A.C. 1806 e abbinata
Signor Presidente e colleghi, siamo qui oggi per iniziare l'iter dell'esame del disegno di legge, già approvato dal Senato lo scorso anno, che mira a contrastare il fenomeno del bracconaggio ittico nelle acque interne, modificando sostanzialmente l'articolo 40 della legge n. 154 del 2016. È un tentativo necessario che riprende tra l'altro già una proposta esaminata nella XIII legislatura e il cui iter si era interrotto con la fine anticipata della stessa. È necessario intervenire? Sì, assolutamente e posso dirlo davvero con cognizione di causa, in quanto provengo dalla provincia di Rovigo che insieme alla provincia di Ferrara costituiscono il cuore del Delta del Po, un'area preziosa riconosciuta come patrimonio UNESCO e inserita nella rete mondiale delle riserve della biosfera MAB per la sua straordinaria biodiversità e che è tra le più colpite dal fenomeno del bracconaggio. Chi vive e conosce davvero questi luoghi sa quanto siano vulnerabili e quanto sia urgente proteggerli da un fenomeno ormai fuori controllo. Le misure - devo dire - adottate finora non sono del tutto sufficienti.
Quando parliamo di bracconaggio ittico, non parliamo di piccoli pescatori di frodo, ma siamo di fronte a vere e proprie organizzazioni criminali collegate dal fenomeno dell'uso delle zoomafie, proprio come evidenziato nel rapporto zoomafie 2024 dell'Osservatorio nazionale della LAV. Queste bande sono organizzate con precisione criminale, hanno gerarchie ben definite, operazioni coordinate e profitti enormi generati dallo sfruttamento illegale delle nostre acque. I danni che producono sono devastanti su più fronti: su quello ambientale, su quello economico e su quello igienico-sanitario.
Il danno ambientale è da ricercarsi - qualcosa è già stato detto dal relatore - nei metodi utilizzati per la pesca illegale, che sono brutali e distruttivi: utilizzano elettrostorditori che consistono in scariche elettriche diffuse nelle acque per stordire i pesci e catturarli facilmente; sostanze chimiche tossiche rilasciate nei corsi d'acqua che inquinano l'ambiente e avvelenano la catena alimentare; fertilizzanti agricoli, sparsi per ridurre l'ossigeno e costringere i pesci ad emergere, facilitandone la cattura; reti illegali, troppo lunghe o con maglie strette, annientando la biodiversità e catturando tutto senza distinzione. In una notte di bracconaggio si possono raccogliere quintali di questi pesci. Il risultato? Ecosistemi devastati e una fauna ittica sempre più impoverita. Ma questi criminali - perché così vanno definiti - colpiscono anche in modo determinante la nostra economia legale. Il pesce catturato illegalmente viene trasportato in condizioni igieniche disastrose, senza alcun controllo sanitario, trasportato in furgoni frigo improvvisati e vasche di plastica senza nemmeno la minima refrigerazione, con un giro d'affari che è stimato tra i 5 e i 6 milioni di euro all'anno, con profitti che arrivano fino a 40.000 euro a settimana per ogni gruppo operativo.
Secondo i dati diffusi dalla Federazione italiana pesca sportiva e attività subacquee, l'asta del Po conta quasi 200 bracconieri attivi, distribuiti principalmente tra le province di Rovigo, Ferrara, Venezia, Padova, Ravenna e Mantova, ma ormai diffusisi in quasi tutto il territorio italiano, tant'è che questo sistema criminale colpisce duramente anche la pesca sportiva, con un settore che in Italia coinvolge oltre 2 milioni di pescatori sportivi e ricreativi, sostenuto da 1.481 punti vendita specializzati e circa mille punti vendita generici, con un indotto annuo che supera i 3 miliardi di euro. Non per ultimo, c'è il problema igienico-sanitario. Il pesce catturato illegalmente, destinato principalmente ai mercati esteri, arriva spesso anche sui mercati italiani attraverso false dichiarazioni di provenienza e quindi sulle tavole dei nostri consumatori. Credo sia quasi sopra superfluo ricordare come, senza controlli adeguati, il pesce pescato con metodi illegali presenta frequentemente cariche microbiotiche o tracce di diossina oltre i limiti consentiti e questo ovviamente con gravi rischi per la salute pubblica.
E non è tutto, il bracconaggio ittico è solo un tassello di un sistema più ampio che comprende anche furti di barche e motori - essenziali per i pescatori locali -, scarichi abusivi di rifiuti e liquami che contaminano ulteriormente le nostre acque, pendolarismo fluviale con bande che si spostano continuamente da un'area all'altra per sfuggire ai controlli. Ritorno al Delta del Po, che non è diverso dal Delta del Danubio, anch'esso patrimonio UNESCO. Perché? Perché sappiamo con certezza che il fenomeno nasce da alcuni Paesi dell'Est, tra cui la Romania, che però, da quando si è avuto il riconoscimento come patrimonio dell'UNESCO, è riuscita a contrastare questo fenomeno, adottando misure capillari di controllo e arrivando a prevedere fino a quattro anni di reclusione per i bracconieri.
Allora, colleghi, il fenomeno è sicuramente complesso da affrontare, ma le uniche modifiche che propone questa proposta di legge sono legate ad alcune misure restrittive come la definizione delle acque interne, dove viene vietata la pesca professionale per motivi igienico-sanitari. È sufficiente? No, chi conosce e vive le aree colpite da questo fenomeno sa benissimo che quanto previsto da questa proposta di legge non basta. Le sanzioni sono confuse e il sistema dei sequestri è inefficace, non tiene conto della recidiva e si permette ai bracconieri in questo modo di continuare ad operare indisturbati. Le carenze più evidenti del testo riguardano infatti proprio il sistema delle sanzioni e dei controlli. Le pene sono insufficienti perché non tengono conto della recidiva, l'iter per sospendere la licenza è vero che c'è ma è troppo lungo e consente ai bracconieri di continuare ad operare indisturbati; servono poi le risorse - di cui non c'è traccia - per assumere più uomini e donne e mezzi adeguati per fare quel controllo capillare e costante del territorio che è necessario. Ringraziamo per questo tutti i volontari della Federazione italiana pesca sportiva e attività subacquee per il grande contributo dato fino ad oggi nell'attività di deterrenza e controllo del territorio, anche a rischio della loro incolumità fisica.
Ma la deterrenza non può essere affidata a loro, il contrasto va affidato in via esclusiva ai Carabinieri forestali e alle Polizie provinciali, che ringraziamo per il lavoro che hanno svolto naturalmente fino a oggi e che svolgono, a cui servono però risorse e mezzi sufficienti affinché possano svolgere in modo coordinato e capillare le attività sui territori, risorse e mezzi di cui non c'è traccia, anche perché abbiamo sentito prima dire dal relatore che non ci sono oneri per la finanza pubblica in questa legge e quindi, ovviamente, non ci sono le risorse.
Inoltre, è necessario garantire una maggiore tracciabilità del pescato e un controllo rigoroso sulle attività commerciali con norme più chiare per ristoranti ed esercizi commerciali che acquistano prodotti ittici senza controlli adeguati a scapito di coloro che, invece, lavorano, ovviamente, nella legalità. Se davvero vogliamo affrontare il bracconaggio ittico - seppure questo disegno di legge registra sicuramente la volontà di compiere un passo in avanti - però, sarebbe opportuno affrontare il problema su una scala più ampia e più efficace, a partire dai profili derogatori sino alla necessaria uniformazione delle sanzioni, dal sequestro dei mezzi e dai maggiori controlli, per finire al riutilizzo - proprio perché ci sono delle necessità di investire - delle risorse derivanti dalle sanzioni nel Fondo di antibracconaggio.
Devo dire che, invece, le maglie di questa proposta sono ancora troppo larghe, con la conseguenza che, secondo me, avremo una legge lacunosa, poco chiara e dalle forti contraddizioni. Cari colleghi, non è questa la soluzione che mi aspettavo, ci vuole un po' più di coraggio.