Discussione generale
Data: 
Lunedì, 14 Luglio, 2025
Nome: 
Arturo Scotto

Grazie, Presidente, signori del Governo. Mi lasci dire, prima di svolgere questo breve intervento, che trovo abbastanza singolare che il Ministro degli Esteri di questa Repubblica, a una settimana dalla notizia che gli Stati Uniti d'America, il Segretario di Stato Rubio, avrebbe comminato delle sanzioni nei confronti di una cittadina italiana, Francesca Albanese, non abbia trovato ancora il tempo di pronunciarsi. Lo ha fatto l'Unione europea, lo hanno fatto tanti parlamentari di diverse nazionalità. Il Paese del quale è cittadina Francesca Albanese non si è espresso.

L'unica colpa di Francesca Albanese sarebbe quella di essere la Special Rapporteur delle Nazioni Unite che ha descritto in questi anni, tra l'altro non la prima, i soprusi compiuti da Israele nei confronti della popolazione civile, quello che viene definito, ormai unanimemente, un regime di apartheid. Vede, è abbastanza strano, singolare appunto, che un Paese come il nostro, che ha giustamente contribuito ad emettere 18 pacchetti di sanzioni nei confronti della leadership russa e dei suoi interessi economici dopo l'aggressione vile e criminale nei confronti uno Stato sovrano come l'Ucraina, non abbia ancora emesso nessuna sanzione nei confronti della leadership lo Stato di Israele dopo 600 giorni di guerra a Gaza, ma che contemporaneamente ne subisca nei confronti di una propria cittadina e non trovi neanche un minuto per poter condannare questa scelta.

Allora il punto è questo: noi dobbiamo interrogarci su cosa significa, per noi, quella che ogni tanto viene ripetuta, sui media, nei nostri discorsi, la locuzione: Israele è la più grande democrazia del Medioriente. Sembra un postulato, qualcosa di immobile che non può essere smentito. Eppure, signor Presidente, le dico che, nella giornata di oggi, la Knesset deciderà sul destino di un deputato, Ayman Odeh, leader di Hadash, il partito della sinistra arabo ebraica - l'unico partito in Israele dove arabi ed ebrei convivono pacificamente -, se questo leader, se questo deputato della Knesset, potrà rimanere in Parlamento o decadrà. Per quale motivo? Per le sue opinioni pacifiste.

Odeh, a gennaio di quest'anno, ha twittato le seguenti parole, le chiedo di ascoltarle, signor Presidente. Srei felice che, magari, il Governo italiano decidesse anche di esprimere un giudizio rispetto a queste parole: “Sono felice del rilascio degli ostaggi (israeliani) e dei prigionieri (palestinesi). Entrambi i popoli devono essere liberati dal giogo dell'occupazione (militare). Siamo tutti nati liberi, ebrei ed arabi”. Le sembrano parole che istigano al terrorismo? Le sembrano ragionevolmente parole assimilabili lontanamente ai crimini di Hamas? Signor Presidente, ho l'impressione che, dopo il 7 ottobre, un pezzo di quella democrazia abbia fatto molti passi indietro: 2.500 intellettuali, scrittori, docenti universitari (tra cui David Grossman) hanno firmato una petizione per Odeh, per chiedere alla Knesset e anche ai partiti dell'opposizione al Governo Netanyahu di non procedere con l'espulsione dal Parlamento.

Il bivio che delineano è tra democrazia e fascismo, tra un Paese multireligioso e multietnico e uno scivolamento di carattere suprematista. La domanda è: dopo quasi 60.000 morti a Gaza, dopo la distruzione dell'80 per cento delle infrastrutture, dopo la riduzione (fino alla sospensione per due mesi) degli aiuti alla popolazione civile, dopo la crescita a dismisura delle colonie illegali in Cisgiordania al netto delle risoluzioni delle Nazioni Unite, è pensabile, signori del Governo, continuare a tenere gli stessi identici rapporti commerciali, diplomatici e militari con il Governo di Israele? Pensiamo davvero che sia tutto come prima? L'Emilia Romagna, la Toscana e la Puglia hanno deciso, unilateralmente, di interrompere, qualche mese fa, le relazioni con lo Stato d'Israele. Noi qui chiediamo di interrompere il memorandum.

Vede, lo facciamo anche in virtù di una storia antica, del dettato della nostra Costituzione. Ieri sono stato ad assistere a una cerimonia bellissima, a Monte Giovi, a pochi chilometri da Firenze, da cui partì la brigata Lanciotto per liberare la città di Firenze, l'11 agosto del 1944. Lì, in quei monti, è scolpito l'articolo 11 della Costituzione. Quei partigiani presero le armi per liberare il nostro Paese, ma le presero perché altre generazioni non le prendessero più e, invece, siamo in una stagione in cui la guerra è stata sdoganata nel racconto pubblico, alla stregua di una nuova levatrice della storia, il veicolo attraverso cui riscrivere le regole di un nuovo ordine mondiale, dove la legge del far west diventa la regola e la diplomazia viene degradata a un vecchio arnese, a una cianfrusaglia che ha animato qualche velleitario statista del Novecento, soppiantato rapidamente dal pugno duro del potere, dei soldi, dell'ossessione, della forza. La pace viene descritta come l'anticamera del suicidio di una civiltà che deve difendere sé stessa da minacce esistenziali i cui contorni sono sempre più indefiniti. Poi quale civiltà dovremmo difendere, signor Presidente?

Quella della democrazia, della difesa dei diritti umani, della redistribuzione della ricchezza? O quella dell'uomo solo al comando, o della donna, in alcuni casi? Quella che minaccia l'autonomia della magistratura e della separazione dei poteri dello Stato? Da questo punto di vista, Meloni, Trump e Netanyahu sono parenti strettissimi. Della distruzione del pianeta? Di un modello di sviluppo che si sta mangiando, centimetro per centimetro, la vita degli esseri umani e del vivente non umano, dei beni comuni, della sanità, della qualità del lavoro?

Vede, questo è il tema. E noi, interrompendo quel memorandum, stiamo dicendo che per noi i diritti umani vengono prima, che per noi la difesa delle basi su cui si fonda una democrazia liberale è un bene non negoziabile. Poi, ci vuole la politica. Certo, bisogna interrompere questa spirale terribile delle morti, dei lutti, degli ostaggi nelle mani di Hamas, ma occorre poi una soluzione, occorre dare una prospettiva al popolo palestinese.

È l'unica garanzia di pace e di sicurezza per Israele, ma anche all'interno delle nostre società, perché - vede - la questione israelo-palestinese non è una questione esclusivamente di politica estera, è anche maledettamente una grande questione di politica interna, che riguarda i livelli di cittadinanza nel nostro continente, che riguarda la promessa della democrazia, che in fondo che cos'è? Occuparsi degli oppressi, occuparsi di quelli che vedono i propri diritti tramortiti dalla legge del più forte, mettere in campo il dialogo, la diplomazia, mettere e restituire dignità alla parola politica.