Discussione generale
Data: 
Lunedì, 8 Aprile, 2024
Nome: 
Sara Ferrari

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Grazie, Presidente. Il Partito Democratico, nel sottolineare l'importanza e l'opportunità di intervenire oggi in quest'Aula su temi che troppo spesso il Governo ha cercato di eludere o, in qualche maniera, di affrontare con un approccio che gridava al lupo rispetto all'ideologia green, ci trova qui, invece, ad un'iniziativa parlamentare alla quale volentieri ci associamo, anche nell'auspicio che si possa trovare quella trasversalità e quella condivisione nell'impegno verso gli obiettivi europei di cui prima lo stesso relatore parlava. Da parte nostra questa disponibilità è ampia, ed è per questo che abbiamo, a nostra volta, proposto una mozione con precisi punti e iniziative che proponiamo al Governo, che, a nostro avviso, possono, con la dovuta disponibilità, trovare un'ampia condivisione.

Premesso, dunque, che il Green Deal europeo lanciato nel 2019 dall'attuale Commissione è stato concepito per arrivare al traguardo della trasformazione dell'Unione europea nel primo continente neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050, implementando tale visione con una road map legislativa, noi crediamo che questa strategia di decarbonizzazione, che al contempo è un nuovo paradigma industriale e un'iniziativa di rilancio del progetto di integrazione europea, sia il modo attraverso il quale gli obiettivi che trasversalmente sono stati condivisi siano stati rafforzati in questi anni, in realtà, nel contesto delle due grandi crisi che hanno interessato l'Europa negli ultimi anni, la pandemia e l'aggressione russa in Ucraina, come attestano, infatti, le risorse che hanno continuato a essere investite nel processo di decarbonizzazione e la revisione al rialzo dei target climatici a livello europeo.

La misura chiave del Green Deal è la legge climatica europea adottata nel 2016, che ha introdotto per la prima volta un obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni di lungo periodo. La legge climatica ha, inoltre, allineato l'obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 con quello di lungo termine, portandolo dal 40 al 55 per cento. Per il raggiungimento di tale obiettivo la Commissione ha presentato, nel luglio del 2021, il pacchetto legislativo Fit for 55, inclusivo di misure di adeguamento della legislazione precedente e di nuove iniziative.

Fra le prime figurano la riforma dell'ETS, cioè quella dello scambio di quote di emissioni, allo stato attuale quello che è il principale strumento di finanziamento economico comunitario, insieme al mainstreaming del clima nel quadro finanziario pluriennale, entrambi destinati al raggiungimento degli obiettivi climatici. Ma anche interventi regolatori, come la riforma delle direttive Rinnovabili, quella sull'efficienza energetica, quella sulla performance energetica degli edifici e dei regolamenti sugli standard emissivi per auto e furgoni, sui settori non soggetti all'ETS e sull'uso e sulle modifiche all'uso del territorio e delle foreste.

Per quanto attiene al sistema per lo scambio di quote di emissione nell'Unione europea, riferimento essenziale della politica dell'Unione in materia di clima, di cui costituisce finora, dicevamo, lo strumento fondamentale per ridurre le emissioni di gas a effetto serra in modo efficace anche sotto il profilo dei costi, c'è da rilevare che l'obbligo di aderire a questo sistema per le aziende europee di alcuni settori, soprattutto quelli energivori della manifattura, le lascia esposte alla concorrenza delle aziende straniere che non sono soggette a tariffe e norme ambientali altrettanto stringenti nei Paesi in cui producono.

Fra le nuove misure proposte le più significative riguardano l'estensione del prezzamento delle emissioni ai settori dei trasporti e degli edifici, al momento fuori dall'ETS e responsabili, però, di circa un terzo delle emissioni europee, e la regolamentazione delle emissioni di metano nel settore energetico. Particolarmente rilevante e impattante sul tessuto produttivo comunitario è poi l'introduzione del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, CBAM, un dazio sul contenuto carbonico nelle importazioni di acciaio, alluminio, fertilizzanti, cemento, elettricità e idrogeno. Il CBAM è ispirato dalla doppia ambizione: uno, di proteggere le industrie manifatturiere europee nei settori energivori dalla concorrenza estera nel processo di introduzione di tecnologie non emissive, che ne aumenteranno i costi di produzione, riducendone la competitività nel breve e medio periodo; due, di incentivare esportatori extraeuropei a ridurre l'intensità carbonica delle loro produzioni, per aiutare a proteggere l'industria europea dalla concorrenza sleale.

Un meccanismo che stabilisce un prezzo del carbonio sulle importazioni di determinati prodotti, nel tentativo di sostenere le industrie nazionali dei Paesi membri che saranno colpite da prezzi del carbonio più elevati rispetto alla concorrenza estera, quindi con la prospettiva di garantire uno sforzo corale per far sì che le riduzioni delle emissioni europee contribuiscano anche a un calo delle emissioni globali, invece di spostare semplicemente la produzione ad alta intensità di carbonio al di fuori dell'Europa.

È previsto che il CBAM venga applicato inizialmente ad un ristretto numero di prodotti importati - dicevamo cemento, ferro e acciaio, alluminio, fertilizzanti, elettricità e idrogeno - classificati secondo la nomenclatura combinata, comprendendo sia le merci che sono utilizzate nella loro produzione sia, per evitare possibili pratiche elusive, determinate lavorazioni dei prodotti definite con differenti codici NC. È previsto, inoltre, che in una prima fase o fase di transizione, che va dal 1° ottobre 2023 al 31 dicembre 2025, la misura non sia applicata interamente ai prodotti importati, ma che siano solo acquisite informazioni sulle quantità dei prodotti in entrata, compresa la valutazione delle emissioni incorporate, e che, contestualmente, inizi l'attività di autorizzazione dei soggetti obbligati.

In una seconda fase, con avvio dal 1° gennaio 2026, è previsto che il meccanismo entri in funzione in maniera definitiva, sebbene attraverso un regime transitorio, con la coesistenza con l'ETS che durerà appunto fino al 31 dicembre 2033. Il CBAM è concepito, quindi, per creare condizioni di parità per i produttori dell'Unione europea che già da tempo pagano i permessi per l'inquinamento da carbonio nell'ambito del sistema di scambio di quote di emissione dell'Unione.

La prima fase del meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere dell'Unione europea ha preso il via il 1° ottobre dello scorso anno, obbligando gli esportatori di 6 settori industriali ad alta intensità energetica a comunicare le proprie emissioni di carbonio alle autorità dell'Unione. L'idea, almeno sulla carta, è che con questo sistema i produttori stranieri dovranno pagare lo stesso prezzo delle emissioni di carbonio pagato dai produttori dell'Unione. L'obiettivo, oltre a ripristinare condizioni di maggiore parità nella concorrenza, è quello di incoraggiare una produzione più pulita anche all'estero e di impedire la delocalizzazione delle industrie europee.

L'avvio del meccanismo del CBAM sta aprendo fronti di tensione con economie emergenti e Paesi in via di sviluppo. L'ipotesi di una futura estensione di questo sistema alla totalità dell'import dell'Unione appare particolarmente penalizzante sia per economie emergenti, come Russia e Sudafrica, India e Cina, sia per Paesi del vicinato, come Algeria, Turchia e Ucraina, sia per i Paesi in via di sviluppo nell'Africa subsahariana o nel Sud-Est asiatico. Soprattutto per le economie meno avanzate l'adattamento appare particolarmente difficile a causa di popolazione in espansione, mancanza di risorse finanziarie e amministrative per l'adattamento alla normativa e i lunghi tempi richiesti dalla decarbonizzazione industriale.

Le prime tensioni si starebbero già trasferendo, almeno per il momento, a livello di Organizzazione mondiale del commercio, visto che la Cina ha chiesto all'Unione europea di giustificare questo sistema presso, appunto, l'Organizzazione mondiale del commercio, suggerendo che potrebbe iniziare un'azione presso la Corte di Ginevra e che segnali di possibili ricorsi sono giunti anche dall'India, grande esportatore di acciaio, ferro e alluminio.

Anche per quanto attiene il contesto europeo e italiano, il nuovo sistema rischia di rivelarsi un onere amministrativo considerevole, non solo per gli esportatori e i produttori extra UE, ma anche per le autorità degli stessi Paesi dell'Unione, stante il fatto che l'attuazione del sistema varierà probabilmente da Paese a Paese, come nel caso del sistema di scambio delle quote di emissione, visto che gli approcci delle autorità nazionali competenti tendono ad essere diversi, con diversi tempi di sdoganamento, di capacità di verifica delle emissioni tra gli Stati membri, che potrebbero portare a colli di bottiglia nel processo, di potenziali complicazioni derivanti dall'obbligo di importatori e produttori di condividere con le autorità nazionali informazioni dettagliate, alcune delle quali potrebbero poi essere anche riservate.

È necessario, inoltre, stabilire una connessione fra gli obiettivi climatici e l'attuale dibattito sulla riforma del Patto di stabilità e crescita, che può rappresentare un'importante opportunità per riflettere sull'adeguatezza degli strumenti finanziari a disposizione per gli ambiziosi traguardi di rimpatrio di capacità industriale stabiliti dal regolamento sull'industria a zero emissioni nette e da quello sulle materie prime critiche, anche alla luce del fatto che il CBAM potrebbe portare tra i 5 e i 14 miliardi di euro di entrate all'anno e che va deciso anche in che modo utilizzare tali risorse.

Per tutti questi motivi, quindi, il Partito Democratico, rilevando spesso, come dicevo prima, un atteggiamento del Governo non troppo convinto e incisivo rispetto all'ineludibile percorso verso la neutralità climatica, si augura che ci possa essere, come diceva il relatore, prima, una larga e ampia condivisione trasversale da parte del Parlamento nell'impegno verso questi obiettivi di decarbonizzazione, auspicando che si possa giungere a tale costruttiva collaborazione anche in un testo magari condiviso. Il PD, quindi, avanza delle proposte precise, che esprimono con chiarezza il nostro posizionamento su questi temi e, pertanto, propone queste iniziative da eventualmente condividere: l'impegno al Governo ad avviare le opportune interlocuzioni con le istituzioni euro-unitarie, al fine di monitorare ed eventualmente modificare il meccanismo stesso e la sua attuazione, al fine, non solo, di verificarne l'impatto sulle imprese e sui consumatori, ma di valutarne, altresì, l'effettiva efficacia, anche per la futura applicazione ad altri settori, valutando gli impatti effettivi su tutta la catena del valore dei prodotti, prevedendo la cessazione delle compensazioni dei costi indiretti di CO2 per le imprese esposte al carbon leakage, solo in seguito alla completa decarbonizzazione del sistema elettrico, nonché la riduzione al minimo della differenza tra emissioni dirette e costi indiretti e la piena valutazione degli impatti sulle imprese a valle nella catena di approvvigionamento. In ragione della progressiva applicazione del CBAM accompagnata a una graduale riduzione delle assegnazioni gratuite, sarebbe opportuno anche assicurare una corrispondenza tra i due sistemi con riguardo al calcolo delle emissioni incorporate nei prodotti, semplificando le modalità autorizzative, le relative comunicazioni e la contabilità delle emissioni. Chiediamo poi, di estenderne l'applicazione anche all'impronta carbonica dei prodotti a valle del ciclo produttivo delle merci incluse nel sistema; di valutare, nel rispetto delle norme dell'Organizzazione mondiale del commercio, misure che possano salvaguardare la competitività delle imprese europee in relazione alle esportazioni e verificare attentamente l'impatto del meccanismo nei settori in cui le importazioni si rendono necessarie, a causa di un'insufficiente offerta all'interno dell'Unione europea, al fine di valutare la possibilità di adottare specifiche misure per le imprese operanti in tali settori, anche prevedendo misure di supporto finanziate a livello europeo; infine, di rafforzare le misure anti elusione, tenendo conto anche del rischio di rilocalizzazione delle emissioni di CO2 da parte di Paesi terzi, che potrebbero ridistribuire i flussi di esportazioni, inviando i prodotti a basse emissioni di carbonio verso l'Europa e quelli ad alta impronta di carbonio verso Paesi extra Unione europea.