• 26/06/2019

“In questi giorni c'è giustamente tanta preoccupazione, sgomento, rabbia per le condizioni dei campi in Libia e per la vergognosa vicenda della Sea Watch. Nella confusione e nel rumore della politica, a volte i messaggi importanti si perdono, quindi a scanso di equivoci, ci tengo a dire una cosa: quando in gioco c'è la sofferenza o la vita delle persone, non c'è compromesso che tenga.

La Sea Watch andava fatta sbarcare subito, è inaccettabile tenere 42 disperati in mezzo al mare per due settimane. Ed è terrificante anche solo l'essere arrivati al punto di doverlo dire, e che il loro destino sia segnato dal grande coraggio della capitana della nave, e non dalla umanità del nostro grande Paese.

Né la politica estera, né quella interna, né i giochi elettorali possono mai, mai essere fatti sulla pelle delle persone. E allora i campi in Libia? Quando la gente soffre là ci va bene e facciamo finta di niente? No. I campi in Libia vanno chiusi, senza se e senza ma. Le immagini di torture e violenze le abbiamo viste tutti, sono strazianti. Ciò che succede in Libia non è accettabile per nessuno.

La risoluzione di ieri nasce con l'obiettivo di chiuderli i campi, non di lasciarli aperti, e soprattutto non di delegare alle milizie la nostra politica estera. Questa è sempre stata la posizione del PD, da ben prima di questi giorni. Che è la stessa posizione di altri partiti politici, di tante associazioni, del Papa, delle ONG, dell'ONU.Questi campi esistono dai tempi del Governo Berlusconi, da ben prima della fine del regime di Gheddafi, quando il paese è diventato una tappa per arrivare in Europa.

Il problema, ovviamente, è COME chiuderli. Perché quei campi in Libia non si chiudono con una risoluzione né lavandosi la coscienza con una dichiarazione su Facebook. I campi si chiudono togliendoli dalla gestione delle milizie e affidandone la gestione alle Nazioni Unite. Facendo uscire le persone dai campi attraverso i corridoi umanitari, mandando in Europa chi è titolare di protezione internazionale e rimandando nei paesi di provenienza chi vuole tornare a casa.

Gli accordi firmati dall’Italia e dalla Libia nel 2017 iniziavano a fare proprio questo:

- introducevano per la prima volta una iniziativa umanitaria per verificare e migliorare le condizioni nei campi;

- prevedevano la presenza di UNHCR e OIM e ONG;

- programmavano un corridoio umanitario al mese.

Quindi stracciare quegli accordi significa distruggere l’unico strumento che c’è per monitorare la situazione e difendere i diritti di chi è rinchiuso nei campi. Stracciare gli accordi significa vanificare la speranza di chiudere i campi per sempre. Cosa ne sarebbe delle persone che ora sono dentro quei campi se l'Italia si girasse dall'altra parte? Di certo i campi non sparirebbero, ma rischierebbero di degenerare in condizioni ancora più disumane.  E soprattutto, i campi si chiudono solo con un'iniziativa europea, e solo con dei veri corridoi umanitari che ridistribuiscano chi ha diritto di asilo.  Perché non ci si riesce in Europa? Chiedetelo a Salvini, che in Europa non ci va mai, e ai suoi alleati in Europa che non si prenderebbero neanche uno di quei rifugiati”.

Così in una nota la deputata democratica Lia Quartapelle.