimissioni e abbandonando il silenzio. E la resa, a volte silenziosa o giustificata da motivi personali, rimane la vera cifra oscura di questo fenomeno. A proposito diventa utile, sebbene già fatto attraverso la relazione finale della Commissione d'inchiesta e attraverso i preziosi rapporti “amministratori sotto tiro” stesi da Avviso Pubblico, l'associazione che riunisce gli enti locali contro la mafia e la corruzione, fotografare molto brevemente il fenomeno, la portata, i numeri, la geografia delle intimidazioni agli amministratori.

Le intimidazioni agli amministratori locali sono un fenomeno tutto italiano sconosciuto nella quasi totalità degli altri Paesi europei occidentali, fenomeni simili si riscontrano in alcune repubbliche baltiche, in Russia e poi in Colombia e Messico. Al riguardo ricordiamo il recente e barbaro assassinio di Gisela Mota, sindaco del comune messicano di Temixco, uccisa dai narcotrafficanti il 3 gennaio 2016, a poche ore dal suo insediamento. In Italia, a partire dal 1974, sono stati assassinati 132 rappresentanti istituzionali; ne cito alcuni, di cui ho un particolare ricordo: Angelo Vassallo sindaco di Pollica, assassinato nel 2010 e Laura Prati, sindaca di Cardano al Campo, uccisa nel luglio 2013; Giuseppe Tilocca di Burgos, in Sardegna, subì anche lui diversi atti intimidatori, fino all'attentato dinamitardo del 2004 che causò la morte del padre. Come è riportato dalla relazione conclusiva della Commissione Lo Moro, sono 1.265 gli atti intimidatori registrati fra il gennaio 2013 e l'aprile 2014, periodo d'indagine della Commissione stessa, riferiti, nel 52 per cento dei casi, a comuni con meno di 15.000 abitanti; le regioni più colpite in ordine decrescente sono: Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna; se però si considera il numero di atti intimidatori ogni 100.000 abitanti, il primo posto spetta alla Sardegna, seguita dalla Calabria e dalla Sicilia. Quindi, Sud e isole rappresentano il 63 per cento di tutti i casi nazionali. Al contrario, la Valle d'Aosta, il Molise, il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia risultano quelle regioni in cui, ad oggi, il fenomeno appare inesistente. Solo 182 - e questo è un dato molto importante -, su 1.265, sono gli atti intimidatori per i quali, all'atto delle relazioni prefettizie fatte alla Commissione d'inchiesta, risultavano individuati i responsabili. Ci sono stati 254 decreti di scioglimento di consigli comunali per infiltrazioni mafiose, dal 1991 a oggi; 70 sono i casi emersi di dimissioni individuali o collettive di amministratori locali rassegnate negli ultimi quarant'anni a seguito di atti intimidatori e per 21 di tali casi alle dimissioni dei singoli ha fatto seguito lo scioglimento del consiglio comunale; 341 le misure di protezione nei confronti di amministratori locali attive al 29 luglio 2014. Le principali vittime di questi atti intimidatori sono i sindaci, seguiti da assessori e consiglieri comunali, il patrimonio comunale, amministratori regionali, amministratori provinciali e, poi, un 14 per cento di altri soggetti tra cui si annoverano dipendenti pubblici per il 60 per cento, 15 per cento di candidati alle elezioni amministrative, 5 per cento di familiari o congiunti di amministratori.

Rispetto alla tipologia delle intimidazioni, nella ripartizione geografica Sud e isole, si sono verificati il 97 per cento del totale degli episodi con l'utilizzo di armi da fuoco, il 94 per cento degli episodi con utilizzo di ordigni esplosivi, l'88 per cento dei casi di incendi di autovetture e il 78 per cento delle intimidazioni tramite incendi dolosi.

Le possibili motivazioni degli atti intimidatori variano a seconda dei territori; passiamo dai movimenti antagonisti “no TAV”, “no Terzo Valico” del Nord-Est, al disagio sociale, alla rivalità politica, al tentato condizionamento dell'attività amministrativa nel Sud Italia, alla criminalità comune e organizzata in Sicilia e in Sardegna. Nel 2015 la situazione è perfino peggiorata, con un aumento del 33 per cento degli atti intimidatori, come rappresenta bene il rapporto “Amministratori sotto tiro”: una media di 40 atti intimidatori ogni mese, due al giorno, uno ogni diciotto ore. In Sardegna, nel 2015 c'è stato un incremento del 118 per cento rispetto all'anno precedente. Il prossimo 22 giugno Avviso Pubblico presenterà il sesto rapporto di “Amministratori sotto tiro”, relativo all'andamento del fenomeno nel 2016. Possiamo, però, già dire che, nello scorso anno, le cose non sono andate meglio; ANCI documenta che da gennaio a giugno 2016 gli atti intimidatori denunciati erano già 180 e nei primi tre mesi del 2017 altri 15. Ovviamente, i numeri ufficiali non contemplano le mancate denunce, le dimissioni per motivi personali che, spesso, come ho già detto, sono la risposta alle pressioni non più sopportabili.

La scelta legislativa di intervenire sulla formulazione di una specifica fattispecie di reato, relativamente alle intimidazioni e, conseguentemente, agli strumenti investigativi e processuali, si inserisce e, sempre più, deve inserirsi, come ha detto bene il relatore, in un contesto articolato e complessivo di messa in sicurezza del profilo, delle prerogative e dello spazio di azione del sindaco e più in generale del rappresentante istituzionale.

Occorre cancellare - concordo con il relatore - ogni cono d'ombra che possa offuscare, in modo oggettivo, rispetto alla percezione dei cittadini, la linearità, la trasparenza, l'imparzialità, la legalità dell'attività amministrativa, in ogni sua fase. Purtroppo, non possiamo trascurare la considerazione che la competenza, l'integrità morale e il buon operato di molti amministratori, spesso, è passato in secondo piano, rispetto ai comportamenti illegali di pochi altri, che, nell'immaginario collettivo, sono diventati simboli di un sistema del governo locale colluso e corrotto. E rispetto alle scelte del legislatore del passato recente, ahimè, hanno prevalso, sulla moltitudine degli amministratori onesti, quelli avvezzi a pratiche amministrative orientate al perseguimento dell'interesse personale in luogo di quello pubblico. Questo fatto è stato alla base di una produzione normativa orientata più a colpire e a sanzionare che a tutelare e promuovere le buone prassi amministrative e le condizioni ottimali d'azione amministrativa. Penso, al riguardo, alla norma contenuta nel decreto-legge n. 78 2010 che, solo di recente e opportunamente, abbiamo modificato, rispetto alla conferibilità, per esempio, di incarichi pubblici a liberi professionisti che ricoprono cariche elettive pubbliche.

Secondo punto; questi anni sono caratterizzati dal ripensamento organizzativo del governo locale, da un punto di vista dimensionale e dei centri decisionali, con una tendenza ad aggregare, concentrare e ridurre, per semplificare e diminuire la complessità, nella direzione di una maggiore regolarità e trasparenza dei procedimenti e delle decisioni finali della pubblica amministrazione. Ecco, a questo processo occorre affiancare una seria rimodulazione delle funzioni, in modo da salvaguardare le decisioni, oltre chi deve assumerle; o si procede verso una perfetta simmetria fra funzioni attribuite e risorse trasferite o la titolarità di alcune funzioni o, meglio, alcune responsabilità amministrative e gestionali di particolare complessità e delicatezza in capo al sindaco, alla giunta, al consiglio comunale e ai funzionari comunali, devono essere trasferite ad altri livelli istituzionali maggiormente strutturati.

I comuni, i sindaci in particolare, catalizzano sulla propria attività tutta una serie di aspettative; su di loro si concentrano funzioni e prerogative decisionali che si intersecano con i principali diritti di cittadinanza e con gli interessi economici della comunità. Quando le aspettative vanno deluse, i diritti di cittadinanza ridimensionati e gli interessi economici messi in discussione, il rappresentante istituzionale, il sindaco, diviene bersaglio, perde credibilità e attenzione positiva da parte della comunità. L'importanza anche simbolica di questa proposta di legge sta proprio nella volontà di suggellare questo cambio d'approccio, non solo rispetto agli atti intimidatori a danno degli amministratori locali, ma anche rispetto al loro ruolo. Su questo aspetto vorrei soffermarmi, avviandomi alla conclusione, perché in un momento in cui prevale l'antipolitica, accompagnata da un pericoloso qualunquismo che annovero fra le cause dell'affievolimento del senso delle istituzioni e del senso civico nel nostro Paese, dovremmo moltiplicare la rappresentazione e il supporto delle esperienze, la maggior parte di buona politica, diffuse in tutte le regioni italiane; buone prassi e onestà che troviamo nei piani alti della politica, come nei territori, dove mettersi al servizio e amministrare è davvero una missione, perché, colleghi, dobbiamo avere chiaro che cosa significa, oggi, amministrare un comune, in particolare, cosa significa amministrare uno dei tanti comuni italiani medio-piccoli: donne e uomini di buona volontà si mettono al servizio delle proprie comunità a governare paure e speranze in uno dei momenti più complessi della nostra vita repubblicana; donne e uomini che spesso sono liberi professionisti, lavoratori autonomi, piccoli imprenditori che in quei cinque anni di mandato rinunceranno, oltre che alla loro vita privata, perché quando fai il sindaco è così, al lavoro e alla crescita professionale; donne e uomini che, a differenza nostra, cari colleghi, non percepiscono un'indennità dignitosa, perché anche questo dobbiamo dire, la maggior parte dei sindaci, per non parlare poi dei vicesindaci, degli assessori e dei consiglieri comunali, come ben sapete, svolgono il loro mandato quasi a gratis, consapevoli che saranno, nel bene e nel male, l'istituzione di maggiore prossimità dei loro cittadini, quelli di cui i cittadini conosceranno l'indirizzo, dove risiedono con le loro famiglia, il numero di telefono e le dinamiche di vita. Quelli che i cittadini raggiungeranno facilmente, indirettamente, ogni qual volta avranno bisogno e ogni qual volta, a torto o a ragione, riterranno opportuno.

La mia non è e non vuole essere una narrazione romantica della figura del sindaco e dell'amministratore locale, non è questa la sede, ma, semplicemente, è un richiamo a quest'Aula di cui mi onoro di far parte, a tutti i gruppi politici qui presenti, in particolare al mio e a quelli di maggioranza, a continuare nella difficile, ma sacrosanta battaglia per la riabilitazione della politica.

Se un sindaco o un qualsiasi soggetto che svolge una funzione pubblica delinque, si fa corrompere o corrompe deve essere perseguito in modo esemplare e puntuale, senza alcuna attenuante. Occorre essere attenti e severi nella selezione della classe dirigente; occorre implementare sempre più il numero e la qualità degli strumenti anticorruzione che attengono alla trasparenza e al totale accesso dei cittadini alla vita e alle scelte della pubblica amministrazione; ma occorre battersi con la stessa forza e determinazione contro la criminalizzazione generalizzata e davvero fuori luogo dei politici e degli amministratori locali.

L'approvazione di questa norma segna in tal senso la definitiva presa d'atto circa la specificità della funzione istituzionale svolta da sindaci e amministratori locali; segna la raggiunta consapevolezza che la resistenza e il rafforzamento della democrazia rappresentativa, della nostra esperienza repubblicana, che si attua attraverso il riconoscimento delle autonomie locali e il decentramento amministrativo, necessita di condizioni senza le quali si rischia di retrocedere.

I sindaci e gli amministratori locali sono un pezzo fondamentale dello Stato, come ha detto bene il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella; sono il volto della Repubblica che si presenta ai cittadini nella vita di tutti i giorni: in quanto tali devono essere tutelati, messi nelle condizioni di poter decidere senza rischiare la serenità propria e della famiglia, non essere costretti a ritrarsi innanzi alle pressioni indebite, non essere criminalizzati.

È vero la politica è passione, quando la si fa nelle comunità locali è missione: non deve e non può, però, trasformarsi in una vicolo cieco alla mercé di violenti e detrattori. Solo costruendo queste condizioni il civismo e le migliori risorse del Paese e dei territori possono contribuire a moltiplicare le esperienze e le buone prassi di rinascita. Perché non può sfuggire la graduale e costante compressione del confronto democratico, il restringimento, anno dopo anno, più rilevante delle maglie democratiche: si riduce il numero dei cittadini che partecipa al voto - sia esso politico sia esso amministrativo - e aumenta il pesante silenzio degli astenuti e, attenzione, a ogni tornata elettorale per il rinnovo dei governi locali, aumenta il numero dei comuni in cui a concorrere è un solo candidato sindaco e una sola lista di consiglieri comunali.

Vi consegno al riguardo, come spunto di riflessione, i dati relativi al fenomeno delle liste uniche di un contesto regionale che conosco bene, il mio, la Sardegna. Alle ultime elezioni amministrative, quelle tenute lo scorso 11 giugno, su 64 comuni andati al voto, 21 avevano un solo candidato a sindaco e una sola lista. Nel 2016, i comuni con una lista sola erano 20 su 99; nel 2015, 46 su 167; nel 2011, 14 su 97; nel 2010, 21 su 176. Oggi, in Sardegna, sono ben 100 i comuni, su 377 complessivi - stiamo parlando di un comune ogni quattro -, in cui sindaco e consiglio comunale sono stati eletti attraverso la presentazione di una sola lista. Dati non così gravi, ma ugualmente allarmanti si registrano in tante altre regioni italiane.

Perché, colleghi - e concludo davvero -, si sa, in democrazia, i numeri contano e fanno la differenza e la qualità come la fattività della democrazia stessa sono direttamente proporzionali a quante e quanti decidono consapevolmente e responsabilmente di praticarla, concorrendo alla scelta di propri rappresentanti ovvero impegnandosi direttamente nella gestione della cosa pubblica. Con l'intervento legislativo di cui oggi discutiamo facciamo un altro passo importante nella giusta direzione, come ha detto bene l'onorevole Mattiello, ma la strada per recuperare la fiducia, l'affidabilità e anche la voglia di partecipare è ancora lunga.