Data: 
Giovedì, 20 Aprile, 2023
Nome: 
Roberto Morassut

Grazie, Presidente. Stefano e Virgilio Mattei, un bambino di 8 anni e un giovane di 22, morirono il 16 aprile 1973, a causa di un attentato di un commando di Potere Operaio. La famiglia Mattei era una famiglia proletaria, che viveva in una casa popolare, sei figli e due genitori, in poche stanze, a Primavalle, una borgata dura. Mario Mattei, il papà, era netturbino ed era il segretario della sezione del Movimento Sociale Italiano della borgata. Per questa colpa, alle 3 di notte di quel giorno, fu incendiata la porta di casa e, poi, l'intera abitazione dei Mattei. Parte della famiglia si salvò, riportando ustioni gravissime o fratture per essersi calata dal balcone di casa, nella disperazione, mentre Stefano e Virgilio non ce la fecero. Una famiglia proletaria, annientata da un commando che professava la rivoluzione proletaria. Non c'è mai stata giustizia per tutto questo, perché, in Cassazione, sebbene fosse stato stabilito il carattere doloso dell'azione incendiaria, fu riconosciuta la prescrizione. Per anni si tentò, con depistaggi, di attribuire la responsabilità di tutto questo a frange interne al Movimento Sociale, a una lotta fra correnti.

Quegli anni sono stati i cascami, la coda dell'odio del Novecento, del totalitarismo del Novecento, cascami di sinistra e di destra, dell'idea che eliminando l'avversario, associandolo al nemico, riducendolo al nulla, si potessero affermare integralmente, meglio e nel modo più limpido le proprie idee. “Niente uomini, niente problemi” diceva Stalin per motivare le sue purghe e le sue stragi. “Provo grande ammirazione per il grande uomo a sud delle Alpi, che… non venne a patti con il suo nemico (…) ma volle annientarlo con ogni mezzo” sostenne Hitler, elogiando Mussolini, all'inizio della sua ascesa. Queste sono state le fonti maledette, speculari e convergenti, degli odi ideologici del Novecento, che anche molto dopo la loro apparente fine hanno continuato a riverberare le loro ombre nei momenti di disgregazione sociale.

Nel 2008, come ricordato dall'onorevole Rampelli, al momento di congedarsi dalla carica di sindaco di Roma, in una manifestazione al PalaEur, Walter Veltroni chiamò sul palco Giampaolo Mattei, il fratello più piccolo della famiglia, e Carla Zappelli, la mamma di Valerio Verbano, ragazzo di sinistra, ucciso a casa sua, davanti agli occhi della madre, a Montesacro, nel 1980. Giampaolo e Carla si abbracciarono per dire a tutti: basta con la violenza politica e con la morte dei troppi giovani, che, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, ma anche dopo, persero la vita per l'odio politico e ideologico. Fu un momento toccante, che nessuno, tra chi era presente, potrà mai dimenticare.

Oggi l'occasione di onorare la memoria dei fratelli Mattei ci permette di ricordare tante altre morti e di condannarle ancora: Valerio Verbano; Paolo Di Nella; Miki Mantakas, che fu ucciso proprio a seguito dei disordini verificatisi dopo il rogo di Primavalle, da coloro che erano stati autori di quello stesso rogo; Walter Rossi, la cui famiglia - con il papà Francesco, di cui sono stato amico, un uomo buono, un romano di cuore, che oggi non c'è più - e i cui compagni di un tempo, ogni 30 settembre, ne ricordano la memoria a piazza Walter Rossi, dove c'è un monumento, che viene continuamente vandalizzato; Ciro Principessa, ucciso il 19 aprile, quasi simbolicamente lo stesso giorno della vicenda di Primavalle. Questa è una circostanza che ci dà anche l'occasione per ricordare i tanti morti del terrorismo rosso e delle stragi fasciste degli anni Settanta e Ottanta, spesso ancora senza colpevoli.

Mi consenta, Presidente, un'ultima riflessione conclusiva. Viviamo un momento difficile. La forma e il contenuto degli odi forse sono cambiati, ma non sono stati cancellati.

Si può ancora uccidere e ammazzare - la cronaca ce lo ricorda costantemente - per odio razziale o religioso, per omofobia, per femminicidio, spesso ne sono autori i minorenni, perché c'è sempre qualcuno che è diverso o inferiore e che può diventare l'imbuto degli odi. L'antidoto da cui trarre la forza per una diversa visione della vita e della società sta nella gigantesca lezione dei Vangeli e nella nostra Costituzione, che nasce da quella lotta di liberazione di cui celebreremo tra pochi giorni il settantottesimo anniversario. Una Costituzione e una Liberazione che hanno reso tutti liberi, anche coloro che hanno combattuto contro di essa, una Costituzione che spesso si è tentato di stravolgere con le parole o con le armi nel corso degli anni, senza riuscirvi, e che deve rimanere la stella polare degli italiani, tutti, senza incubi di sostituzioni etniche.

L'abbraccio che rivolgiamo oggi alla famiglia Mattei è l'abbraccio a tutte le vittime della violenza politica e ideologica di quegli anni, ma è anche l'impegno a non gettare mai più, anche solo con le parole, ognuno di noi, il seme dell'odio contro chiunque sia diverso da noi, perché ogni seme è buono per chi lo cosparge e per la terra su cui ricade, come ci ricorda una delle più belle parabole della vita di Gesù.