Dichiarazione di voto
Data: 
Giovedì, 15 Luglio, 2021
Nome: 
Enrico Borghi

Doc. XVI, n. 5

La ringrazio, signor Presidente. Vede, signor Presidente, nella cacofonia di questo dibattito, l'opinione pubblica potrebbe legittimamente porsi la domanda sul senso, sulla natura, sulla necessità di questo voto, che autorizza una serie di missioni internazionali dell'Italia all'estero.

Allora vorremmo dare il nostro contributo, tentando di enucleare tre principi fondamentali sulla base dei quali, dal nostro punto di vista, occorre ricondurre una riflessione e una motivazione circa l'importanza delle scelte che stiamo per compiere in questo momento.

La prima riflessione: ci si dimentica forse troppe volte che lo strumento militare è un pezzo della politica estera di un Paese ed è un elemento essenziale, anche se non unico, fortunatamente, per la sua attuazione.

Noi stiamo vivendo in un mondo che, da bipolare, sembra essere diventato un mondo apolare, siamo dentro uno storico momento di distruzione e ricostruzione di un nuovo ordine mondiale. E dentro questo quadro occorre, innanzitutto, avere coscienza delle dinamiche geopolitiche che sono in atto e non bisogna commettere un errore, che è quello di ridurre la complessità dentro la compressione di facili slogan o di comode nicchie identitarie.

Il secondo principio che noi dobbiamo avere in mente, nel momento in cui noi votiamo questo documento, è che gli interessi nazionali dell'Italia oggi si giocano fuori dai nostri confini. Vorrei provare a fare 3 esempi, per tentare di spiegare questa asserzione. Il confine meridionale dell'Europa è diventato il Sahel. Segnalo - lo sa il sottosegretario Mulè - che nel Mali, nel lontano Mali, pochi giorni fa, si è tenuta una clamorosa manifestazione anti francese e pro russa: dovrebbe dirci qualcosa, questo fenomeno. L'Africa è neocolonizzata, soprattutto da potenze autocratiche o dittatoriali, come la Cina e come la Russia, per il controllo delle materie prime e delle terre rare, senza le quali la nostra scommessa tecnologica resterebbe al palo; nessuno di noi avrebbe in tasca uno strumento come questo, senza il controllo e il dominio di quelle materie prime che derivano dall'Africa. E ci dimentichiamo troppo spesso che il nostro benessere oggi è garantito dall'esistenza e dalla sicurezza di snodi delicatissimi per la nostra economia, che sono lontani da noi, ma che si chiamano Suez, Gibuti, Hormuz, Malacca, Golfo di Guinea; poi ce ne accorgiamo quando un container blocca lo stretto di Suez o qualche pirata attacca qualche nave; per non arrivare al Mediterraneo: un mare sempre più elemento di congiunzione e di tensione, un mare sempre più difficile e sempre più pericoloso, un mare sempre meno mare nostrum.

Noi abbiamo guardato - nel corso di questi decenni, negli scorsi decenni, talvolta spesso con preoccupazione, a volte anche con paura, penso alla stagione degli SS-20 - ad est. E oggi, forse, dovremmo renderci conto che quell'est è scivolato a sud. E quello che allora ci preoccupava, oggi sta dentro di noi, sotto di noi, attorno a noi. Non ci rendiamo forse conto che la Russia ha raggiunto un obiettivo secolare, quello che veniva definito fin dal tempo degli Zar “l'approdo ai mari caldi”: oggi la Russia è in Siria, oggi la Russia è in Libia, oggi la Turchia punta a ricostruire il neo Impero ottomano da Tripoli a Costantinopoli.

E il terzo elemento, la terza riflessione, dicevo, è: su questo noi possiamo far finta di nulla? Possiamo guardare? È il terzo elemento. Questa è una questione di sicurezza nazionale, questo voto è una questione di sicurezza nazionale. E la sicurezza nazionale è un obiettivo fondamentale di uno Stato, e in democrazia uno Stato deve coniugare i princìpi di sicurezza con i princìpi di umanità: laddove uno Stato contrapponga il principio di umanità con il principio di sicurezza, lì troviamo la cartina al tornasole che quello Stato non è più uno Stato democratico o non è uno Stato democratico.

Noi ci troviamo ad avere, non nelle porte di casa, in casa, perché noi siamo immersi nel Mediterraneo, uno straordinario scontro storico, perché oggi il tema chiave è il confronto tra quali modelli politici governeranno questa transizione.

Saranno le democrazie rappresentative? Saranno le democrazie illiberali, che pure trovano ospitalità all'interno dell'Unione europea? O saranno le autocrazie asiatiche? O saranno le dittature? È per questo che noi diciamo che è all'Europa che spetta la guida, sia per quello che l'Europa rappresenta, la culla dei diritti civili, la culla della libertà, il punto di riferimento avanzato delle prospettive della dignità della persona e dei diritti di cittadinanza, ma anche per una dimensione di stazza, mi verrebbe da dire. Non illudiamoci che qualcuno farà il lavoro per noi. Certo, salutiamo con grande soddisfazione la ripresa del dialogo transatlantico, il rapporto finalmente con gli Stati Uniti d'America, che tornano a guardare ad una relazione con l'Europa e con l'Italia, ma non facciamoci illusioni: non sarà lo Zio Sam che ci risolverà i problemi del Mediterraneo.

Ed è per questo che la Libia è una drammatica metafora di tutto ciò. Se noi non la leggiamo da questo punto di vista, ma invertiamo l'analisi, andiamo fuori traiettoria, facciamo esattamente l'errore, a cui faceva riferimento prima il presidente Fassino, tra chi guarda il dito che indica la luna e chi invece vuole guardare la luna che c'è dietro il dito. Oggi la Libia è il terreno di incrocio, di scontro, di confronto tra modelli politici e tra fenomeni epocali, il tema delle migrazioni, dei migranti climatici, dei migranti economici. E sotto o dentro la Libia c'è quella che qualche acuto osservatore ha definito “Caoslandia”, cioè quel triangolo fra Tripoli, Gibuti e il Golfo di Guinea in cui non si capisce realmente chi comanda, in cui non esistono più le entità statuali, in cui la dimensione delle relazioni umane è compressa dentro il fatto che il traffico di esseri umani è uno degli elementi della costruzione di una dinamica economica.

Bene, noi abbiamo in questo senso un ruolo storico, l'Italia ha un ruolo storico; e l'Italia non può abdicare alla collocazione nella quale la sua storia, la sua geografia, la sua identità l'hanno posizionata, nella chiarezza delle alleanze e nella convinzione che solo dal dialogo nascano le relazioni internazionali che portano alla pace. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente: insomma, o noi governiamo “Caoslandia” o “Caoslandia” governerà noi, inghiottendoci come se fosse un deserto in espansione. È per questo che noi apprezziamo il lavoro del Governo, ringraziamo il Ministro Guerini, il Ministro Di Maio, al quale va la nostra solidarietà. È per questo che noi riteniamo che dentro la costruzione di questo nuovo ordine mondiale, che ancora non conosciamo, vogliamo e dobbiamo esserci, perché, se noi crediamo ai valori, ai principi e agli ideali che inveriamo, li dobbiamo coerentemente, tenacemente e costantemente testimoniare, e non affidare ad altri.

È stato fatto richiamo, signor Presidente, e concludo, al tema etico. Beh, l'etica ha molte sfaccettature, esiste anche l'etica della responsabilità, oltre che quella della declamazione dei princìpi; e c'è l'importanza anche etica, ne parlava Emmanuel Mounier, delle cause imperfette. Diceva Mounier: ci impegniamo sempre in lotte discutibili su cause imperfette. Rifiutarsi per questo, per il fatto che siano imperfette, di impegnarsi sarebbe come rifiutare la condizione umana; e chi non fa politica fa passivamente la politica del potere in carica. In Libia il potere in carica si chiama Erdogan, si chiama Putin. Noi facciamo politica per cambiare e non per consolidare quella situazione.