Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 17 Settembre, 2025
Nome: 
Andrea Gnassi

A.C. 1917-B

Grazie, Presidente. Qui siamo di fronte ad un ennesimo tentativo di dare un colpo all'assetto istituzionale del Paese nei suoi principi che lo hanno fondato, cioè quelli democratici, quelli della separazione dei poteri. Vede Presidente, sono stati detti, anche dai colleghi, sono stati portati a questa discussione, sorda e vuota, elementi puntuali che avrebbero favorito un passo in avanti nella riforma della giustizia, per accelerare, per qualificare il processo riformatore in generale di cui questo Paese ha bisogno.

I padri costituenti fecero una scelta enorme per il nostro Paese, enorme per il senso costituito poi della democrazia che ci è stata regalata grazie anche al sacrificio della lotta di liberazione. Fecero la scelta cioè della divisione dei poteri e la fecero in un contesto di Italia distrutta, massacrata, dopo gli abomini della dittatura nazifascista, dove la magistratura per decenni era stata sottoposta al controllo politico, tra l'altro di una dittatura.

I padri costituenti, alla luce di quello che aveva vissuto il Paese ovvero decenni di magistratura assoggettata alla dittatura - non solo al potere politico, ma al potere politico che si era fatto dittatura - potevano ben scegliere una strada diversa da quella della separazione dei poteri. Potevano avere dei dubbi perché avevano vissuto tra l'altro, non i dubbi, ma le piaghe della dittatura sulla pelle, potevano in qualche modo anche pensare ad una fase in cui nel Paese che si riavviava alla democrazia la stessa magistratura era inquinata, infiltrata ed era parte di una dittatura; potevano scegliere, proprio per quello che aveva vissuto il Paese (decenni di dittatura e di assoggettamento della magistratura alla politica o anche di dittatura che si faceva pienamente parte con la magistratura di una dittatura allargata), anche una fase nella quale poteva essere legittimo “il controllo democratico della magistratura” che ancora doveva uscire da quei decenni di dittatura, ancora portava al suo interno anche negli organi, negli assetti e persino nelle persone i segni di come la dittatura incideva sulla magistratura, era un tutt'uno con quella. Ecco, i padri costituenti scelsero - nonostante avessero vissuto sulla pelle le infamie di quella dittatura che era dentro e con la magistratura - l'autonomia dei poteri, una scelta straordinaria, lungimirante e coraggiosa, non dico incosciente ma, alla luce di quello che ancora era l'assetto e i residui della magistratura italiana che usciva dalla dittatura, con cui non aveva fatto evidentemente pienamente i conti, fecero una scelta straordinaria. Oggi ci troviamo a discutere di una riforma che è intrisa di derive ideologiche e pericolose che ci sono state negli ultimi decenni. Con il disegno di legge costituzionale sulla separazione delle carriere giudicante e requirente il Governo e la maggioranza compiono un passo che sfreggerà per sempre quell'equilibrio dei poteri e quell'indipendenza della magistratura nel nostro Paese che i padri costituenti scelsero. Non si può cambiare la Costituzione? Non si deve riformare l'assetto e l'architettura istituzionale del Paese? Non si deve riformare la magistratura? Certo che sì, ma qui si va a colpire il punto che regge uno Stato democratico, cioè l'equilibrio dei poteri, l'indipendenza dei poteri, anche favorendo nella riforma della giustizia l'uscita - la dico così - di una certa subalternità che la politica ha avuto in questi anni rispetto alla giustizia, proprio perché la politica era degenerata, per rifarsi una coscienza, la subalternità che la politica ha avuto verso la giustizia. Non si può rompere l'equilibrio dei poteri, non si può colpire l'indipendenza dei poteri e lo dico anche perché una politica non autoritaria, ma autorevole e forte, incide ed entra nella riforma della giustizia, ma senza ledere il principio dell'equilibrio e dell'indipendenza. Non è un caso che questo dibattito infatti avvenga così, in questa che è un'Aula vuota, un'Aula che non ascolta, perché il Governo non ha ascoltato nessuno, non ha ascoltato la società civile, non ha ascoltato i professionisti, non ha ascoltato i giuristi, non ha ascoltato il Paese. Il Governo giustifica la riforma con alcuni argomenti: da un lato, l'idea che separare giudici e pubblici ministeri garantirebbe maggiore efficienza ed imparzialità, dall'altro, l'evocazione del cosiddetto giusto processo. Ma davvero credete in queste fragili e deboli argomentazioni quando i problemi della giustizia non solo non sono stati affrontati, ma si tolgono risorse e si toglie la possibilità alla giustizia di procedere mettendo nelle condizioni il cittadino che deve essere giudicato di essere giudicato velocemente? Non avete fatto un passo, non ne avete fatto uno. Come il collega, chi vi parla, a proposito di “eccessi”, di derive, di problematiche che l'attuale assetto della giustizia può produrre, è stato tra quelli che forse una di queste derive le ha patite. Io ho fatto il sindaco e i sindaci si sono espressi per l'abuso d'ufficio.

Vi abbiamo detto, quando facevate quella “riforma” che, nel merito, l'abolizione dell'abuso d'ufficio, se non organica, se non inquadrata in una riforma equilibrata, forte e chirurgica avrebbe poi potuto causare altri problemi. Guardate che qui non si tratta di un ex sindaco che parla ed evoca il caso di Milano, ma passare dall'abolizione dell'abuso d'ufficio a ipotesi di reato corruttive è segno, sì, di un problema che rimane, ma è segno anche che quella riforma sull'abuso d'ufficio non ha risolto il problema. Allora, questo è un punto su cui ragionare o no? Non sto dicendo che, in virtù dell'abolizione dell'abuso d'ufficio, non si devono vedere alcuni eccessi e alcune derive - poi il dibattimento di Milano produrrà atti e carte, quella è una vicenda che ha un percorso -, non sto dicendo che bisogna per questo giustificare alcune derive nell'interpretazione di altre ipotesi di reato come quello appunto della corruzione, non sto dicendo questo, ma sto dicendo che, mentre ponete mano alla riforma dell'abuso d'ufficio, dovete capire che, se togliete un pezzo, poi ne viene meno un altro, se non c'è una riforma organica, perché è quello che sta succedendo. Chi vi parla appunto ha vissuto una fase dura della propria vita, con i propri familiari, mentre era lì a rispondere da sindaco e la locandina dei giornali tutti i giorni parlava tra l'altro di una vicenda relativa ad una società partecipata in cui il comune aveva una quota di minoranza, una di quelle cose che a spiegarle ex post verrebbe un po'di rabbia, che però è superata dal dolore e dalle ferite. Quindi, in questo Parlamento, siedono anche persone che, ad esempio, nell'applicazione diretta di alcune dinamiche e di alcune procedure, sanno di che cosa si parla, quando questi processi producono anche delle derive, quando magari si va fuori controllo, ma è l'autorevolezza della politica - e non l'autorità della politica - che interviene con una riforma organica, cosa che voi non fate, perché - come per l'abolizione dell'abuso d'ufficio - aprirete scenari molto più complessi, le cui conseguenze le vedremo forse anche sulla pelle delle persone, come sta anche in qualche modo succedendo. Avete fatto, insomma, una riforma che lavora sulla pancia, sull'onda dell'opinione pubblica, sull'onda di alcune problematiche che ci sono; avete scelto un metodo che è grave perché mina la fiducia nelle istituzioni, quando il Parlamento diventa uno strumento di ratifica, quando non c'è ascolto…

…quando la democrazia stessa è impoverita. Guardate, il dibattito parlamentare quando si riforma un Paese - e lo si riforma nelle corde più sensibili come quella della divisione dei poteri, in questo caso della giustizia - non è solo forma, ma è sostanza, perché è sostanza la carne viva dei cittadini, su cui le riforme.