Discussione sulle linee generali - Relatrice per la maggioranza
Data: 
Lunedì, 13 Marzo, 2017
Nome: 
Donata Lenzi

A.C. 1142-A ed abbinate

 

Presidente, colleghi, il disegno di legge oggi all’attenzione dell’aula e dell’opinione pubblica è di grande importanza e per molti aspetti straordinario.

Dopo un anno di discussione in commissione dopo 43 sedute di commissione di e soprattutto dopo anni di attesa approda in aula una proposta di esclusiva iniziativa parlamentare, avente ad oggetto il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento nata dalla faticosa ma sfidante opera di costruzione di un testo base partendo da 16 progetti di legge, che ha visto il governo porsi esplicitamente al di fuori del dibattito e riconoscere la piena autonomia del parlamento a legiferare in materia.

Questo non è tema da trattative di partito o di confronto su maggioranze chiamate a governare e a esprimere un esecutivo. Questo è tema squisitamente parlamentare. Il parlamento è quindi richiamato alla sua funzione fondamentale di legislatore e ognuno di noi è chiamato ad assumere responsabilmente e singolarmente una decisione difficile in un clima che, mi auguro, sia di ascolto reciproco e di serio confronto.

Iniziai il 4 febbraio del 2016 da relatore chiedendo i colleghi di staccare la mente dal clamore del caso Englaro, analogo sollecito rivolgo a tutti noi ora.

La durezza della realtà e la tragicità degli eventi sono davanti agli occhi ma la buona legge non è mai quella sul singolo caso, ma quella che è fatta con la testa oltre che con il cuore.

La complessità della materia è tale che la mia relazione è inevitabilmente più lunga dei 20 minuti che mi sono stati assegnati. Lascio quindi al resoconto di seduta la relazione completa di cui ora mi appresto a fare una sintesi.

La legge proposta rientra in una visione “mite” del diritto, è cioè legge di principi e non una elencazione puntuale di situazioni. Scelta consapevole nella convinzione che sia estremamente difficile l’elencazione di tutte le fattispecie possibili e volendo lasciare ampio spazio di autonomia al medico e agli operatori sanitari, all’organizzazione sanitaria che ha, nel vuoto legislativo, agito in modo quasi sempre ampiamente condivisibile. Piuttosto si vuole dare certezze alla loro azione e cogliere il meglio delle prassi nate in questi anni, si pensi al recepimento della pratica della pianificazione delle cure all’articolo 4.

Questa legge attua dopo 70 anni il dettato costituzionale che all’articolo 32 della carta costituzionale recita “ La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività`, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può “in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Ritenuto dalla giurisprudenza immediatamente attuativo l’art.32 ha progressivamente supportato l’evoluzione della stessa giurisprudenza la quale però ha fortemente sollecitato l’intervento stabilizzatore del legislatore nazionale (da ultimo con la sentenza 262 del 2016).

L’articolo 1 ha per oggetto il consenso informato posto a base della relazione medico paziente.

Ci si riferisce a TUTTI i casi in cui si procede ad un esame o a una terapia o a un intervento chirurgico e non solo alle ipotesi di fine vita. Ci si riferisce a persone capaci di intendere e di volere e non a persone in stato di coma.

E’ possibile che la discussione parlamentare ci porti a prevedere un esplicito passaggio o comma sul paziente in fase terminale, al momento la proposta sottoposta alla attenzione dell’aula non lo prevede.

Al comma 1 sono riportati i riferimenti costituzionali agli articoli 2, 13 e 32 e agli articoli 1 (Dignità umana), 2 (Diritto alla vita) e 3 (Diritto all'integrità della persona) della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

Salute libertà di scelta, vita: siamo chiamati a una mediazione alta tra principi costituzionali di pari rango quali quelli della vita, della salute, intesa nel senso moderno di benessere psico fisico, e della libertà personale. Mediazione da cercare costituzionalmente con metodo laico.

Mediazione e non gerarchia tra valori. E mi rivolgo sia a chi ritiene che il bene “vita” vada difeso a prescindere persino della volontà della persona titolare quasi che ci sia un obbligo a vivere, o a chi viceversa ritiene che la libertà di autodeterminazione si estenda fino all’ eutanasia.

Al comma 2 e 3 il consenso è posto a base della relazione di cura tra medico e paziente o meglio tra medico e operatori sanitari e la persona malata e i suoi familiari.

Ricordo che la sentenza 438 del 2008 della corte costituzionale afferma che : il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della Costituzione.

La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all'art. 32, secondo comma, della Costituzione.

Discende da ciò che il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute, la cui conformazione è rimessa alla legislazione statale.

E solo oggi la legislazione statale si è posta l’obiettivo di regolarne l’applicazione!

La corte ben sottolinea come il consenso informato venga a avere funzione di sintesi tra autodeterminazione e salute e sia requisito intrinseco di legittimità dell’atto sanitario. Tema questo collegato alla responsabilità professionale in sanità. Questa proposta di legge va vista in collegamento, anzi a completamento della legge sulla sicurezza delle cure e responsabilità professionale in sanità di recentissima definitiva approvazione.

Se in quella l’attenzione era concentrata sulla responsabilità professionale del medico e dei operatori sanitari qui il baricentro è la persona malata.

Si cura la persona malata e non la patologia. Non il tumore ma la persona malata di tumore con le proprie idee, le proprie convinzioni religiose o meno, la propria esperienza di vita, la propria capacità di sopportazione del dolore, e con famigliari ed amici.

Ampio spazio è dedicato alla completa informazione a cui il paziente ha diritto, al tempo da dedicare a questa funzione equiparato al tempo di cura (comma 9) alla possibilità di rifiutare di ricevere le informazioni e eventualmente indicare una persona di fiducia.

E come tutti i diritti di libertà il consenso si può dare, si può negare, si può ritirare. Posso dire di “si’, dire di “no”, dire “adesso basta”.

“Il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Ciò è conforme al principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sé, vieta ogni strumentalizzazione della medesima per alcun fine eteronomo ed assorbente, concepisce l’intervento solidaristico e sociale in funzione della persona e del suo sviluppo e non viceversa, e guarda al limite del «rispetto della persona umana» in riferimento al singolo individuo, in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralità della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive. (Cassazione Sent.21748 del 2007).

I doveri costituzionali di solidarietà non possono giungere fino al punto di annullare il diritto all’autodeterminazione cioè fino ad annullare la personalità di chi si vuole tutelare.

E’ il principio previsto al comma 5 della proposta di legge, ove si prevede il diritto di rifiutare le cure, di revocare il consenso, anche con la conseguenza di interrompere le cure e mettere a rischio la propria vita.

Il rifiuto delle cure non può comportare in automatico l’abbandono. Firmi le dimissioni e me ne lavo le mani. Nel caso di persone in fase terminale deve essere garantita l’applicazione della legge sulle cure palliative, la legge 38 del 2010, e negli altri casi almeno la comunicazione al medico di famiglia.

Nelle situazioni di emergenza il medico assicura l’assistenza sanitaria e solo se possibile rispetta la volontà del paziente.

Il medico è tenuto invece a rispettare la decisione del paziente di rifiutare le cure, d’altronde non potrebbe legittimamente intervenire senza il consenso dello stesso, e trattandosi di rispetto di norma di legge è esente da responsabilità civili e penali. Era la conclusione a cui era giunta la giurisprudenza del caso Welby applicando l’articolo 51 del codice penale.

Anche la libertà del paziente incontra dei limiti. Se è vero che il suo consenso è indispensabile, la sua libertà non può spingersi fino a pretendere dal medico comportamenti contrari a norme di legge, alle buone pratiche clinico assistenziali, termine già usato nella legge sulla responsabilità professionale (art 6) che fa riferimento al sapere professionale del medico, o contrarie alla deontologia professionale. Questa ultima affermazione ha provocato allarme in chi ritiene che al medico vada chiesta una funzione di mero esecutore delle volontà del paziente e non riconosce oltre alla autonomia professionale la dimensione etica della professione. Si tratta delle conseguenze della difficile esperienza applicativa della legge 194 che ci porta ora a diffidare di qualsiasi spazio venga lasciato alla dimensione etica delle professioni sanitarie, quando in realtà sono professioni dalle quali tale dimensione non è eliminabile ed è, nella gran parte dei casi, a vantaggio del paziente e espressione umana e relazionale della cura. Piuttosto è sul piano formativo e culturale che bisogna procedere per sostenere l’evoluzione positiva del rapporto medico paziente conseguente all’allargamento del concetto di salute propugnato dall’OMS e al ruolo sempre più attivo di un paziente sempre meno “paziente”.

Non è possibile ignorare che la previsione esplicita della possibilità di interrompere le cure su richiesta del paziente prevista al comma 5 e l’obbligo per il medico di rispettarla susciti allarme in chi ritiene che si rientri così nella fattispecie dell’eutanasia passiva, e che allarme susciti la previsione che l’interruzione riguardi anche la nutrizione e l’idratazione artificiali.

Il contesto in cui ci muoviamo è quello di una medicina che, grazie agli straordinari progressi realizzati nel corso del ventesimo secolo e, soprattutto, nella sua seconda metà, ha acquisito la capacità di esercitare un vero e proprio controllo sulla morte, modulandone i tempi e i modi, attraverso un’ampia gamma di metodiche e strategie d’intervento, a più o meno elevato tasso tecnologico, funzionali alla protrazione della sopravvivenza (trattamenti di sostegno vitale), comportando un’articolazione degli scenari del morire che poco o nulla hanno a che fare con la natura, dipendendo strettamente dagli interventi della medicina. In sede di audizione è stato autorevolmente ricordato che nel mondo occidentale privo di guerre solo il 30% delle morti sono improvvise e imprevedibili e che è in atto una continua e forte medicalizzazione del processo di morte.

E’ così irragionevole e incomprensibile che in questo contesto ci sia chi, capace di intendere e di volere per proprie ragioni e convinzioni, preferisca lasciare che la malattia progredisca o che nessun sostegno lo mantenga forzatamente (perché contro il suo volere) in vita?

La proposta all’esame si basa sulla convinzione che ci sia una profonda differenza tra il sospendere la somministrazione di una cura e la somministrazione di una sostanza letale. Come dice la Cassazione “ il rifiuto delle terapie medico chirurgiche anche quando conduce alla morte non può essere scambiato per un ipotesi di eutanasia ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita causando positivamente la morte esprimendo piuttosto tale rifiuto un atteggiamento di scelta a che la malattia faccia il suo corso naturale ( Cassazione 21748 del 2007)

Ricordato che all’articolo 1 ci si riferisce a persone capaci di intendere e di volere mi limito a richiamare per la nota questione sulla categoria a cui appartengono nutrizione e idratazione artificiali il parere della società scientifica di riferimento in Italia, la Società Italiana di Nutrizione Parenterale ed Enterale (SINPE), nelle sue “Precisazioni in merito alle implicazioni bioetiche della nutrizione artificiale del gennaio 2007”, ha definito appunto tale forma di nutrizione come “un complesso di procedure mediante le quali è possibile soddisfare i fabbisogni nutrizionali di pazienti non in grado di alimentarsi sufficientemente per via naturale”. La SINPE, che ha fatto propria la posizione di omologhe società internazionali, ha chiarito che “ è da considerarsi, a tutti gli effetti, un trattamento medico fornito a scopo terapeutico o preventivo” e che “ non è una misura ordinaria di assistenza (come lavare o imboccare il malato non autosufficiente)” poiché essa ha, come tutti i trattamenti medici, indicazioni, controindicazioni ed effetti indesiderati.

Ma a mio parere anche per chi fosse di diverso avviso vale in questo caso il principio costituzionale per cui “la libertà personale è inviolabile” articolo 13 e non è quindi possibile ritenere che una persona capace debba obbligatoriamente essere tenuta attaccata a un sondino naso gastrico o a una peg contro la sua volontà.

All’articolo 2 è regolata la situazione dei minori e degli incapaci.

Per quanto attiene al minore il consenso informato al trattamento sanitario è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore, tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo quale scopo la tutela della salute psicofisica e della vita della persona. Per l'interdetto - ai sensi dell'articolo 414 del codice civile -, il consenso è espresso o rifiutato dal tutore, sentito l'interdetto ove possibile, anche in tal caso avendo di mira la tutela della salute psicofisica e della vita della persona. Infine il consenso informato dell'inabilitato è espresso dal medesimo e dal curatore. Nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina prevede l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall'amministratore di sostegno ovvero solo da quest'ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere. Viene infine previsto che in assenza di disposizioni anticipate di trattamento qualora il rappresentante legale del minore, dell'interdetto o dell'inabilitato oppure l'amministratore di sostegno rifiuti le cure proposte in contrasto con il parere del medico, che le ritenga appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria.

La perdita della capacità di agire non può comportare la perdita di un diritto quale quello di esprimere la propria volontà in merito ai trattamenti sanitari a cui potrei essere sottoposto in futuro. Se il consenso al trattamento sanitario è un diritto, e abbiamo visto che lo è le disposizioni anticipate sono una modalità in cui si cerca di garantire nei limiti del possibile l’esercizio di quel diritto.

Quindi l'articolo 3 prevede e disciplina le disposizioni anticipate di trattamento (DAT). Queste vengono definite come l'atto in cui ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere può, in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, ivi comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali. Il dichiarante indica una persona di fiducia - fiduciario - che ne faccia le veci e lo rappresenti nelle relazioni con il medico e le strutture sanitarie. Il fiduciario deve essere maggiorenne e capace di intendere e di volere: la sua accettazione della nomina avviene con la sottoscrizione delle DAT oppure con atto successivo che viene allegato a queste ultime. Il fiduciario può rinunciare alla nomina con atto scritto che viene comunicato al disponente; di converso il suo incarico può essere revocato dal disponente in qualsiasi momento, senza obbligo di motivazione e con le stesse modalità previste per la nomina. La figura del fiduciario è fondamentale per attualizzare le Dat. Il suo difficile compito è calare le “convinzioni e preferenze “contenute nelle Dat nella realtà concreta di malattia in cui il firmatario è venuto a trovarsi.

Qualora manchi l'indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto, o sia divenuto incapace, le DAT conservano efficacia circa le convinzioni e le preferenze del disponente. In caso di necessità sarà il giudice tutelare a nominare un fiduciario o ad investire di tali compiti l'amministratore di sostegno ascoltando, nel relativo procedimento, il coniuge o la parte dell'unione civile, o, in mancanza, i figli, o, in mancanza, gli ascendenti. Il medico è tenuto al rispetto delle DAT che possono essere disattese in tutto o in parte dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, solo quando sussistano terapie non prevedibili all'atto della sottoscrizione delle DAT capaci di assicurare possibilità di miglioramento delle condizioni di vita.

In caso di contrasto tra fiduciario e medico è previsto l'intervento del giudice tutelare. Viene poi fatto salvo il disposto del comma 7 dell'articolo 1, che, nel sancire l'obbligo del medico di rispettare la volontà espressa dal paziente e la conseguente esenzione da ogni eventuale responsabilità civile e penale, dispone anche che il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali. Circa la forma con cui vengono espresse le DAT viene stabilito che esse debbano essere redatte per atto pubblico, o per scrittura privata, e sono esenti dall'obbligo di registrazione, dall'imposta di bollo, e da qualsiasi altro tributo, imposta, diritto e tassa. Analogamente a quanto previsto dall'articolo 1 per l'espressione del consenso informato, è previsto anche che qualora le condizioni fisiche del paziente non consentano di utilizzare la forma scritta, le DAT possono essere espresse anche attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Con le stesse forme, in qualsiasi momento, può avvenire il rinnovo, la modifica o la revoca delle DAT. Le Regioni che adottino modalità telematiche di gestione della cartella clinica, o il fascicolo sanitario elettronico, o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale, possono - con proprio atto - regolamentare la raccolta di copia delle DAT, compresa l'indicazione del fiduciario, e il loro inserimento in banca dati, lasciando in ogni caso al firmatario la libertà di scegliere se darne copia od indicare dove esse siano reperibili. Su questo punto il rilievo della commissione sugli affari regionali che sollecita l adozione di una modalità nazionale di tenuta delle Dat è meritevole di attenzione e mi auguro sia possibile risolverlo in fase emendativa.

L'articolo 4 prevede e disciplina la possibilità di definire, e di fissare in un atto, rispetto all'evolversi delle conseguenze di una patologia cronica ed invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente ed il medico, alla quale il medico è tenuto ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità.

Si tratta di una procedura già in atto in alcuni hospice per le cure palliative e che ha dato buoni riscontri anche per la rassicurazione insita nel patto di non essere ne traditi nelle proprie aspettative ne abbandonati.

Il paziente e - con il suo consenso - i familiari o la parte dell'unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia, sono informati in modo esaustivo, ai sensi di quanto stabilito in tema di consenso informato in particolare sul possibile evolversi della patologia in atto, di quanto il paziente può attendersi realisticamente in termini di qualità della vita, delle possibilità cliniche di intervenire, delle cure palliative. Il paziente esprime il suo consenso rispetto a quanto proposto dal medico e i propri intendimenti per il futuro compresa l'eventuale indicazione di un fiduciario. Viene poi stabilito che il consenso del paziente e l'eventuale indicazione di un fiduciario, sono espressi in forma scritta ovvero, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentono alla persona con disabilità di comunicare e sono inseriti nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. L'atto di pianificazione delle cure può essere sempre modificato su richiesta del paziente, con le stesse forme di cui al periodo precedente. Vengono richiamate le norme di cui all'articolo 3, relative alle disposizioni anticipate di trattamento, per tutti gli aspetti non espressamente disciplinati dal presente articolo.

L'articolo 5, con una disposizione transitoria, sancisce l'applicabilità delle disposizioni della legge ai documenti contenenti la volontà del disponente circa i trattamenti sanitari depositati presso il comune di residenza o davanti ad un notaio prima dell'entrata in vigore della legge medesima, stabilendo quindi l'efficacia retroattiva della stessa.

Infine l'articolo 6 pone la clausola di invarianza degli oneri finanziari.

Mi accingo a concludere e lo faccio con una considerazione di carattere generale il problema del fine vita e delle scelte conseguenti, è problema di una medicina tecnicamente avanzata. Solo sistemi sanitari pubblici sono in grado di garantire quelle cure o in altri paesi solo poche persone con disponibilità economica sono in grado di attingere alle cure migliori per lunghi periodi di tempo. Nei molti paesi nel mondo dove neanche cibo e istruzione sono garantiti si muore per malattie da noi sconfitte da decenni. È il sistema sanitario nazionale con tutti i suoi limiti che ci permette di poter fare una scelta , ed è un miglioramento del sistema delle cure palliative quello che garantirà anche in futuro che la scelta sia autenticamente libera.

(Testo integrale)