Discussione generale
Data: 
Lunedì, 27 Giugno, 2022
Nome: 
Rosa Maria Di Giorgi

A.C. 3656

 

Grazie signor Presidente. Il decreto-legge n. 36 del 2022 è un provvedimento di grande rilievo perché contiene misure davvero significative per l'attuazione del PNRR.

Al Senato il provvedimento è stato esaminato in sede referente dalle Commissioni riunite I e VII. Le disposizioni del decreto riguardano diversi settori di intervento corrispondenti alle diverse missioni del PNRR: pubblica amministrazione, università e ricerca; ambiente, fonti rinnovabili, efficientamento energetico e salute; transizione digitale; infrastrutture, beni culturali, zone economiche speciali e zone logistiche semplificate; turismo; giustizia; istruzione e sport.

In questa sede mi soffermerò sui principali contenuti delle disposizioni di competenza della Commissione VII, quindi in particolare università, ricerca e alta formazione e istruzione, considerando che in questo decreto è contenuta una delle riforme più importanti per la scuola italiana, quella relativa al reclutamento e alla formazione degli insegnanti, l'istituzione della Scuola di alta formazione e, per il MUR, una parte della riforma del reclutamento per l'università, uno stralcio che anticipa la legge che disciplinerà la materia, già approvata alla Camera, ma ancora in discussione al Senato. Si tratta della definizione della figura del ricercatore, che diventerà un ruolo a esaurimento e delle norme volte ad abolire gli assegni di ricerca, a favore dei contratti di ricerca, che garantiscono tutele e migliore retribuzione ai giovani ricercatori in formazione.

Quindi un decreto questo di grande rilievo per il mondo della formazione e dell'alta formazione.

Colgo l'occasione, Presidente, visto che non si parla spesso di Istruzione in questa Aula, per informare i colleghi sullo stato di attuazione delle riforme per la scuola su cui l'Italia si è impegnata. Sono 6, come forse ricorderete.

Oltre al reclutamento e alla Scuola di alta formazione, la riforma degli ITS, gli istituti tecnici superiori, già conclusa, e infatti manca solo un passaggio senza modifiche qui alla Camera, proposta dal Parlamento e condivisa con il Ministro Bianchi.

È in fase avanzata di definizione la riforma dell'orientamento scolastico, altra importante riforma PNRR per supportare gli studenti nella scelta del loro percorso di studi, per valorizzare le materie STEM e per provare a recuperare i NEET, di cui mai parleremo abbastanza, ossia giovani che non studiano e che non lavorano e che sono nel nostro Paese, Presidente, oltre due milioni nella fascia 14-25 anni.

Sono state avviate anche le altre due riforme del pacchetto PNRR scuola. Quella dell'istruzione tecnica e professionale (si parla qui di scuola secondaria, niente a che vedere con gli ITS che sono formazione terziaria, ossia dopo il conseguimento del diploma). Questa riforma deve allineare il curriculum di questi istituti di scuola secondaria, appunto, alla domanda di competenze che proviene dal tessuto produttivo del paese e presumibilmente sarà sottoposta al Parlamento in autunno, così come l'ultima riforma, quella relativa alla riorganizzazione della scuola, con il nuovo dimensionamento e le indicazioni rispetto ai parametri numerici degli studenti, le reti di scuole e quanto concerne un nuovo modello di scuola orientato a rispondere alle esigenze dei territori.

Un'altra osservazione preliminare non posso evitare di sottoporre all'attenzione dell'Aula, signor Presidente, ossia lo stupore per quanto accaduto al Senato in merito alle coperture di questo decreto in materia di scuola. Si è verificato un fatto mai accaduto prima, ossia che siano state cambiate le coperture a decreto già bollinato in Commissione Bilancio. Questo ha determinato di fatto un taglio al numero degli insegnanti per i prossimi 10 anni sulla base di previsioni non confermabili a breve periodo. Credo che si dovrà rapidamente provvedere a sanare questo strappo per il buon andamento delle relazioni fra Governo e Parlamento.

Ma torniamo al decreto. Non è facile intervenire negli assetti del sistema scolastico, ma la sfida che ci è proposta dal PNRR ci coinvolge e ci stimola a fare il meglio per i nostri giovani. Una scuola con docenti preparati, ben selezionati e, molto importante, ben retribuiti, è una scuola che ci aiuta ad affrontare il futuro e che dà speranza alle giovani generazioni. Avremmo voluto di più, soprattutto in merito alle risorse per il finanziamento di questo filone di intervento che interessa la parte viva, il personale della scuola. Faremo di tutto per averle le risorse necessarie, ma questo decreto è un buon inizio per quanto riguarda la riorganizzazione dei percorsi formativi e dell'accesso all'insegnamento.

Noi siamo l'unico Paese, dopo la cancellazione del FIT (Formazione iniziale tirocinio), da noi introdotto nella “Buona Scuola”, poi eliminato dal Ministro Bussetti, che non ha alcun tipo di formazione degli insegnanti. Il concetto, di origine gentiliana, è che “chi sa, sa anche insegnare”. Assunto questo smentito dalla letteratura internazionale e nazionale.

Il decreto reintroduce un percorso per acquisire le competenze professionalizzanti di base e su questo il Partito Democratico è d'accordo con il Ministro Bianchi, che qui voglio ringraziare per la passione e per l'impegno profuso in questi passaggi così delicati della riforma del sistema scolastico nazionale.

Noi abbiamo cercato, con i nostri emendamenti in Senato, accolti dalla maggioranza, di rendere questo percorso realmente formativo e non una somma di CFU, però bisogna chiarirsi definitivamente sul fatto che la formazione degli insegnanti sia importante (oppure no). Noi riteniamo che lo sia e che sia necessario investire su questo aspetto risorse e intelligenze. Non tutto il Governo, escluso il Ministero dell'Istruzione, sembra condividere questa opinione e la fatica per destinare le necessarie risorse ne è la prova. Ed è proprio su questo aspetto delle risorse che ancora una volta l'intervento è deludente e questo lo diciamo con chiarezza al Presidente del Consiglio con il quale ci ripromettiamo di interloquire durante le fasi preparatorie della legge di bilancio, in cui sarà necessario recuperare alcuni aspetti connessi al finanziamento permanente di queste misure negli anni a venire.

Il nuovo modello di reclutamento ha l'obiettivo di migliorare la qualità del sistema educativo, di conseguenza l'impegno assunto in questo decreto è quello di introdurre requisiti più rigorosi per l'accesso all'insegnamento, la limitazione dell'eccessiva mobilità e la valorizzazione, ai fini della progressione di carriera, della valutazione delle prestazioni e dello sviluppo professionale continuo.

Si prevede un percorso universitario o accademico abilitante, corrispondente a non meno di 60 crediti formativi universitari (CFU) o accademici (CFA), deve contemplare un periodo di tirocinio e concludersi con una prova finale articolata in una verifica scritta e una lezione simulata.

La finalità, che noi condividiamo, è quella di elevare la qualificazione professionale dei docenti delle scuole secondarie basandola su un modello formativo strutturato e raccordato tra le università, le istituzioni AFAM e le scuole.

Il nuovo percorso ha l'obiettivo di sviluppare e di accertare nei futuri docenti ciò che è necessario per realizzare una scuola diversa, più inclusiva, più coinvolgente, quindi le competenze culturali, disciplinari, pedagogiche, psicopedagogiche, didattiche e metodologiche, specie quelle dell'inclusione e della partecipazione degli studenti rispetto ai nuclei basilari dei saperi e ai traguardi di competenza fissati per gli studenti stessi.

La formazione iniziale è completata dalla formazione continua obbligatoria e dalla formazione continua (e incentivata) dei docenti di ruolo.

Per la realizzazione di tale obiettivo si istituisce la Scuola di alta formazione dell'istruzione, ecco l'altra riforma, che, operando in stretto raccordo con le istituzioni scolastiche, per un verso, indirizza lo sviluppo delle attività formative del personale scolastico e, per l'altro, indica e aggiorna le esigenze della formazione iniziale degli insegnanti. Tutto questo con il coinvolgimento essenziale di INDIRE, l'Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca del Ministero dell'Istruzione e dell'INVALSI.

La formazione iniziale, in particolare, è finalizzata all'acquisizione di elevate competenze linguistiche e digitali, nonché di conoscenze e competenze teoriche e pratiche inerenti allo sviluppo e alla valorizzazione della professione del docente negli ambiti pedagogico, psicopedagogico, didattico, delle metodologie e tecnologie didattiche applicate alle discipline di riferimento e delle discipline volte a realizzare una scuola di qualità e basata sui principi dell'inclusione e dell'eguaglianza, con particolare attenzione al benessere psicofisico ed educativo degli allievi con disabilità e degli alunni con bisogni educativi speciali. Tutto questo trova una condivisione convinta nel nostro gruppo politico.

È una scuola moderna quella che prende forma in questo decreto, una scuola che ha ambizioni grazie ai fondi del PNRR, una scuola che vogliamo pronta a rispondere alle sollecitazioni di un mondo complesso, pronta a dare risposte a ragazzi che si confrontano con una realtà che spesso li respinge, con protezioni sempre minori e con sicurezze sempre meno garantite a causa di un'evoluzione troppo convulsa dell'economia, della globalizzazione, della rivoluzione tecnologica, delle crisi sociali e ambientali e anche di valori. Fare l'insegnante è sempre più difficile, perché il mondo cambia velocemente e anche i ragazzi cambiano, di anno in anno, hanno antenne sensibili, hanno bisogno di risposte, risposte che gli adulti, le famiglie, non hanno neanche per se stessi. È questa la sfida del docente. Ciò che serve è dare ai giovani gli strumenti per interpretare, per capire, per pensare, per scegliere. Non risposte, ma metodo. E se questo era necessario farlo per altre generazioni, in un mondo che comunque era più statico e meno vorticoso, certamente è la base del nuovo modello pedagogico che dobbiamo proporre ai nostri studenti.

Questa riforma ci prova e, nonostante le carenze che comunque sono inevitabili in un contesto così complesso, tuttavia dà alcune risposte. La grande carenza, come vedremo è determinata dalle risorse, troppo poche, sempre. Non si risparmia sulla scuola vorrei dire al Presidente del Consiglio e al Ministro dell'Economia, pena la marginalizzazione del nostro sistema scolastico e, cosa molto grave, l'insoddisfazione del nostro corpo docente. Su questo il Partito Democratico ha convinzioni ben consolidate e ci ripromettiamo di colmare le carenze di questo decreto nella prossima legge di bilancio.

Con questa riforma in questo decreto, signor Presidente, chiediamo molto ai nostri docenti. Anche troppo, dicono i sindacati. Richiediamo uno sforzo ulteriore di formazione, oltre a quella prevista per l'accesso, di acquisizione di competenze, di impegno continuo per garantire ai nostri studenti una scuola innovativa e di qualità in grado di renderli competitivi con gli studenti degli altri paesi europei. Se questo è un dato acquisito, allora dobbiamo fare di più. Non ci possono essere scappatoie.

Alcuni dati, signor Presidente che meglio di qualsiasi frase danno la misura del nostro ritardo rispetto all' Europa. L'ultimo rapporto promosso dall'OCSE, che analizza e confronta i sistemi scolastici dei principali paesi d'Europa e del mondo conferma il dato negativo delle retribuzioni degli insegnanti italiani che risultano essere molto distanti rispetto a quelle dei colleghi degli altri paesi.

Queste differenze sono presenti ed evidenti in tutti i gradi di istruzione, dalla scuola dell'infanzia alle scuole superiori. Nella scuola primaria la differenza tra lo stipendio medio annuo di un docente italiano e quello degli omologhi docenti dell'area OCSE è in media del 15 per cento inferiore e altrettanto evidenti sono le differenze per i docenti della scuola media: in Italia l'insegnante percepisce il 13 per cento in meno rispetto ai colleghi dei paesi OCSE e il 12 per cento in meno rispetto ai colleghi dei paesi europei. Anche i docenti delle scuole superiori in Italia percepiscono il 14 per cento in meno rispetto ai docenti dei paesGAPi OCSE e il 13 per cento in meno rispetto ai docenti europei.

Il rapporto dell'OCSE non si limita ai confronti internazionali, ma offre anche una significativa comparazione all'interno dello stesso paese tra gli stipendi dei docenti e quello dei lavoratori con pari livello d'istruzione. L'insegnamento nei diversi gradi di scuola necessita del diploma di laurea, pertanto, lo stipendio degli insegnanti è stato confrontato con la retribuzione di altri professionisti con il medesimo titolo d'istruzione universitaria e dal confronto emerge che in Italia, a parità di titolo di studio, gli insegnanti risultano retribuiti molto meno.

Ricordo, oltretutto, signor Presidente, che il settore è ancora in attesa del rinnovo del contratto nazionale di lavoro per il triennio 2019/2021, scaduto ormai da tre anni. Aggiungere altro? Non serve.

Ecco, rispetto a questo scenario che non ha certo bisogno di commento, mi sembra logico e perfino dovuto che il Governo prenda un preciso indirizzo in questa direzione, indirizzo che ancora non vediamo così condiviso in certi ambienti del Governo, così pronti a richiedere impegni, e poco disponibili a prendere atto della situazione di grave disagio dei nostri insegnanti che spesso appaiono disincentivati e ingiustamente sottovalutati.

Il Partito Democratico su questo punto ha da molto tempo maturato l'urgenza di un cambiamento. Per la scuola servono risorse, la scuola ha bisogno di essere considerata al centro delle azioni volte allo sviluppo del Paese.

Mi si dirà che molti sono i milioni di euro destinati a queste missioni nel PNRR, ma la nostra richiesta non è su infrastrutture e organizzazione, per carità, più che necessarie.

Noi richiediamo un impegno eccezionale, sì, eccezionale del Governo per coprire questo vergognoso gap che ci colloca fra gli Stati meno credibili in merito alla valorizzazione degli insegnanti.

A questo voglio aggiungere un altro tema. La formazione non si paga. Ogni azienda si preoccupa della formazione e dell'aggiornamento dei propri dipendenti. Questo deve fare la scuola italiana se si vuole il salto di qualità che è previsto, meritoriamente, nel PNRR.

Cogliamo con soddisfazione alcuni segnali che in questo testo sono presenti attraverso gli incentivi per la formazione, ma certo non può essere sufficiente una misura di questo tipo rispetto alle esigenze di aggiornamento e di formazione specifica che si richiedono agli insegnanti per stare al passo con le nuove tecnologie e con gli scenari della globalizzazione con cui si confrontano quotidianamente.

Uno strumento interessante che era di un qualche aiuto per gli insegnanti era la card del docente che in questo decreto invece, inspiegabilmente, veniva di fatto abolita. Solo una strenua battaglia in Senato da parte dei colleghi della maggioranza ha consentito di salvaguardarla per i prossimi due anni. Non condividiamo affatto questa scelta del Governo, in contraddizione con le iniziative volte a far acquisire ai docenti una sempre maggiore competenza.

Ricordo ai colleghi che cos'è la card, istituita con la “Buona Scuola”, legge 107 del 2015, che anche personalmente contribuii a proporre e far approvare dal Governo di allora.

La carta, dell'importo nominale di euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell'istruzione (allora MIUR), a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione;

Riteniamo che la card vada ripristinata e anche su questo abbiamo un ordine del giorno che richiede coerenza al Governo.

Anche per il settore università e ricerca e alta formazione artistica e musicale (AFAM) il decreto introduce importanti innovazioni e riforme, a partire dall'accesso alla carriera universitaria.

Questo tema è oggetto di una legge, già approvata alla Camera, in discussione al Senato. I tempi del PNNR e la scadenza del 30 giugno hanno indotto la Ministra Messa ad accelerare e stralciare dal provvedimento sul reclutamento all'università la parte relativa alla definizione della figura del ricercatore di tipo A e B che si trasforma qui in un ruolo a esaurimento e all'abolizione degli assegni di ricerca. La stessa Ministra in audizione ha poi riferito che nell'esame del provvedimento relativo al reclutamento si integreranno anche le disposizioni per i ricercatori degli enti pubblici di ricerca con un percorso di carriera analogo, quindi con immissione in ruolo entro sei anni dall'inizio del percorso avendone i titoli ovvero avendo acquisito le prescritte abilitazioni e verifiche.

In questo decreto viene quindi introdotta un'unica figura di ricercatore, con quel meccanismo che è detto di tenure track, cioè con garanzia e certezza di progressione, della durata complessiva di sei anni, ma che può portare al ruolo di professore già a partire dal quarto anno, non appena superata l'abilitazione scientifica. Può essere - questa - una rivoluzione, per tornare ad avere più docenti e più docenti giovani, riducendo i tempi del pre-ruolo attuale.

Altro aspetto significativo, come si è detto, è la cancellazione delle figure precarie, sia quella del ricercatore a tempo determinato, sia soprattutto quella del cosiddetto assegnista di ricerca, figura atipica e intermittente. Nel decreto si cancella questa tipologia di precari e al suo posto viene introdotto un vero contratto di ricerca, con tutte le tutele del lavoro subordinato, a partire da quelle più simboliche ed essenziali: malattia e maternità.

È un contratto finalmente retribuito secondo gli standard europei più avanzati, che dà dignità e tutele, che finalmente dà attuazione alla Carta europea dei ricercatori.

Queste norme segnano un nuovo inizio e possono riappassionare alla ricerca una moltitudine di talenti oggi sfiduciati. È una riforma che non abbandona nessuno, frutto di un intenso lavoro della maggioranza e del Partito oriecratico al Senato. Anzi prevede un periodo transitorio che riconosce l'attività svolta da ricercatori a tempo determinato di tipo A (RTDA) e assegnisti (figure che andranno a scomparire), garantendo loro una riserva del 25 per cento nei prossimi concorsi.

Questo è un punto politico fondamentale, per niente scontato, che aggiunge senso a un provvedimento la cui filosofia è contrastare il precariato.

Si dice da parte di certo mondo accademico che i nuovi contratti avranno un costo eccessivo e che ci saranno meno opportunità per i giovani. Come se non fosse un dovere retribuire il lavoro, come se non fosse un dovere assicurare finalmente tutele e diritti basilari.

Ed è quello che oggi facciamo con questo provvedimento, dando finalmente valore al lavoro della ricerca.

Aggiungo, per chi appare tanto preoccupato, che c'è un modo per non diminuire il numero di contratti. Continuare ad aumentare i fondi per l'università, come avvenuto in questi anni, già dalla scorsa legislatura, con piani straordinari di reclutamento, che vogliamo che già dalla prossima legge di bilancio diventino un grande piano strategico pluriennale, che dia certezze a questo mondo.

E a questo proposito annuncio che il PD presenterà un ordine del giorno per un incremento degli investimenti nel settore in legge di bilancio, per dare stabilità e certezza al sistema, una volta esauriti i fondi del PNRR.

La conversione in legge di questo decreto ha portato importanti novità anche sul tema dell'alta formazione artistica musicale e coreutica che avranno importanti ripercussioni sull'intero sistema.

Se è stata finalmente introdotta la figura del ricercatore per le istituzioni AFAM – quello della ricerca in ambito artistico è un tema su cui ci siamo ampiamente spesi e che fortunatamente è stato del tutto sdoganato – dobbiamo rilevare tuttavia che le coperture finanziare per la ricerca artistica sono ancora assenti: i ricercatori potranno sì fare ricerca e insegnare per il 50 per cento dell'orario, ma è impensabile che queste nuove figure di ricercatori debbano essere acquisite a costo zero e solo a prezzo di conversioni di cattedre.

Quindi nei prossimi provvedimenti dovremo rivedere alcune scelte fatte qui che risultano ancora insufficienti.

È molto positivo, devo rilevare, che le istituzioni di alta formazione artistica possano finalmente ricorrere ai “contratti di ricerca”, ma il loro sostegno però è esclusivamente legato al ricorso «a finanziamenti esterni a totale copertura dei costi della posizione». In altre parole, per attivare un contratto di questo tipo sarà necessario prima trovare uno sponsor, cosa che non è garantita in modo uniforme in tutto il territorio nazionale e che spesso è di difficile attuazione. Quindi ancora una volta buone idee, ma purtroppo non sufficienti risorse da parte del Governo.

L'ultimo punto che riguarda l'alta formazione artistica è probabilmente quello più dirimente: si va verso un cambio delle regole sulla mobilità che dovrebbero diventare più simili a quelle del mondo universitario. Siamo in attesa del nuovo regolamento sul reclutamento che, secondo quanto ampiamente previsto e preannunciato, traghetterà il comparto verso il segmento universitario in modo ancora più compiuto, assorbendone nel complesso le regole e le dinamiche.

Si è lavorato molto negli ultimi tempi sulla qualità e sulla valutazione (abbiamo investito anche economicamente sui nuclei di valutazione). Adesso però bisogna fare di tutto affinché le istituzioni siano messe nelle condizioni di poter esser valutate positivamente con gli strumenti adeguati. Affinché la docenza sia realmente e correttamente valorizzata, e quindi valutata positivamente, è necessario risolvere una volta per tutte alcune questioni ancora irrisolte, prima fra tutte la perequazione economica della docenza.

Non si può pensare ad un modello di allineamento solo “parziale” al sistema universitario, che riguardi esclusivamente la tipologia di titoli rilasciati, l'autonomia, il diritto allo studio degli studenti, il sistema dei crediti formativi, la normativa sull'edilizia, il sistema di valutazione, la qualità e, a breve, la mobilità.... ed escluda, invece, altri aspetti, come per esempio la valorizzazione della docenza attraverso una più congrua retribuzione.

Su questo aspetto il Partito Democratico presenterà un ordine del giorno e lavorerà perché in legge di bilancio si trovino le risorse necessarie a ridurre questo gap non più tollerabile.

Le scelte operate, come è evidente a tutti, imprimono una decisa svolta alle modalità di inserimento dei ricercatori nel sistema dell'Università.

Novità nell'immediato sostenute dagli investimenti straordinari PNRR.

L'impegno che dobbiamo assumere Onorevoli colleghi, oltre a rispettare i tempi previsti dal PNRR, e quello di completare gli interventi di riforma con l'approvazione del disegno di legge parlamentare assicurandone la sostenibilità e utilizzando le risorse disponibili.

A questo proposito ricordo che la legge di bilancio ha destinato quaranta milioni per progressioni di carriera di ricercatori e tecnologi di ruolo negli enti pubblici di ricerca vigilati dal MUR fermi da anni. Tali risorse sono vincolate alla riforma del pre-ruolo e devono essere rese disponibili quanto prima.

Siamo in un momento di passaggio delicato in quanto gli investimenti e le riforme avviate, per avere effetti strutturali, richiedono ulteriori azioni.

Ne posso immaginare almeno tre.

La prima è terminare nel corso della legislatura il processo di riforma della legislazione sul pre-ruolo, comprendendo anche le disposizioni previste per gli Enti pubblici di ricerca.

La seconda è dare continuità agli investimenti PNRR con risorse nazionali strutturali, altrimenti le condizioni introdotte potrebbero concorrere a creare nuove e diverse situazioni di precarietà.

La terza condizione non richiede la produzione di regole ma la messa in atto di comportamenti sia nell'ambito dell'autonomia responsabile di Università ed Enti pubblici di ricerca, dove occorre che si promuova un approccio con tolleranza zero rispetto ad un uso non corretto degli strumenti, sia da parte nel del Ministero dell'Università e della ricerca che possa monitorare l'attuazione e l'impatto delle misure, introdurre eventuali correttivi e promuovere comportamenti virtuosi anche con la leva della valutazione.

L'approvazione del disegno di legge di conversione rappresenta una tappa importante per il rafforzamento del sistema dell'Università e della ricerca che genera rilevante valore pubblico. Ringrazio la Ministra per il lavoro svolto e per la sensibilità dimostrata per il Parlamento che dovrà portare a completare il processo di riforma nei prossimi mesi in un'ottica complessiva che includa gli Enti pubblici di ricerca e consenta di dare stabilità alle riforme.

Siamo consapevoli della complessità delle tematiche trattate, della circostanza che non ci possiamo permettere di sbagliare, e dell'esigenza di completare in questo scorcio di legislatura i processi di riforma avviati.

Il PNRR è complesso e deve trasformare il nostro Paese.

Il Governo e il Parlamento non possono perdere questa occasione unica che consentirà di avviare quella transizione necessaria per la nostra crescita. E per raggiungere questo obiettivo è vitale la formazione, la scuola, l'Università e la Ricerca, settori trainanti, senza il cui sviluppo sarà impossibile vincere la sfida che abbiamo davanti a noi. Grazie Presidente.