A.C. 1917-B
Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, colleghe, signor Ministro, torniamo a discutere di una riforma che tocca uno dei pilastri dello Stato di diritto: l'indipendenza della magistratura. Non è solo un tema tecnico o riservato agli addetti ai lavori, è un tema che riguarda tutti i cittadini, perché libertà, sicurezza e diritti di ciascuno dipendono dalla capacità dei giudici e dei pubblici ministeri di esercitare le loro funzioni senza condizionamenti esterni.
Questa riforma va a modificare in profondità l'architettura dei pesi e contrappesi voluta dai padri costituenti. È una riforma che riscrive il ruolo e l'organizzazione della magistratura, separa le carriere, divide il Consiglio superiore della magistratura, istituisce un nuovo giudice disciplinare. Le numerose critiche, che abbiamo già mosso durante le fasi di discussione in Commissione, riguardano sia il modo attraverso cui si vorrebbe giungere all'approvazione di questa modifica della Costituzione, sia il merito. Per quanto riguarda il metodo, il Governo ha deciso di affrontare le modifiche su una materia così delicata presentando un testo che, come dichiarato dallo stesso Ministro, è stato blindato fin dalla prima lettura. Nel corso dell'esame parlamentare, è stato impossibile qualsiasi tipo di apporto, sia da parte dell'opposizione che della stessa maggioranza. Perfino l'emendamento che chiedeva di assicurare la parità di genere nel sistema elettivo dei componenti del CSM è stato bocciato, in nome di una blindatura del testo che riteniamo inaccettabile. È una forzatura molto grave, che non ha precedenti nella nostra storia repubblicana e che mortifica non solo le prerogative delle opposizioni, ma dell'intero Parlamento. La riforma della Costituzione dovrebbe essere sempre il risultato di un confronto, di un accordo, di un compromesso tra le forze politiche - e quindi tra tutti i cittadini - e non un patto stipulato dentro il Governo, che il Parlamento deve soltanto ratificare.
Veniamo al merito. Il primo aspetto da mettere in evidenza è che la riforma non risolve in alcun modo tante criticità che la giustizia italiana sta vivendo negli ultimi anni. In un Paese nel quale le prime udienze del giudice di pace vengono fissate nel 2030 - nel 2030, Presidente, nel 2030! - e nel quale il processo telematico è in tilt, ci sono enormi questioni sul tema della giustizia che meriterebbero di essere affrontate con serietà, determinazione e urgenza. Non bisogna raccontare ai cittadini che le cose possono cambiare per loro con questa riforma, perché in questa riforma non è presente alcuna misura che affronti le priorità del sistema giudiziario: la velocizzazione dei processi e il rafforzamento degli organici, in particolare negli uffici giudiziari. Come se non bastasse, la manovra di bilancio che avete realizzato taglierà 500 milioni di euro sulla giustizia dal 2025 al 2027.
In questa riforma, poi, non c'è niente su come far fronte ai sistemi informatici obsoleti e precari, niente sulla digitalizzazione dei processi. E se è vero che la lungaggine dei processi è anche la conseguenza dell'eccessivo numero delle inutili figure di reato nel nostro ordinamento, allora possiamo dire che in quasi tre anni con il vostro approccio panpenalistico, che a ogni possibile problema risponde con l'introduzione di una fattispecie di reato, avete persino peggiorato la situazione, incrementando ancora di più le figure di reato e dunque il sovraffollamento carcerario. Su questo punto, mi preme dirlo, in questa riforma non vi è traccia di alcuna misura volta a mettere fine all'emergenza delle carceri italiane, dove in un contesto di cronico sovraffollamento e drammatici e sempre più numerosi suicidi, a cui mai bisogna abituarsi, viene meno anche il principio costituzionale della rieducazione della pena.
Ma veniamo ora al fulcro di questa riforma, ovvero la necessità di separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante. Ad oggi non sussiste alcuna esigenza di separare queste due carriere, in quanto la separazione delle carriere di fatto già esiste. Dalla riforma del 2006 e poi con la riforma Cartabia, infatti, è possibile un solo passaggio in tutta la carriera, da effettuarsi nei primi 9 anni della carriera. Le statistiche ci dicono che si tratta di circa 20 passaggi all'anno su 10.000 magistrati, quasi sempre dalla carriera di pubblico ministero a quella di giudice. Questi numeri dimostrano che assai meno dell'1 per cento dei pubblici ministeri passa alla funzione di giudice e ancor meno sono i giudici che passano alla funzione di PM. Serviva una riforma costituzionale per affrontare questi 20 passaggi all'anno, oppure questa riforma del Governo non è altro che uno scalpo ideologico
è un intervento fuori tempo massimo sulle carriere dei magistrati o un pezzo del patto tra le tre anime del Governo? Una riforma ciascuno: l'autonomia per la Lega, il premierato per Fratelli d'Italia e questa sui giudici per Forza Italia. Di fatto, un mosaico di bandiere ideologiche che nulla ha a che fare con un progetto serio di riforma costituzionale e con quello di cui ha bisogno il Paese.
Abbiamo sentito dire che questa riforma metterebbe fine all'influenza, per il solo fatto di appartenere al medesimo ordine, dei magistrati requirenti nei confronti dei giudici, quando le statistiche dicono che già oggi, in più del 40 per cento dei casi, le decisioni giudiziarie non confermano le ipotesi accusatorie.
Inoltre, paradossalmente, se, per il solo fatto di appartenere al medesimo ordine giudiziario, non vi fosse imparzialità, bisognerebbe separare anche gli ordini dei giudici di primo grado dai giudici di secondo grado, laddove il giudice di secondo grado esamina la sentenza del collega di primo grado. Ma, anche qui, i dati dicono che in molti casi i giudici di secondo grado modificano e riformano le sentenze di primo grado, dimostrando dunque imparzialità e autonomia di giudizio.
C'è, allora, il forte sospetto che questa riforma non voglia separare le carriere - come abbiamo già visto, nei fatti è già qualcosa in essere -, ma piuttosto separare la magistratura, spaccarla in due, quindi indebolirla. Non si tratta di una riforma per i cittadini, ma di una riforma contro la magistratura; una riforma dettata da un'allergia verso ogni organo indipendente.
È utile ricordare che, ad oggi, il CSM è il presidio che garantisce autonomia e indipendenza. Con questa riforma, invece, si prevedono due consigli distinti, scelti persino attraverso il sorteggio, un metodo che, al di là delle intenzioni, svilisce il merito, mortifica le competenze e rischia di consegnare incarichi di altissima responsabilità a persone selezionate non per capacità, ma per pura casualità.
Al contrario, la riforma della separazione delle carriere porterebbe alla creazione di un corpo di circa 2.500-3.000 magistrati fortemente arroccati all'interno del ruolo funzionale del PM. Si rischia così di favorire la creazione di una casta separata di procuratori autoreferenziali, con un proprio CSM di riferimento, facendo emergere la figura di un super PM, un accusatore di professione sganciato dal resto della magistratura, con una forte vocazione colpevolistica, svincolato dalla cultura del giudice terzo e con a disposizione l'intero apparato della polizia giudiziaria, senza più controllo alcuno se non quello eventuale - e, a quel punto, probabile - del potere politico.
E, allora, la battaglia contro questa riforma è una battaglia per difendere il sacrosanto principio dell'indipendenza della magistratura, che è un pilastro costituzionale che distingue un sistema democratico autentico da uno in cui il potere giudiziario è subordinato all'interesse di pochi.
Alle accuse di chi dice che noi vogliamo mantenere la situazione e lo status quo, ribadiamo che noi siamo disponibili a un impegno comune per le riforme, che assicurino davvero funzionalità e garanzia al processo. Ma, per questo, siete voi che dovete abbandonare i vostri feticci ideologici sulla giustizia. Non possiamo accettare che venga minata la terzietà del giudice, che venga creata una casta di pubblici ministeri autoreferenziali e potenzialmente condizionabili dalla politica. Non possiamo tollerare che una Costituzione scritta per garantire la libertà dei cittadini venga piegata alle esigenze contingenti della maggioranza di Governo. Difendere l'indipendenza della magistratura significa difendere il diritto di ogni cittadino a un processo giusto, rapido, imparziale; significa difendere la democrazia stessa, i diritti fondamentali, la Costituzione repubblicana. E la Costituzione, colleghi, ricordiamocelo sempre, è di tutti: non appartiene a una parte, a una maggioranza, non appartiene a un Governo. È il frutto di un compromesso alto, faticoso ma condiviso, che ha retto per decenni e che ci ha garantito libertà e giustizia. Non distruggiamolo per inseguire battaglie ideologiche o per soddisfare appetiti di parte.
Noi non ci stiamo a un dibattito compresso, a una discussione che si voglia ridurre a un passaggio burocratico. Chiediamo un confronto vero, approfondito, aperto.