Illustrazione della mozione
Data: 
Lunedì, 17 Aprile, 2023
Nome: 
Christian Diego Di Sanzo

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Grazie, Presidente. A distanza di più di 35 anni dai referendum del 1987 e dall'abbandono da parte dell'Italia di ogni forma di produzione di energia elettrica da fonti nucleari - decisione che è stata poi riconfermata ai referendum del 2011 che ponevano nuovamente la questione, a fronte di una proposta confusa, approssimativa e non strategica sulla costruzione di nuove centrali nucleari in Italia - oggi ci ritroviamo in quest'Aula nuovamente a discutere di energia nucleare. Un argomento che torna rilevante nell'ambito della forte spinta per la transizione ecologica nella quale dobbiamo essere fortemente impegnati, come Paese, per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati nell'ambito degli impegni europei, a partire dal pacchetto Fit for 55 e, da ultimo, con il Piano REPpower EU, con investimenti imponenti di oltre 300 miliardi, e degli impegni mondiali che abbiamo assunto con gli accordi per il clima nelle diverse Climate Change Conference dell'ONU.

È importante che questa discussione, però, si basi su fatti, dati e dipinga il quadro in un contesto non ideologico, ma strettamente collegato alla transizione ecologica in atto, con una visione chiara sulle fonti di energia a zero emissione, sulle loro potenzialità e sui tempi di realizzazione con l'obiettivo di “net zero” per il 2050.

Proprio in tale contesto è necessario ricordare come l'uso dell'energia nucleare abbia lasciato all'Italia una pesante eredità, ancora oggi non risolta, con cui stiamo continuando a fare i conti e con la quale le nuove generazioni dovranno continuare a fare i conti, vista la gestione fino ad oggi completamente inefficiente.

Negli anni successivi alla chiusura delle quattro centrali di Trino, Latina, Caorso e Garigliano, la gestione delle centrali, e successivamente anche degli impianti per il combustibile, è stata affidata alla nuova società Sogin che doveva occuparsi del decommissioning delle centrali e della messa in sicurezza del combustibile esausto. L'Italia poteva cogliere questa occasione per essere pioniere e leader mondiale nelle tecnologie di decommissioning e smantellamento delle centrali, trasformando la chiusura delle centrali in un grande progetto di ricerca scientifica a beneficio del nostro Paese e della nostra realtà industriale, raggiungendo la chiusura del ciclo del combustibile nucleare che avrebbe posizionato l'Italia come leader nel campo e, soprattutto, messo in sicurezza il nostro Paese.

Invece la storia che oggi raccontiamo è diversa. Sogin nasce nel 1999. Doveva mettere in sicurezza tutti i rifiuti e il decommissioning doveva realizzarsi entro il 2019 con 3,7 miliardi. Il piano è, poi, slittato con fine al 2025, poi al 2036, con un costo totale previsto di 7,9 miliardi, più che raddoppiato rispetto al costo originale.

Ad oggi, è stato eseguito circa il 30 per cento delle attività previste, il decommissioning non è ancora del tutto programmato e ci ritroviamo con un carico che pesa sugli italiani dai 100 e 400 milioni di euro annui, che, con la legge di bilancio 2023, saranno una spesa strutturale annua a carico della fiscalità generale. Considerati i grandi rallentamenti e le scarse capacità operative della Sogin, se ne è proceduto al commissariamento, lo scorso anno, ma ancora oggi mancano i risultati sperati. A distanza di 10 mesi dal commissariamento, si registrano ancora una serie di inadempimenti di ritardi sulle attività di decommissioning, sulla gestione dei grandi appalti e sulla realizzazione del deposito nazionale, l'annullamento dei principali appalti finalizzati allo smantellamento del materiale radioattivo, compresa la rescissione, per la seconda volta, del contratto Cemex per la realizzazione di un impianto di cementificazione di rifiuti liquidi presso il sito di Saluggia, sito che pone le più grandi preoccupazioni in termini di sicurezza, proprio per i suoi 270.000 litri di rifiuti liquidi radioattivi che giacciono lì da decenni. È un quadro, estremamente preoccupante, e, ad oggi, non si registrano attività rilevanti in alcun sito. L'organico di Sogin è in costante riduzione, tanto da mettere in criticità la stessa gestione ordinaria e la messa in sicurezza degli impianti. Non sembra essersi, cioè, determinata quella discontinuità necessaria a un nuovo piano industriale. Senza un significativo cambio di direzione, si rischia quindi di mettere in forse il futuro occupazionale e la dignità di centinaia di lavoratrici e lavoratori, ad alta professionalità, di Sogin e del suo indotto, nonché di compromettere la tenuta industriale dell'azienda, compreso il mantenimento in sicurezza degli impianti.

Prima di affrontare la discussione sulla produzione di energia nucleare, la questione del decommissioning richiede, quindi, una seria e urgente attenzione da parte di questo Governo. Non si può pensare che la società possa andare avanti ancora senza un piano chiaro, preciso e ambizioso, che porti al decommissioning in tempi chiari e posizioni l'Italia all'avanguardia in questo campo. Il tempo è finito e il Paese ha bisogno di risposte. Un ulteriore prolungarsi del tempo porterebbe a un ulteriore aumento dei costi, con un ulteriore esborso a carico dei contribuenti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

In questo contesto, assume una particolare rilevanza l'individuazione e costruzione del deposito nazionale geologico, con annesso parco tecnologico, compito che la Sogin è chiamata a svolgere. Questi compiti li dobbiamo considerare imprescindibili per garantire la messa in sicurezza dell'eredità del nucleare, e, senza una chiara visione del ciclo del combustibile, è impensabile parlare di sostenibilità delle fonti di energia nucleare. La previsione per la scelta del sito del deposito nazionale e del relativo parco tecnologico è rimasta arenata per diversi anni, senza una vera soluzione. Adesso, con la proposta della Carta nazionale delle aree idonee, si tratta, quindi, di dare attuazione a un meccanismo già previsto, perché il tempo stringe per individuare il deposito nazionale entro fine anno, come aveva detto il Ministro Cingolani. Si deve procedere rapidamente con i prossimi passi, seguendo i migliori meccanismi di partecipazione dei territori, dati dall'esperienza internazionale al riguardo, coinvolgendo le popolazioni locali e facendo riferimento all'esperienza finlandese, per esempio.

Non possiamo più perdere tempo, perché, oltre alla necessità della messa in sicurezza dei territori, vi è anche quella di ottemperare alle direttive europee e di interrompere la procedura di infrazione attualmente in atto, con i relativi costi, aggravati dagli oneri versati ad altri Paesi, che attendono di poter restituire il materiale riprocessato nelle nostre centrali dismesse.

Oltre alla pesante eredità della chiusura del ciclo del combustibile, prima di parlare di investimenti in campo nucleare, è imprescindibile fare riferimento ai costi delle centrali di terza generazione o terza generazione avanzata, che oggi sono quelle disponibili. Le recenti costruzioni dei reattori di Olkiluoto e Flamanville dimostrano come i costi siano esplosi, per la costruzione delle centrali di terza generazione avanzata. Vari studi confermano che, anche guardando a quello che viene costruito in Asia in questo momento, la conclusione nei tempi previsti è l'eccezione piuttosto che la norma. Dei 10 Paesi che hanno completato reattori negli ultimi 10 anni, la media dei tempi di costruzione è stata di 10 anni, ben al di là dei tempi previsti, con relativa esplosione del budget e assenza di competitività finale di questi progetti nel libero mercato dell'energia.

Le ulteriori precauzioni di sicurezza resesi necessarie dopo che l'incidente di Fukushima ha rilevato falle di sicurezza, hanno fatto sì che i costi siano ulteriormente lievitati, per mantenere attive le centrali nucleari. Per il mercato nordamericano, per esempio, i più recenti dati ci dicono che il nucleare ha perso competitività, non solo rispetto alle fonti fossili, ma anche a molte delle opzioni delle fonti rinnovabili, quando si va a considerare il costo livellato dell'energia. In caso di costi così elevati, la value proposition del nucleare viene sostanzialmente azzerata per qualsiasi impiego commerciale. Essendo il rischio politico associato già importante, l'investimento di capitale notevole e senza una chiara indicazione finale del minor costo del kilowattora prodotto, di fatto, il nucleare non diventa più un'opzione allettante nel mercato libero dell'energia, soprattutto in un Paese che dovrebbe ripristinare tutta la filiera industriale come il nostro. È, quindi, chiaro che per l'Italia non avrebbe senso mettersi ora a ricostruire centrali di terza generazione avanzata, cercando di far ripartire un'industria in un Paese che l'ha abbandonata, quando l'industria ha dimostrato di essere in seria difficoltà nella costruzione dei reattori di terza generazione in Paesi come la Francia, che quell'industria non l'ha mai abbandonata. Riteniamo, quindi, che la strada del nucleare di terza generazione sia definitivamente chiusa per l'Italia e sarebbe un grave errore portare l'Italia nuovamente nel dibattito sul nucleare di terza generazione avanzata, oggi l'unica disponibile, per i costi e i lunghi tempi di realizzazione connessi a questa tecnologia.

È, quindi, necessario chiudere rapidamente pagina sul nucleare di terza generazione, focalizzandosi nella chiusura del ciclo del combustibile, tramite l'identificazione del deposito unico nazionale e la piena efficacia e operatività della Sogin. È un settore, quello dello smaltimento delle scorie, in cui, con il parco tecnologico associato al deposito unico nazionale, l'Italia può ancora giocare un ruolo di primo piano nella ricerca scientifica. Infatti, la transizione verso un'economia sostenibile comporta anche la necessità di investimenti in ricerca e sviluppo, per incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili, attraverso l'uso di tecnologie avanzate.

Pur rinunciando al nucleare di terza generazione, l'Italia non può - e non deve - abbandonare la strada della ricerca nucleare, in cui è riuscita, con fatica, a mantenere primati di importanza e rilievo mondiali. Prima di tutto, per quanto riguarda la fusione nucleare, il sogno di una grande energia pulita e nei fatti inesauribile, che, a differenza delle energie rinnovabili, potrà soddisfare la richiesta di un carico di base, colmando proprio oggi ciò che non è possibile realizzare con le sole fonti rinnovabili, è un filone dal quale non possiamo restare esclusi. In questo campo, l'Italia sta giocando un ruolo di primo piano, grazie alla sua partecipazione nel progetto internazionale ITER in Francia, il primo esperimento su scala di reattore a fusione che studierà la fisica dei plasmi. Tanto per citare un dato, Ansaldo Nucleare, azienda a grande maggioranza a partecipazione statale, che impiega più di 400 dipendenti, gioca un ruolo chiave nelle commesse ITER dove da sola, come leader di consorzio, è il secondo fornitore globale di ITER, come spesa. Stiamo parlando di una partecipata statale che è rimasta un'eccellenza italiana nel campo, nonostante non avesse più un mercato interno da servire. Si tratta di un patrimonio che non possiamo disperdere.

Sul lato della fusione, l'Italia, con uno sforzo lungimirante, ha deciso di investire fortemente anche nel progetto DTT, Divertor Tokamak Test facility; questo è un fiore all'occhiello della ricerca nucleare italiana, un investimento imponente, di 500 milioni, che coinvolge la partecipazione di ENEA, CNR, varie università ed ENI. Con questo progetto, che fa da collante tra quelli che saranno i risultati di ITER e il futuro della fusione, con il Demo, il primo reattore dimostrativo, l'Italia si posiziona tra i leader indiscussi nel campo della fusione. Diventa, però, necessario evitare che i tempi si allunghino e assicurarsi che le istituzioni coinvolte in questo progetto abbiano tutto il supporto necessario per continuare su questa strada, con lo sviluppo di DTT.

L'Italia ha, però, anche un ruolo chiave nella quarta generazione, a fissione, soprattutto nelle tecnologie al piombo, dove l'industria nazionale è leader indiscussa a livello europeo per le competenze tecniche acquisite, competenze che dobbiamo evitare di disperdere. La qualità della ricerca italiana in ambito nucleare è provata anche dal fatto che nel 2021 si è registrato il record di successi nella partecipazione di organizzazioni italiane, enti di ricerca, università e industrie ai bandi europei di finanziamento Euratom.

Su 47 progetti selezionati dall'Europa, ben 24 vedono la partecipazione o la leadership italiana. D'altra parte, negli ultimi decenni l'Italia ha assistito a un forte depauperamento dei suoi programmi di formazione sul nucleare nelle università, energia nucleare che, ricordiamo, fu scoperta proprio all'università di Roma, grazie a Enrico Fermi e ai ragazzi di via Panisperna. Questo impoverimento della formazione presso i nostri atenei sta portando alla mancanza di una generazione di scienziati che possa portare avanti le attività di ricerca in cui l'Italia ha dimostrato di poter giocare un ruolo significativo. Si parla spesso di fuga di cervelli, brain drain, espressione che personalmente non amo ma che descrive, in particolare, quello che è avvenuto nel settore nucleare. Con la sempre più scarsa offerta formativa - oggi solo 7 degli oltre 90 atenei presenti in Italia hanno programmi di ingegneria nucleare o con parte di ingegneria nucleare -, gli studenti interessati alla materia si sono sempre più rivolti a percorsi formativi all'estero, soprattutto per gli studi postuniversitari, portando al paradosso che in molti dipartimenti di ingegneria nucleare all'estero si trova una sproporzione di ricercatori e di professori italiani, spesso nelle migliori università del mondo come Berkeley in California e il MIT a Boston. Diventa, quindi, fondamentale cercare di conservare in questo ambito le conoscenze acquisite, formando una nuova generazione di studenti e di ricercatori in questo ambito e sfruttando anche la rete dei nostri ricercatori all'estero. Queste competenze sono necessarie anche a prescindere dal continuo sviluppo della ricerca italiana in ambito nucleare, ma servono per le competenze necessarie per formare nuovo personale per la Sogin e per continuare l'azione dell'Isin, l'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, cioè l'autorità di controllo e sicurezza sul nucleare. Questi saranno in ogni caso presenti nel futuro del nostro Paese e garantire il loro funzionamento, con personale giovane e formato, dev'essere un obiettivo prioritario per il nostro Paese.

Chiediamo, quindi, che questo Governo si adoperi a confermare e a sostenere a livello europeo e nazionale ogni sforzo necessario per realizzare gli obiettivi di decarbonizzazione e progressiva uscita dalla dipendenza da fonti fossili, provvedendo a inviare alla Commissione europea l'aggiornamento del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima entro giugno 2023 e che, nell'ambito di una transizione ecologica che garantisca una forte attenzione alle fonti rinnovabili, ci si adoperi per continuare a investire in programmi di ricerca verso il sogno del nucleare pulito da fusione e il nucleare di quarta generazione, in cui l'Italia può giocare un ruolo fondamentale e diventare un fulcro di attrazione di talenti anche dall'estero, contribuendo all'internazionalizzazione della nostra ricerca, soprattutto grazie al progetto di fusione nucleare DTT. Proprio per questo è necessario chiudere con l'eredità del nucleare, ripristinando rapidamente la piena operatività della Sogin e procedendo all'identificazione di un deposito nazionale attraverso un meccanismo partecipato che coinvolga i territori. La vicenda della chiusura del ciclo nucleare si protrae ormai da troppi decenni, diventando un'esigenza non più rimandabile che dobbiamo affrontare per mettere al sicuro il Paese e lasciare alle nuove generazioni un futuro migliore e sostenibile.