Dichiarazione di voto finale
Data: 
Mercoledì, 17 Settembre, 2025
Nome: 
Rachele Scarpa

A.C. 1917-B

 

Grazie, Presidente. Mi permetta di iniziare questo intervento stigmatizzando quanto è avvenuto questa sera con la convocazione improvvisa di una seduta fiume e anche di esprimere la mia solidarietà ai funzionari, ai commessi e al personale che lavora nella ristorazione della Camera. Loro, a differenza dei colleghi di maggioranza che hanno voluto imporre questa seduta notturna, rimarranno qui tutta la notte e ascolteranno tutti gli interventi, ed è solo grazie al loro lavoro se noi potremo esercitare l'ombra pallida di quello che è un dibattito parlamentare. Dico ombra pallida perché non una modifica, non un emendamento è stato approvato nel corso delle diverse letture di questo provvedimento. Forzature su forzature, come ormai questa maggioranza ci ha abituati a rendere la democrazia un esercizio vuoto da svolgere davanti ad aule vuote. Io lo trovo triste, penso che sarebbe anche una questione di rispetto, a un certo punto, e quindi dico vergogna alle forze di maggioranza che oggi non si degnano nemmeno di ascoltare questa discussione e grazie a chi invece, lavorando, consente a noi di fare almeno quello che possiamo per esercitare i nostri diritti democratici di rappresentanti eletti. Il testo che discutiamo viene presentato come un intervento di efficienza assoluta e di garanzia. Si viaggia per titoli, separazione delle carriere, e per assiomi: la attendiamo da trent'anni questa riforma e risolverà tutti i problemi della giustizia. In realtà, non penso che serva essere dei tecnici dell'argomento per comprendere che questa riforma non affronta nessuno dei problemi reali della giustizia e che anzi rischia di produrre degli effetti opposti a quelli dichiarati. Le ragioni sono due, e sono abbastanza plastiche davanti a noi: c'è un intento punitivo nei confronti della magistratura, accusata di essere politicizzata quando non si piega al programma del Governo di turno e, dall'altro, c'è un'ossessione ideologica che la destra coltiva da decenni riproponendo vecchie ricette che però ormai non rispondono sicuramente ai problemi dei cittadini, per quanto riguarda la giustizia. Eppure, in questi trent'anni molto è cambiato: sono cambiati i limiti ai passaggi tra giudici e pubblici ministeri - l'hanno ricordato tantissimi colleghi: ormai è l'1 per cento la quantità dei giudici che fanno il passaggio da magistratura giudicante a magistratura requirente -, è cambiata la cultura del processo accusatorio ed è cambiata l'Europa dove molti Paesi comunque guardano anche con interesse al nostro modello. Ma, ovviamente, nulla di tutto questo interessa alla Destra, la Destra che continua a ripetere gli stessi slogan di 30 anni fa come se il tempo non passasse mai. E così mentre la giustizia quotidiana arranca con udienze fissate al 2030, con organici insufficienti, con il processo telematico che non funziona, il Governo decide di concentrare tutte le sue energie su una bella bandiera ideologica. Non investimenti, non assunzioni, non soluzioni concrete, solo lo scalpo ideologico del titolo di questa riforma che è la separazione delle carriere. Il risultato è una riforma inutile, rischiosa e pasticciata. Inutile perché - lo dicevo prima - il problema che dite di voler risolvere non esiste, meno dell'1 per cento dei magistrati cambia funzione nella carriera e spesso lo fa nei primi anni di servizio. Rischiosa perché spezza, invece, l'unità della giurisdizione, è una riforma costituzionale, un cambiamento serio per cui, invece, probabilmente, sarebbe stata sufficiente una legge ordinaria e si rischia di trasformare il pubblico ministero in un corpo separato, autoreferenziale, sempre più spinto verso la logica della condanna ad ogni costo e anche quindi, inevitabilmente, esposto alla pressione del potere politico. Pasticciata perché oltre a essere scritta piuttosto male, divide il Consiglio superiore della magistratura in due CSM più un'altra Corte disciplinare, indebolendo l'autogoverno dei magistrati e introducendo perfino il sorteggio dei membri. Una scelta che non ha nulla di democratico, a mio parere, e che rischia di produrre organismi fragili, meno rappresentativi e più permeabili all'influenza politica. Non è valsa neanche la nostra critica, penso costruttiva, rispetto alle quote e alla composizione di genere che non è stata minimamente accolta così come nessun'altra modifica.

Oggi, non stiamo in ogni caso discutendo di una vera e propria separazione delle carriere come il titolo vorrebbe far credere, lo ha spiegato la Corte costituzionale questo, che potrebbe essere realizzata con una legge ordinaria che c'è già di fatto nella riforma Cartabia, qui si parla della separazione delle magistrature. È una scelta radicale, questa, che rompe l'unità dell'ordine giudiziario creando due corpi distinti, ciascuno con un proprio Consiglio superiore, un proprio autogoverno, una propria logica corporativa. E questo è bene dirlo con chiarezza, colleghi, non è un'operazione neutrale, dividere un organismo unitario significa indebolirlo, così come accade in natura la frammentazione produce fragilità, sicuramente non forza.

Voi dite che lo fate per garantire l'imparzialità del giudice ma l'imparzialità è spesso già garantita, ci sono regole di incompatibilità, di astensione, di ricusazione, ci sono criteri rigorosi di assegnazione dei procedimenti, c'è un codice che impone al PM di raccogliere non solo le prove a carico ma anche quelle a discarico. È questa la vera garanzia per i cittadini, non di certo questa riforma costituzionale.

Un pubblico ministero non deve essere un accusatore di professione, deve restare un organo di giustizia perché, se diventa un accusatore, il rischio è duplice, da un lato processi meno equi, dall'altro la tentazione, prima o poi, di metterlo sotto il controllo dell'Esecutivo. Questa è la traiettoria che temiamo, dopo la separazione l'assoggettamento al Governo. E questo non può essere accettato, non possiamo accettare tutto questo in un Paese che ha conosciuto una dittatura, che ha visto la giustizia piegata al potere politico, non possiamo accettarlo in un Paese che ha perso 28 magistrati assassinati dalle mafie e dal terrorismo, quasi tutti i pubblici ministeri e, a loro, dobbiamo rispetto non riforme che cercano subdolamente di indebolire la loro funzione.

I cittadini non chiedono a questo Governo una giustizia potenzialmente piegata al potere. Chiedono una giustizia che funzioni, che sia rapida, che sia accessibile, che sia comprensibile; chiedono tribunali che non crollino, uffici che non siano deserti, personale sufficiente, digitalizzazione vera ed efficiente; chiedono di ridurre i costi e i tempi per garantire i diritti delle vittime e degli imputati. Niente di tutto questo c'è nella vostra riforma, non un euro in più, anzi, tagli per 500 milioni dal 2025 al 2027, non una misura per accelerare i processi civili che paralizzano famiglie ed imprese, non un intervento serio sulle carceri che esplodono di sovraffollamento e sono il pozzo nero della nostra democrazia, nessuna visione sulla giustizia del futuro.

Avete scelto, invece, la scorciatoia ideologica. Quella che divide, quella che colpisce un potere dello Stato, quella che alimenta la propaganda certamente ma sicuramente non risolve i problemi, ed è una scelta grave questa, un'altra che mina l'equilibrio tra i poteri e riduce le garanzie per i cittadini, a maggior ragione viste le modalità con cui le state portando avanti.

Noi non siamo qui a difendere una categoria, siamo qui a difendere i diritti di tutti perché difendere l'autonomia del potere giudiziario significa difendere la libertà dei cittadini, significa dire che nessun Governo, nessuna maggioranza, può mettere la giustizia al proprio servizio e, per questo, voteremo contro alla vostra riforma e siamo certi che, anche il Paese, quando verrà chiamato a pronunciarsi, saprà dire con forza la stessa cosa: “no” a una giustizia piegata al potere, “sì” a una giustizia indipendente e al servizio dei cittadini dentro la cornice della nostra Costituzione.