Grazie, Presidente. La volpe sa molte cose, il riccio ne sa una sola, ma grande. Non sono impazzita, non ho perso completamente il focus dell'argomento di cui stiamo parlando oggi, è, semplicemente, questo, un frammento del poeta greco Archiloco, del VII secolo avanti Cristo, che serve per restituire l'idea dei vari sguardi che si possono dare alle cose. Uno sguardo più attento a una molteplicità, alla pluralità di questioni di dati, di fenomeni che va composta all'interno di una visione e uno sguardo invece più distanziato, più complessivo, che è quello che si dà alle questioni complesse.
Noi sul carcere sappiamo tante cose e provo a darvi oggi, anche limitandoli vista visto il poco tempo che ho a disposizione, alcuni sguardi da volpe.
Il primo sguardo è uno sguardo numerico, già accennato da tanti colleghi qui oggi in Aula. Noi abbiamo 61.861 detenuti nelle carceri italiane, per un totale di 46.837 posti agibili: un sovraffollamento di circa 15.000 persone. Ma non solo. Vi invito a osservare, con lo sguardo da volpe sui numeri, anche l'incremento del tasso di sovraffollamento: ora al 132 per cento; un anno fa era il 128 per cento; ancora meno di un anno e mezzo fa era al 117 per cento.
C'è un aumento esponenziale di questo tasso di sovraffollamento e vi invito a osservare come questo non sia, in alcun modo, correlato con il tasso di reati commessi in Italia e allo stesso modo non è, in alcun modo, correlato al tasso di aumento di personale nelle nostre carceri.
E già questo è spia di un problema. Evidentemente si sta utilizzando il carcere, la detenzione, come risposta a fenomeni, variegati, sociali in misura eccessiva rispetto a quello che la realtà è, e anche rispetto a quello che è il sistema carcerario può reggere. Prima questione.
Il secondo sguardo è uno sguardo più sociale. Lo sguardo alla povertà in carcere. Una povertà che, spesso, è povertà di conoscenza, povertà di sussidio legale, povertà di strutture sociali. La povertà in carcere sono le 19.000 persone che potrebbero essere oggetto di misure alternative. Le tante, appunto 19.000, che hanno una condanna inferiore ai tre anni da scontare.
E anche questo ci parla di un'altra questione. Il fatto che qualsiasi misura che punti a sgonfiare l'emergenza carceri e il sovraffollamento, in questo momento, difficilmente potrà essere portata avanti senza un serio ragionamento, anche sul territorio, e su ciò che sul territorio deve aiutare a gestire, a decomprimere e a prevenire, anche, questi fenomeni di microcriminalità e di piccole condanne che poi sono quelli che gonfiano i numeri all'interno delle nostre carceri. Da qui mi collego facilmente al terzo sguardo, che è quello sulla tragedia, quello di cui finiamo a parlare sempre, quello dell'emergenza suicidi. Quest'anno già 14, nel 2024 addirittura 84. È un po' tragico purtroppo snocciolare questi dati mentre il Governo non solo non mi ascolta ma proprio mi dà le spalle. Andrò avanti, andrò avanti…
Va bene, vado avanti. Questo dato dei suicidi ci parla di che cosa? Ci parla di quello che è il tempo all'interno del carcere, che è un tempo inutile, soprattutto, con le pene brevi, soprattutto, nelle condizioni in cui siamo: noi non siamo in grado di garantire un senso al tempo sottratto con la reclusione. Questo chiaramente svuota di utilità qualsiasi forma, qualsiasi forma di detenzione. È un dato che ci racconta anche di un problema relativo alla chiusura e di un'interpretazione, forse troppo restrittiva, dell'ultima circolare sulla media sicurezza che doveva servire a spronare la progettazione, ma che, invece, ha finito per, anzi, avallare la non progettazione, perché semplicemente si tengono le persone ancora più chiuse di prima. Questo genera rabbia, che vuol dire anche aggressioni e insicurezza per chi lavora all'interno delle carceri, e genera disperazione perché il diritto alla significatività del proprio tempo è un diritto umano e la sua negazione getta le persone - anche quelle che hanno pochi mesi davanti -in un senso di disperazione che, poi, è quello che porta ai gesti estremi. Forse questo dovrebbe farci riflettere.
L'ultimo sguardo, diciamo, piccolo che vi do, lo faccio utilizzando la mia città, che è sede di un istituto penale minorile: l'istituto penale minorile di Treviso che serve tutto il Triveneto e che è forse il più sovraffollato d'Italia. Quest'estate abbiamo toccato picchi del 200 per cento; celle da tre persone che ne tengono anche fino a 5; servizi igienici indecenti - l'ho visitato: questi ragazzi si fanno la doccia nella stessa cabina, nello stesso loculo dove fanno i loro bisogni, dove c'è la turca -, mancano gli spazi per la scuola, mancano gli spazi per le attività ricreative. Questo probabilmente è un piccolo sguardo su una storia più grande di un fallimento che è il fallimento del decreto Caivano, che sta gonfiando le presenze di minori all'interno degli istituti minorili e anche delle città che persino nel ricco nord Italia non riescono a dare degli spazi, non riescono a dare delle soluzioni, non riescono a dare delle risposte a tutta una fetta di popolazione giovanile che, a volte, anche questa inutilità del suo tempo persino fuori la traduce nella piccola criminalità. Tutte risposte che non siamo in grado di dare. Poi, c'è lo sguardo del riccio, no? Lo sguardo grande, che dovrebbe essere quello della nostra Costituzione che dice che la pena non deve “consistere in trattamenti contrari al senso di umanità” e che il fine della pena deve essere rieducativo. Già questo dovrebbe fermarci a farci riflettere. Perché noi, in questo momento, non ci stiamo occupando della seconda parte di questo articolo della Costituzione, noi ci stiamo occupando solo della prima: quella per cui i trattamenti sono contrari al senso di umanità. Questo già, secondo me, dice tanto della povertà, purtroppo, in cui abbiamo in cui abbiamo relegato questo dibattito, che è una povertà culturale. Perché la Costituzione dovrebbe servire a dare delle regole per la normalità, non a spiegarci come rispondere alle emergenze: già questo è un problema grande. Allora, io qua oggi, per chiudere, sono a chiedervi degli sguardi più ampi perché penso che su questi si misuri effettivamente la nostra qualità come classe politica.
Io ho un sogno da riccio, cioè che quest'Aula possa, di fronte a un problema così grande, così radicato, così sistematico e anche così tragico, mettere da parte alcune visioni che sì sono ideologiche, mettere da parte alcune alcuni reclami da propaganda: quelli del buttare la chiave, dell'eternità della pena. Mi ha fatto venire i brividi - devo dire - sentire da parte della forza più attenta a questo tema della maggioranza, Forza Italia, sentir dire letteralmente: non pensiamo ai condannati. Perché se non ci pensiamo noi, colleghi, chi ci pensa? Perdonatemi. Questo è il nostro compito alto. Il mio sogno da riccio è che oggi ne approfittiamo di queste mozioni, di questa seduta straordinaria sul tema delle carceri per discutere veramente di quello che c'è scritto nel merito di queste mozioni, per guardare senza ideologia alle diverse soluzioni che le opposizioni stanno proponendo e per smetterla di raccontarci che, alla fine dei conti, va tutto bene così, perché il carcere può, evidentemente, continuare a rimanere un invisibile e un altrove nella nostra società. Io non penso che sia così.