Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 11 Giugno, 2025
Nome: 
Roberto Morassut

Vai alla mozione

Grazie, Presidente. La discussione di questa mozione cade proprio nel mezzo del confronto delle Commissioni sul decreto Infrastrutture e ci consente di dare almeno un po'di respiro ad un dibattito parlamentare che il Governo ha voluto, ancora una volta, comprimere.

L'Italia naviga senza rotta - è proprio il caso di dire -, senza una visione dello sviluppo infrastrutturale del Paese in un'epoca di grandi cambiamenti che, attraverso una rivoluzione tecnologica, stanno modificando equilibri mondiali, direttrici commerciali, egemonie politiche.

Tutto intorno a noi corre vorticosamente. Il bacino del Mediterraneo sta tornando ad essere il gorgo di nuovi intrecci e relazioni planetarie. Si affacciano nuovi attori e nuovi protagonisti - dall'Estremo Oriente al Centro Asia, alle potenze occidentali che si riorganizzano, all'Africa - e muovono energia, merci, milioni di esseri umani, intelligenze e tecnologie ma l'Italia è ferma. È piantata sulle sue gracilità e sulle sue debolezze. Si spende e si investe, sì, soprattutto grazie a quel PNRR boicottato e subito dalla destra e, poi, stravolto, disassato, rallentato da questo Governo. Si spende, ma senza una visione di come porsi al centro di tutti questi nuovi scenari, di come mettere in relazione le varie facce del Paese, i suoi versanti, il Mezzogiorno, le linee costiere lunghe come la distanza da Roma a Oslo, le trasversali tra i due mari, le relazioni tra grandi città, le coste, le aree interne, le continuità territoriali con le isole.

Se parliamo solo del sistema ferroviario e stradale siamo un Paese che, per usare un'immagine tratta dalla fisiologia umana, si regge quasi del tutto sulla colonna vertebrale e sulle braccia, ma senza costole e senza gambe. Una colonna vertebrale talmente sovraccarica che sta andando incontro al collasso per l'aumento esponenziale del traffico e la vetustà della linea elettrica.

Qualcuno dirà che sono problemi noti ma è proprio per questo che noi critichiamo la condotta di un Governo che ha totalmente abbandonato la logica della pianificazione e si è buttato - è stato ricordato qui peraltro - anema e core sull'avventura del ponte sullo Stretto, un inghiottitoio di denaro pubblico, rastrellato ovunque possibile tra fondi nazionali, fondi europei, le regioni e in nome del quale, nel decreto Sicurezza, si è intervenuti persino sulle norme di ordine pubblico, vietando la protesta pacifica e non violenta.

In questi anni, il Governo ha cancellato tutti gli strumenti e i Documenti di pianificazione e di programmazione degli investimenti per il trasporto ferroviario e stradale. Via il Piano generale dei trasporti dal codice degli appalti; via, nei fatti, l'Allegato infrastrutture al Def dal momento che l'ultimo Allegato non contiene nemmeno l'elenco delle nuove opere dopo il 2026, cioè dopo il PNRR. Nessun accenno nell'agenda politica del Governo al tema delle aree interne e delle disuguaglianze tra Nord e Sud, quando il Mezzogiorno potrebbe svolgere, sul piano geopolitico, al centro del Mediterraneo, un ruolo strategico nelle relazioni con l'Africa, sulle direttrici della via della seta, del cotone, lungo gli assi di infrastrutturazione digitale del Sud del mondo. Una delle scelte è stata, invece, quella di fare una ZES unica senza darle né forza, né risorse.

Si è persa traccia del Documento strategico per la mobilità e le infrastrutture ferroviarie, che era previsto dalla riforma attuata nell'ambito del PNRR. Un documento che il Governo doveva presentare al Parlamento ogni sei mesi per predisporre gli aggiornamenti del contratto di programma con RFI.

Alla vigilia della stagione estiva si pone la domanda di quali siano le misure in corso, soprattutto per il traffico ferroviario, per garantire sicurezza e regolarità, evitare incidenti, ritardi, interruzioni del servizio.

Il Paese non può restare appeso ad un chiodo. Cosa si sta facendo per recuperare il gap di innovazione e modernizzazione tecnologica di una rete che risale alla metà degli anni Settanta? È un problema antico. Come si intende coprire il fabbisogno di un Piano industriale di Ferrovie che vale 120 miliardi in dieci anni, comprendente sia la rete ferroviaria che la parte ANAS delle strade e che non ha copertura, se non per i tre quarti del volume?

Il Governo non sta producendo alcuna idea e non si impegna a trovare una soluzione ad un problema che, ormai, è diventato urgentissimo. Si affacciano scenari di privatizzazione, poi vengono immediatamente ritirati perché è stato spiegato dai massimi esperti che una cessione di quote del pacchetto azionario di ferrovie, compatibile con il mantenimento della maggioranza pubblica di un gruppo che vale 30 miliardi ma ha un debito finanziario netto di 11 miliardi, non arriverebbe ai 5 miliardi di euro.

Si è quindi virato su soluzioni “innovative”, come quelle vagamente proposte in specifiche audizioni in Commissione trasporti: costituire dei fondi infrastrutturali aperti al mercato, ma senza dare una stima del valore e del rendimento nel tempo.

Questo problema resta aperto e nel frattempo il Governo ha ulteriormente impiastrato la situazione con il disegno di legge sull'autonomia differenziata che, se non fosse stato sonoramente bocciato anche sotto questo aspetto dalla Corte costituzionale, avrebbe previsto una disarticolazione per regioni del sistema delle infrastrutture, con la possibilità di creare 20 sistemi.

In Commissione e in Aula più volte abbiamo posto il tema della presentazione del Piano nazionale degli aeroporti, per delineare una strategia integrata di merci e di persone in grado di potenziare la competitività dei nostri sistemi territoriali e metterli in relazione, non dividerli, recuperando i divari territoriali. Abbiamo sollecitato una discussione seria sul sistema portuale, perché il Governo aveva annunciato una riforma della legge sui porti; poi, abbiamo capito che la vera intenzione era sintetizzata dalla parola magica della privatizzazione, dal trasformare le autorità in Spa, spogliandole del carattere pubblico, determinando scelte che avrebbero colpito e colpirebbero l'occupazione e la sicurezza del lavoro. Mentre noi sollecitiamo la creazione di un soggetto nazionale di coordinamento che possa risolvere anche le problematiche poste in sede europea sull'ingresso delle autorità in un effettivo regime competitivo.

La riforma è sparita dall'orizzonte e, con essa, una discussione seria e vera su questo tema, mentre, come abbiamo visto, è emerso in questi giorni, alla fine, il solo e unico interesse delle nomine, accompagnato dalle zuffe interne alla maggioranza. Così come nessuna iniziativa il Governo ha assunto per la tutela del lavoro portuale.

Nel frattempo, si è dato il via alla privatizzazione degli interporti, tassello cruciale per provocare un'integrazione verticale fra traffico marittimo, attività portuali, trasporto ferroviario e anche aereo. Attenzione, questo è un tema gravissimo: ipotesi, queste, che sono nel mirino di grandi colossi privati, nazionali e internazionali, che possono compromettere l'autonomia e la sovranità del nostro Paese. Una situazione che è stata aspramente criticata, non solo dall'opposizione, ma dalla grande maggioranza degli operatori del cluster marittimo-portuale, che chiedono scelte, certezze e competenze.

Si deve a noi, al nostro gruppo, se in Commissione è stato possibile svolgere due indagini conoscitive molto importanti: sulla situazione del trasporto pubblico locale e sulla continuità territoriale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) che sono la base per una pianificazione e una programmazione indispensabili per due settori che, come le indagini hanno svelato, soffrono duramente le conseguenze della crisi energetica e del post COVID. Conseguenze gravi, che il Governo - lo ha annunciato pochi giorni fa - crede di affrontare con l'aumento delle tariffe.

Chiediamo, quindi, che il Governo cambi rotta - o assuma, per meglio dire, una rotta, perché adesso non ce l'ha, non esiste - e restituisca al Parlamento quello che gli spetta come soggetto di controllo, di indirizzo sull'Esecutivo e come sede per valutare e discutere rapporti periodici, puntuali su tutti i temi che ho delineato.

Lo chiediamo non solo per i diritti delle opposizioni, per un problema di tutela delle prerogative parlamentari, ma per tutti gli italiani, le imprese, le lavoratrici, i lavoratori, i viaggiatori, gli utenti, i pendolari che utilizzano le reti per vivere, per lavorare, e hanno diritto di farlo in sicurezza, sotto ogni aspetto.

Lo chiediamo per il nostro Paese e per garantire quelle opportunità di crescita, di coesione, di cittadinanza, senza le quali non c'è sviluppo e non c'è giustizia sociale.