A.C. 1917-B
Grazie, Presidente. Guardi, le confesso che è quasi imbarazzante per noi ripetere concetti che da mesi risuonano dentro quest'Aula e in quella del Senato, a partire dalla decisione di imporre una riforma costituzionale sottoposta sin dalla sua presentazione a una blindatura che non ha precedenti. Vice Ministro Sisto, a proposito delle sue risposte stamane in Commissione, per smentire quella blindatura non basta dire che il Parlamento è sovrano - questo è fuori discussione - e che non esiste alcun obbligo a modificare una riforma se la maggioranza che la presenta la ritiene perfetta così com'è. Tantomeno basta dire “applichiamo il nostro programma”, perché in una democrazia compito della maggioranza è confrontarsi su quel programma per individuare soluzioni il più possibile condivise, soprattutto quando in gioco sono elementi fondanti del nostro ordinamento costituzionale. Signor Vice Ministro, in democrazia la sintesi la fa il Parlamento, non la maggioranza di Governo.
A noi non resta che confermare tutte le ragioni di una contrarietà a questo vostro disegno, che sono di metodo e di sostanza. Decine e decine di audizioni hanno spiegato, in punta di dottrina, perché con la separazione della magistratura requirente e giudicante si assesta un colpo alle garanzie degli imputati, dando vita a un corpo di magistrati votati esclusivamente all'accusa.
Noi abbiamo indicato in Commissione, al Senato, qui alla Camera, delle soluzioni alternative, chiedendo che si intervenisse sui problemi materiali, quotidiani della nostra macchina giudiziaria: la durata dei processi, l'assunzione di magistrati che oggi mancano, il rafforzamento del personale di cancelleria, l'implementazione del processo telematico, il rinnovamento strutturale delle sedi giudiziarie, la stabilizzazione dei componenti degli uffici del processo e, naturalmente, l'emergenza carceraria, dove le condizioni di vita superano oramai di gran lunga la soglia di quella che possiamo definire civiltà. Ripeto, argomenti noti, sui quali noi abbiamo insistito per mesi.
Allora, vorrei approfittare di quest'ultimo intervento nel dibattito generale per una considerazione, approfittando anche - lo saluto e lo ringrazio - della presenza del Ministro Nordio: una considerazione di ordine più politico. Noi ci siamo chiesti quale fosse il vero obiettivo di questa vostra controriforma e abbiamo evocato lo scenario peggiore: colpire quello che, negli anni, è stato definito il partito dei giudici, contrapposto a singole forze politiche o singoli leader. Come sapete, anche su questo punto noi abbiamo valutazioni diverse. Pensiamo ai tanti magistrati, la stragrande maggioranza, capaci di esercitare il loro ruolo con assoluta indipendenza, che hanno recato, in tante occasioni e momenti della storia italiana, un contributo fondamentale alla lotta alle mafie e alla tutela dei diritti nel mercato del lavoro, da ultimo alla tutela dei cittadini stranieri, con sentenze che spesso hanno anticipato le scelte della politica.
Tutto questo non ha mai messo in discussione, per noi, la difesa delle garanzie per ogni individuo che, quando accusato, vive la sproporzione di forza tra un giudice, che ha dietro di sé la potenza dello Stato, e un imputato che, per quanto potente sia stato, dinanzi a quel giudizio è solo, a meno di non appoggiarsi sul contrappeso di un'organizzazione criminale.
E, d'altra parte - signor Ministro, lei questo ce lo insegna - sono stati sempre i magistrati più illuminati a rammentare l'antica formula di Montesquieu sulla consapevolezza del potere giudiziario come un potere terribile; lui usava esattamente questo aggettivo. Condorcet avrebbe usato l'aggettivo odioso - odioso -, perché, a differenza di ogni altro potere pubblico (legislativo, politico, amministrativo) quel potere decide della libertà e, dunque, della vita delle persone.
Ecco perché quello che definiamo garantismo non può mai ridursi a uno scontro politico, signor Ministro, perché è molto di più che una bega tra fazioni o parti: è l'essenza stessa del diritto. Senza le giuste garanzie, semplicemente viene meno la natura della giurisdizione e si aprono le porte a derive pericolose. Per questo, la teoria sul partito dei giudici è sempre stata un elemento di inquinamento del clima politico e sociale, in un Paese che dovrebbe invece ricostruire un sano equilibrio tra i poteri dello Stato. Ma, appunto per questo, la garanzia che giudici e pubblici ministeri siano autonomi da ogni altro potere, a partire da quello politico, è principio scolpito nella Costituzione. Il punto è che quel principio vale finché una maggioranza non abbia volontà o numeri, come in questo caso, per modificarlo: dall'obbligatorietà dell'azione penale a carriere uniche per giudici e pubblici ministeri. E, purtroppo, è precisamente quello che voi vi accingete a fare.
Presidente, qualche anno fa un giurista raffinatissimo, come Luigi Ferrajoli, in un intervento di alto profilo, indicò quelle che giudicava le massime della deontologia giudiziaria, muovendo precisamente da quel carattere terribile e odioso di questo potere. E da lì faceva derivare aspetti decisivi di quella deontologia: la consapevolezza del carattere relativo e incerto della verità processuale, il valore del dubbio e la permanente possibilità dell'errore, in fatto e in diritto, la disponibilità delle opposte ragioni, il rispetto di tutte le parti in causa, la capacità di suscitare la fiducia delle parti, anche degli imputati , il valore della riservatezza del magistrato riguardo ai processi di cui è titolare e - ultimo, ma non ultimo - il rifiuto anche solo del sospetto di una strumentalizzazione politica della giurisdizione.
Ecco, il nostro allarme è per una controriforma che muove, a nostro avviso, nella direzione opposta a quanto auspicato dalle più raffinate teorie del diritto e della stessa prassi costituzionale. E questo, signor Ministro, dal 1947 - l'abbiamo ricordato stamane nella Commissione, c'era presente il Vice Ministro Sisto: nel maggio del 1947, il Presidente del Consiglio di allora, Alcide De Gasperi, espulse i Ministri comunisti da quel Governo. L'indicazione gli era giunta direttamente dal Segretario di Stato dell'amministrazione americana, George Marshall, quello del Piano Marshall: gli aveva detto che, se non uscivano i comunisti dal Governo, le risorse americane non sarebbero mai arrivate. E l'ambasciatore americano dell'epoca in Italia si rivolse al Presidente del Consiglio italiano dell'epoca e gli disse che non solo bisognava espellere i Ministri comunisti dal Governo, ma che Alcide De Gasperi avrebbe dovuto sciogliere l'Assemblea costituente e dare vita a una nuova stagione che mettesse ai margini le forze politiche che non erano comprese dentro quel disegno.
Il Presidente del Consiglio dell'epoca - uno dei più grandi, autorevoli statisti della storia repubblicana - effettivamente cambiò la formazione di quel Governo, ma respinse duramente l'invito a sciogliere l'Assemblea costituente, nella consapevolezza che le regole fondamentali del compromesso costituzionale, del patto repubblicano, dovessero essere scritte da tutte le culture politiche che avevano lottato contro il regime fascista. E in quei mesi successivi, in un clima di guerra fredda che oramai era di lì a poco esplosa, l'Assemblea costituente lavorò operosamente e scrisse quella Costituzione con il concorso di forze politiche che, dentro quest'Aula, sul terreno del confronto di Governo, si contrapponevano in maniera frontale. Quello è stato un ammonimento, un monito, una lezione che, nella storia della Repubblica, abbiamo portato con noi a lungo, col limite dell'errore da entrambe le parti, ma mai, mai sino ad ora, con la volontà di uno stravolgimento di quel presupposto, di quel principio, che porta voi oggi a manomettere la Carta costituzionale con un atto puramente unilaterale.
Mancano pochi secondi. Io voglio solo dire, signor Ministro, che di una cosa però siamo certi ed è che, alla fine, su tutto questo avranno modo di giudicare gli italiani in un referendum che ci vedrà impegnati per arginare quella logica muscolare, con la quale questa maggioranza sceglie di manomettere parte della nostra Carta. Non prendetela, non la prenda, signor Ministro, come una minaccia. Per noi è semplicemente un impegno solenne, che speriamo possa affrettare il vostro congedo da quei banchi dove oggi state, comodamente e colpevolmente, seduti.