Dichiarazione di voto
Data: 
Giovedì, 11 Gennaio, 2024
Nome: 
Gian Antonio Girelli

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Grazie, Presidente. Indubbiamente oggi ci troviamo ad approvare, mi auguro il più possibile all'unanimità, mozioni che toccano una delle tante criticità che riguardano il mondo della sanità. Certo, farlo con una mozione è più semplice che farlo attraverso l'introduzione di cambiamenti normativi, ma voglio pensare che sia un preambolo di un cambiamento di passo per quanto riguarda i lavori di quest'Aula e, soprattutto, i lavori del Governo riguardo alla sanità. Si parla appunto di criticità e, fra queste, si è sempre di più verificato il tema della cosiddetta medicina difensiva, che ha portato un'ulteriore perturbazione di sistema e ha creato non poche difficoltà e criticità sia al personale sanitario che ai cittadini stessi. Parlare del perché si è giunti a questa situazione potrebbe portarci anche molto, molto in là nel tempo, a comprendere alcuni cambiamenti e ad andare a cogliere alcune inefficienze e alcune criticità con le quali il personale sanitario si è trovato a lavorare. Voglio però, per fare un discorso anche un po' più generale, partendo dal principio, sottolineare l'aspetto del cambiamento culturale nel rapporto tra medico e paziente. È già stato illustrato, da qualcuno che mi ha preceduto, questo aspetto e credo che questa sia una delle questioni fondamentali: i venir meno dell'autorevolezza riconosciuta al sanitario, al medico, alla persona dalla quale, per la difficoltà della malattia, si cercava la risposta, ha fatto venir meno quel rapporto fiduciario e ha introdotto un principio di messa in discussione e - per esasperare un po' il concetto, in caso di mancato successo e risoluzione del problema - di ricerca di un colpevole, cui additare il motivo appunto dell'insuccesso stesso. Il che ci ha consegnato dei numeri davvero incredibili perché si parlava, anche prima, delle 36.000 cause intentate ogni anno, delle 300.000 cause che giacciono appunto inevase e, ancora di più, del 90 per cento delle cause che si risolvono nell'assoluzione. Questo implica di dover però prendere immediatamente in esame la situazione e di iniziare a introdurre dei seri cambiamenti. Cominciamo dalla legge Bianco - come è stato detto prima -: a differenza di chi mi ha appena preceduto, prima di parlare di revisione, mi piacerebbe cominciare a parlare di piena attuazione della legge stessa, magari riguardando appunto i vari decreti attuativi che sono rimasti inevasi e che hanno a che fare con la semplificazione e la chiarezza rispetto ad alcuni processi. Pensiamo all'albo dei periti e dei consulenti tecnici, pensiamo ad alcuni protocolli da seguire, che molto spesso sono lasciati più alle indicazioni delle comunità scientifiche, che a indirizzi condivisi dalle autorità sanitarie preposte. Ma, ancora di più, penso che dobbiamo introdurre dei cambiamenti sostanziali riguardo al tema della depenalizzazione dell'attività sanitaria laddove, fatte salve ovviamente le criticità della colpa grave - e qui ci sarebbe da aprire un capitolo a parte, con la necessità di andare a definire meglio cosa si intende per colpa grave, quando si parla appunto di attività sanitaria, e di dolo -, tutto il resto non può essere consegnato a questa precarietà e a questa vulnerabilità da parte appunto del mondo della sanità. Pensiamo all'introduzione del risk management come uno strumento necessario, capace di andare a individuare le criticità e di andare a prevedere le possibili evoluzioni e anche i possibili errori che possono essere commessi all'interno appunto dell'attività sanitaria. Qui chiaramente si tratta anche di mettere mano al rapporto tra strutture sanitarie e personale sanitario, laddove spesso la responsabilità trova dei punti di confusione e di non chiara percezione sia nell'organizzazione e nello svolgimento dell'attività stessa, sia nei casi appunto di richieste di risarcimento. Si tratta, da questo punto di vista, anche di fare un grande investimento nell'omogeneizzazione delle linee guida. Noi ci troviamo, molto spesso, davanti a situazioni molto differenti fra di loro: certo potremmo parlare anche dei 21 modelli di organizzazione sanitaria, ma ancora di più potremmo parlare di frammentazione laddove, all'interno dello stesso modello regionale, abbiamo delle indicazioni fra loro divergenti. Una esemplificazione anche molto netta e chiara l'abbiamo avuta, per esempio, in occasione della tragedia del COVID, quando spesso si sono applicati protocolli diversi, non si è seguita una linea generale e, molte volte, la confusione ha creato criticità e difficoltà a prendere decisioni nel comprendere quali fossero quelle giuste o per lo meno quelle riconosciute dal punto di vista scientifico le più percorribili. Questo però implica la necessità di puntare molto su modelli diversi anche di formazione del personale sanitario stesso, perché è chiaro che, nel corso degli anni, si è troppo investito sull'eccesso di specializzazione nella malattia, piuttosto che sulla considerazione della persona malata, con la necessaria condivisione tra varie personalità sanitarie, ciascuna per la propria competenza, nella presa in carico e nella valutazione della situazione sanitaria stessa, ma anche e soprattutto nel mantenere sempre vivo quel rapporto che mi piace definire “umano”, che deve sempre contraddistinguere quello che avviene tra un medico e il paziente che ha di fronte. Questo lo dobbiamo fare soprattutto rivolgendoci a quelle attività sanitarie che, inevitabilmente, ne hanno pagato maggiormente le conseguenze. Pensiamo a quanto sta avvenendo nel campo dei medici di medicina generale, che io continuo a voler chiamare “medici di famiglia”: molte volte, ci si chiede perché pochi siano attratti da questa scelta professionale, ma indubbiamente il peso dell'attività burocratica e tutto quello che gli sta addosso allontanandoli dalla vera attività sanitaria è un aspetto da non tralasciare, ma anche il contenzioso a cui sono esposti, dove spesso e volentieri si trovano a diventare certificatori di richieste, quasi che fossero un distributore di richieste a gettone con riguardo alle prestazioni che vengono chieste dal paziente stesso. Pensiamo a quanto avviene nel pronto soccorso, alla difficoltà che abbiamo nel trovare professionisti che facciano questa scelta, certo la più complicata e difficile e anche la più umanamente provante sicuramente, ma rimane la determinante risposta che il sistema deve dare alle persone che si trovano davvero nel momento più critico di vulnerabilità e bisogno di una risposta sanitaria. Tutto questo però implica ovviamente un cambiamento generale, che ha a che fare con la sanità, ma anche con mondi collaterali. È stato toccato tangenzialmente il tema del mondo assicurativo, con le complicazioni che sono state introdotte sotto tutti i punti di vista, delle reali coperture dei costi delle stesse. Riguardo all'attività forense, dove tornano i numeri di prima, le tante cause intentate, che finiscono al 90 per cento con assoluzioni piene o archiviazioni, dovrebbero far riflettere sull'etica di alcune cause e magari su come vanno normate le cause prive di senso, che dovrebbero magari essere maggiormente sanzionate con un richiamo formale anche ai professionisti che si prestano a questo tipo attività. Questo cambiamento deve però riguardare anche delle scelte politiche molto importanti e di fondo perché, alla base di tutto - la collega Patriarca prima l'ha detto: voglio riprenderlo e però voglio anche cercare di tradurlo in realtà -, c'è anche un'idea di sanità ormai vista come qualcosa di commerciale, come una prestazione da acquistare - e qui ci sarebbe molto da dire sull'impoverimento del Sistema sanitario nazionale e quindi della sanità pubblica e la consegna di un privato sempre più a pagamento della prestazione stessa -, che ha introdotto l'idea per il cittadino di non aver solo bisogno di chi sappia rispondere alla sua difficoltà e indicargli la strada da seguire, ma di poter acquistare quello di cui pensa di avere bisogno. Questo oltretutto introduce una disparità tra i cittadini - tra chi può permettersi di pagare e chi no -, ma soprattutto una distorsione di sistema che, un po' alla volta, porta a quella che è la parte positiva della medicina difensiva, cioè ad un eccesso di esami rispetto a quelli necessari. Quello che dobbiamo riuscire a fare, insomma, è ristabilire un patto per il quale le nuove conoscenze, le nuove sensibilità e anche le maggiori informazioni che il cittadino malato possiede rispetto al passato non possono diventare uno strumento di ostacolo o di conflitto, ma devono diventare, in maniera sinergica e armoniosa con il lavoro del personale sanitario, uno strumento di prevenzione e di presa in carico della cura di sé, che poi si rivolge ad un sistema accogliente, capace di dare risposte.

Questo implica la necessità di investire nel personale perché, dove ci sono strutture sul territorio che sanno dare risposte e sono adeguatamente fornite di persone e strumenti, chiaramente, si evita tutta una serie di criticità; implica riconoscimenti economici e anche percorsi pensionistici che mettano in tranquillità e in sicurezza il personale sanitario; implica parlare ai cittadini in maniera diversa, togliere, come dicevo prima, quell'idea di sanità ad acquisto…Concludo, Presidente. Di sanità, invece, come diritto-dovere costituzionalmente garantito, perché in fondo, se noi fossimo stati capaci di applicare fino in fondo la Costituzione, e se saremo capaci di introdurre e guardare a quello come a un riferimento, nel prosieguo della nostra attività normativa, probabilmente, affronteremo e risolveremo anche il tema della medicina difensiva. Oggi, approviamo una mozione e ricordiamoci che saremo presto chiamati ad approvare provvedimenti che mi auguro siano in linea e siano coerenti con le mozioni che oggi andiamo ad approvare.