Data: 
Mercoledì, 13 Gennaio, 2021
Nome: 
Fausto Raciti

Grazie, Presidente. Io, come altri prima di me, vorrei concentrarmi sul ricordo di Sciascia non sul piano del contributo alla storia letteraria del nostro Paese e d'Europa ma dal punto di vista dell'intellettuale impegnato in una profonda e importante battaglia civile nel nostro Paese. Sciascia è stato un intellettuale politico, consigliere comunale al comune di Palermo eletto da indipendente nelle file del Partito comunista italiano, deputato alla Camera eletto tra le file del Partito radicale. Credo che quest'Aula debba ricordarlo innanzitutto sotto questo profilo, perché si è trattato di un intellettuale strano, largamente incompreso, di certo un intellettuale europeo per il quale la linearità del pensiero era più forte delle mille contraddizioni attorno a cui si è avviluppata la storia del nostro Paese e delle sue culture politiche.

Sciascia non era un uomo di paradossi o, meglio, poteva essere un uomo di paradossi solo in questo Paese.

Sciascia era un siciliano ma non era un sicilianista. Il concetto di sicilitudine, più volte richiamato nel corso di questa breve commemorazione, non ammiccava al sicilianismo inteso come categoria politica, nella quale era possibile un'eterna commistione tra maggioranza e opposizione che lui considerava pericolosa, deleteria e inevitabilmente elemento di inquinamento della vita pubblica sia in Sicilia che sul piano nazionale. Fu, da questo punto di vista, un grande amico dei comunisti italiani e dei comunisti siciliani in particolare, ma anche un feroce critico nei loro confronti in più fasi, rispetto allo stalinismo, rispetto alla strategia del compromesso storico, rispetto al nuovo PCI, che considerava segnato da un'incomprensione nei confronti del ruolo della magistratura. Fu un nemico giurato della mafia, ma combatté con tutte le sue forze l'idea per cui la mafia si potesse contrastare attraverso un'eccezione allo Stato di diritto, che lui fermamente condannava. Fu nemico del clericalismo a qualsiasi chiesa appartenessero i clericali, e questo è un Paese che clericali ne ha avuti molti. Un intellettuale laico, che ha inteso il suo compito di intellettuale come il compito di chi ha il dovere di dire la verità al potere, fosse anche solo la propria verità senza pretese di verità assoluta, e la sua parabola ci racconta, in breve, di quanto è stata difficile - e probabilmente è ancora difficile - la vita degli intellettuali laici in questo Paese, delle persone laiche.

Concludo. Sciascia ci lascia un pensiero tagliente, complesso da gestire. Lui aveva la paura di come sarebbe stato ricordato il suo pensiero e di come sarebbe stato utilizzato in sua assenza, dopo la morte. Io lo tratto con rispetto: penso che sia una lama affilata attraverso cui si possono provare a tagliare, ancora oggi, molti nodi gordiani che affliggono la vita politica italiana e la vita delle culture politiche del nostro Paese.