“Il Partito Democratico voterà a favore del ripristino dei nuovi Giochi della Gioventù, manifestazione concepita nel 1968 e le cui prime finali, allo Stadio dei Marmi qui a Roma, risalgono al 29 giugno 1969. Il merito, la genesi e anche il modello che oggi noi riproponiamo nasce grazie alla visione di un dirigente sportivo che si chiamava Giulio Onesti, figura centrale nella storia dello sport italiano e che partecipò attivamente alla lotta contro il regime fascista. La sua esperienza e il suo impegno lo portarono a ricoprire il ruolo di presidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano dal 1946 al 1978. Doveva liquidarlo, il Coni, e invece lo trasformò, con una capacità di auto-riforma radicale, facendo diventare il Coni in un'istituzione autorevole e autonoma. Ci piacerebbe rivederla anche oggi quella capacità di riforma e quel rispetto profondo per l’istituzione. La visione di Giulio Onesti contribuì a fare dell'Italia una potenza sportiva internazionale, lasciando un'eredità indelebile nella storia sportiva e civile del Paese. Oggi, unendo proposte di legge tra cui anche la mia, ripristiniamo una manifestazione che riempie i ricordi di persone in pensione o prossime alla pensione e ne siamo lieti, ma questo non ripaga il debito di attenzione che questo Paese ha accumulato nel corso dei decenni nel rapporto fra scuola e sport”.
Così il deputato democratico e responsabile Sport del Pd, Mauro Berruto, intervenendo in Aula per annunciare il voto favorevole del Gruppo al Ddl Giochi della Gioventù.
“Siamo felici che i nuovi Giochi della Gioventù accolgano un’indicazione frutto di un nostro emendamento al testo base, che farà in modo che fra le discipline proposte alle scuole nei nuovi Giochi della Gioventù ci saranno anche il sitting-volley, il baskin e il rafroball, ovvero quelle discipline sportive dove ragazzi e ragazze normodotati possono competere insieme a ragazzi e ragazze con disabilità motorie, mentali, sensoriali (visiva, uditive) perché questa è la nostra idea di scuola, una scuola capace di tenere insieme abilità e talenti diversi, raccogliere la ricchezza delle differenze e senza lasciare indietro nessuno”.
Così il deputato democratico e responsabile Sport del Pd, Mauro Berruto.
Ci opporremo con fermezza a ddl annunciato
“La Lega costretta a ritirare l’emendamento contro le Soprintendenze. Grazie alla ferma e tempestiva reazione delle opposizioni, il governo ha dovuto imporre il ritiro di un emendamento becero che avrebbe colpito alla radice la tutela del patrimonio culturale e paesaggistico italiano e la pianificazione urbanistica.
Il Partito Democratico si opporrà con la stessa determinazione al Disegno di Legge annunciato, continuando a difendere un sistema di protezione dei territori e del patrimonio che il mondo intero ci invidia.
È sbagliato considerare le Soprintendenze come un ostacolo da aggirare anziché riconoscerne l’importanza fondamentale. Il loro lavoro capillare su tutto il territorio nazionale è essenziale per garantire la salvaguardia della nostra storia, della nostra cultura e dell’identità del Paese.
Il PD continuerà a vigilare e a battersi affinché l’Italia non rinunci a strumenti fondamentali per la tutela del suo patrimonio”. Così una nota dei deputati del Pd della commissione Cultura della Camera.
“Nel corso dell’audizione del ministro Pichetto Fratin avevamo chiesto una discussione ordinata sul nucleare partendo dai risultati dell’indagine conoscitiva. Inoltre, su richiesta della maggioranza di centrodestra tale indagine conoscitiva in Commissione Attività produttive alla Camera è stata prorogata fino al 31 marzo. Evidentemente il ministro ha cambiato idea e presentando un ddl quadro sul nucleare, pensa di fare l'ennesima forzatura che ancora una volta calpesta il ruolo del Parlamento. Rimangono del tutto irrisolti i quesiti che abbiamo sollevato sui tempi e sui costi di un ritorno al nucleare e sulla sicurezza a partire dall’individuazione del deposito delle scorie nucleari”. Così il deputato dem Vinicio Peluffo, capogruppo Pd in Commissione Attività produttive sulla decisione del governo di un disegno di legge quadro sull'energia nucleare entro fine gennaio.
“Il giudizio del Partito Democratico in merito al ddl costituzionale sulla separazione delle carriere è pessimo. Ci siamo opposti e continueremo ad opporci a un provvedimento che è sbagliatissimo. La maggioranza ha assunto un atteggiamento punitivo nei confronti della magistratura. Non è un sospetto: sono le parole degli esponenti di governo a dirlo. Basti ricordare le parole di Matteo Salvini che dopo le sentenze dei giudici sul caso Albania, disse che occorreva mettere mano alla Costituzione e fare la separazione delle carriere. La verità è che è sgradita l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Tuttavia, non esiste una democrazia al mondo che non riconosca il principio e il valore dell'autonomia e dell’indipendenza della magistratura”. Così il deputato dem Federico Gianassi, capogruppo Pd in commissione Giustizia.
“Questa destra – ha aggiunto l’esponente dem - è ossessionata dal furore ideologico. Continua a riproporre battaglie vecchie di 30 anni, mentre tutto il mondo è cambiato. Poiché è assolutamente incapace di guardare al futuro, si rifugia nella bandiera ideologica, in presenza di un comparto della Giustizia che è fragilissimo e che avrebbe bisogno, non di ideologia ma di fatti e azioni concrete. La destra ha appena approvato la manovra di Bilancio che taglia 500 milioni di euro per la giustizia dal 2025 al 2027. Il processo telematico è in tilt, i giudici di pace rinviano le udienze al 2023, il carcere e’ al collasso e di fronte a tutti i problemi della Giustizia il governo si volta dall'altra parte”.
“Questo provvedimento – ha concluso Gianassi - è pericoloso perché cancella il quadro che, sulla Giustizia, avevano saputo fare con grande saggezza i costituenti, ricostruendo l'Italia democratica. Questa riforma cambia norme, che garantivano equilibrio, e introduce una traiettoria molto pericolosa che oggi inizia e che domani può concludersi con la sottomissione del Pubblico Ministero all'esecutivo. Scenari davvero gravi che dobbiamo contrastare. Continueremo la nostra battaglia anche fuori dall'Aula di Montecitorio”.
Non un emendamento, non un intervento su un provvedimento che mette mano alla Costituzione è stato possibile alle opposizioni, ma neppure alla maggioranza: il ddl di riforma costituzionale oggi approvato in prima lettura, è stato votato a colpi di maggioranza senza un vero confronto su un tema delicatissimo come la giustizia. Non si è affrontato nessun vero problema che interessa i cittadini come la durata dei processi o le risorse per il funzionamento. Però con la separazione delle carriere dei magistrati si attacca la loro autonomia e la loro indipendenza, si apre la strada all’assoggettamento del pubblico ministero al potere esecutivo, si persegue un modello che oggi è superato e messo in discussione in molti Paesi. Un altro provvedimento mosso da ideologia e da intento punitivo verso la magistratura. È così che si avvicina l’Italia ai peggiori modelli illiberali amici della Meloni”.
Così in una nota Chiara Braga, capogruppo Pd alla Camera dei Deputati.
“L'estrazione a sorte della componente togata del Consiglio Superiore della magistratura mostra come questo governo abbia una visione opposta a quella che i padri costituenti ebbero nella realizzazione della Costituzione. Allora la scelta fu quella di garantire la tutela democratica e l'autogoverno della magistratura in un percorso che mirava all'autorevolezza del CSM, attraverso l’elezione della compagine togata, la presenza della compagine non togata e l’assegnazione della presidenza al Capo dello Stato. Oggi, con questo provvedimento, il governo ha invece l'ansia di indebolire, contenere e frustrare tale autorevolezza. Una differenza culturale che dimostra la pochezza di questa maggioranza quando si tratta di affrontare questioni costituzionali per le quali l’ansia delle istituzioni dovrebbe essere rivolta all’innalzamento della qualità della democrazia in Italia”. Così il deputato dem Federico Gianassi, capogruppo Pd in Commissione Giustizia, intervenendo in Aula durante la discussione del ddl costituzionale di riforma della giustizia.
"Ancora una volta il Governo si dimostra sordo alle proposte delle opposizioni, per poi riproporle come proprie. È il caso della staffetta generazionale: il ministro Urso ha bocciato le nostre proposte, ma ora porta in Cdm una misura che non si discosta dal disegno di legge che ho presentato come primo firmatario," affermano i democratici Mauro Laus, primo firmatario della proposta di legge per favorire l'assunzione di giovani da parte delle imprese mediante l'accesso volontario al lavoro a tempo parziale da parte di lavoratori prossimi al pensionamento, insieme ai capigruppo dem in commissione Bilancio, Lavoro e Attività produttive della Camera, Ubaldo Pagano, Arturo Scotto e Vinicio Peluffo e ai deputati Marco Sarracino e Emiliano Fossi.
“La staffetta generazionale – sottolineano i democratici - già oggetto di diverse iniziative parlamentari del PD, rappresenta un’importante opportunità per promuovere il ricambio generazionale nel mercato del lavoro, favorendo l’ingresso di giovani lavoratori e accompagnando verso il pensionamento chi è a fine carriera. "Non possiamo che accogliere con favore questa apertura, ma aspettiamo di vedere il testo per valutare i dettagli", aggiungono.
“Per il PD è cruciale che la maggioranza e il governo adottino un atteggiamento aperto durante l’esame parlamentare del disegno di legge: "Sinora – aggiungono i dem - abbiamo assistito a una chiusura totale al confronto, anche su temi di interesse comune come questo. Ci auguriamo che, almeno stavolta, prevalga il dialogo per il bene del Paese."
In precedenti interventi parlamentari, il gruppo del Pd aveva evidenziato l’urgenza di misure strutturali per la flessibilità pensionistica e il riequilibrio generazionale nel mondo del lavoro segnalando anche al presidente della commissione Lavoro della Camera, Walter Rizzetto, di calendarizzare con urgenza la proposta di legge per favorire l'assunzione di giovani da parte delle imprese mediante l'accesso volontario al lavoro a tempo parziale da parte di lavoratori prossimi al pensionamento.
Noi riteniamo che questa riforma non ci appartenga e abbiamo tutti i motivi per dire che siamo contrari, però ci chiediamo perché tenere fuori un principio costituzionale, quello della garanzia della parità di genere, quello che non ci sia discriminazione tra sessi? Perché dire che un principio, come quello della parità di genere, può anche essere fatto con una legge ordinaria? L'idea che si sta dando è che non sia un valore così importante e che ne possiamo fare a meno. L'idea insomma che la Carta costituzionale sia cartastraccia. Per noi non è così, e dato che questo è un governo che viene presieduto da una donna, chiediamo alla maggioranza che di questo principio non si faccia cartastraccia, e che di questo principio si mantenga il rango costituzionale, perché troviamo inaccettabile e intollerabile che proprio su questo ci si dica: si può fare con legge ordinaria.
A tenerla sempre sotto il tappeto, quella parità di genere, prima o poi, non sarà un problema forse per noi che, grazie a quelle donne che si sono sacrificate, oggi siamo qui e possiamo dire quello che pensiamo, ma pensate alle vostre figlie e alle vostre nipoti, perché questi diritti non sono mai scontati e questi diritti, anche oggi, vengono messi costantemente in discussione.
Così la deputata democratica e responsabile nazionale Giustizia del Pd, Debora Serracchiani, intervenendo in Aula.
“La discussione generale sulla riforma della giustizia solo oggi ha avuto la partecipazione in Aula della maggioranza con il collega Sergio Costa. In realtà l'idea generale sul provvedimento l'abbiamo appresa in Tv e soprattutto su Twitter e i social. I problemi della giustizia in Italia sono tanti ma non vengono affatto toccati da questa riforma se non per motivi ideologici: la destra in Aula e in commissione è stata afona, ignorando le numerose perplessità sollevate da autorevoli auditi, gli emendamenti delle opposizioni e i rischi che la riforma comporta, da un’eterogenesi dei fini ad un vero e proprio scardinamento dei principi costituzionali di unitarietà del potere giudiziario, separazione ed equilibrio tra i poteri. La separazione delle carriere viene raccontata come panacea per problemi della giustizia italiana che il testo non tocca affatto. Problemi per cui una legge ordinaria sarebbe stata più che sufficiente. Davanti a noi abbiamo, invece, una riforma costituzionale: mi chiedo quale sia lo scopo reale di questa operazione se non la separazione delle magistrature?” Così la deputata dem Rachele Scarpa intervenendo in Aula sulla discussione del ddl costituzionale di riforma della giustizia.
“Nella legge di bilancio l'esecutivo ha tagliato 500 milioni all'intero comparto giustizia e oggi ci presenta il potere salvifico della separazione delle carriere. Il disegno sotteso è quello avere una magistratura indebolita e sempre più asservita all’esecutivo. Qual è quindi l'onestà intellettuale della discussione che facciamo oggi?”, conclude Scarpa.
“La riforma della giustizia ha ben evidenti due aspetti: è inefficace e dannosa. Parlare di discussione in Aula è un eufemismo perché sono solo le opposizioni che stanno provando a dare proposte migliorative così come è avvenuto in Commissione. Nessun emendamento è stato accolto e nessun intervento della maggioranza è stato fatto. Una riforma blindata è un limite enorme”. Così il deputato dem Marco Lacarra intervenendo in Aula sul ddl costituzionale di riforma della giustizia.
“Per non parlare poi del cosiddetto 'sorteggio' per la nomina dei componenti dei moltiplicati organi di autogoverno della magistratura: uno strumento surreale che forse era più utile utilizzare per i componenti del governo!” conclude Lacarra.
“La domanda che tutti noi dovremmo farci è se questa riforma costituzionale è in grado di rispondere ai tanti problemi, alle tante suggestioni che anche oggi sono emerse in quest'Aula. Occorreva una riforma costituzionale, così come ci viene proposta dal ministro Nordio, per risolvere ed affrontare quelli che sono i problemi della giustizia italiana?
La risposta è no e noi questo dobbiamo dirlo con forza; noi abbiamo ascoltato le varie dichiarazioni che sono state fatte dal Ministro Nordio, in cui addirittura si sostiene come la separazione delle carriere sia consustanziale al processo accusatorio e spesso viene tirato in ballo l'articolo 111 della nostra Costituzione, come se in qualche modo fosse prevista dall'articolo 111 appunto la separazione delle carriere. La nostra Costituzione non vieta che ci sia, ma certo è che le parole di Nordio non corrispondono a verità, quando dice che per applicare in pieno la Carta costituzionale abbiamo bisogno della separazione delle carriere.
In particolare, vorrei soffermarmi sull'aspetto che riguarda la sentenza della Corte costituzionale, n. 37 del 2000, dove si sottolinea come nel nostro Paese esista un unico ordine, un unico Consiglio superiore della magistratura e non esista alcun dettame costituzionale che vieti la separazione delle carriere. Ma quello che state facendo voi, in questo provvedimento non è la separazione delle carriere! Voi state separando la magistratura, che è cosa ben diversa.
È per questo che siamo qui e saltiamo sulla sedia rispetto alle cose che stiamo ascoltando, perché, per separare le carriere, diciamocelo una volta per tutte, non sarebbe stata necessaria una riforma costituzionale. Voi lo avreste potuto fare a Costituzione invariata. Avete avuto la necessità di procedere a una riforma costituzionale, perché quello che state facendo è separare in due la magistratura.
Ed ogni corpo, così come ci viene ricordato dai giuristi - così come accade anche in natura - che viene frazionato, ogni organismo unitario che viene separato, determina generalmente un impoverimento”. Lo ha detto la deputata del Pd, Michela Di Biase, intervenendo in aula sul ddl giustizia.
La premier Meloni sostiene di voler andare avanti spedita sulle riforme, tra cui la separazione delle carriere che servirebbe secondo il governo a rafforzare la terzietà del giudice. In realtà quella che chiamano riforma per la separazione delle carriere dei giudici è la separazione delle magistrature. Un intervento mosso da un intento punitivo nei confronti della magistratura che è autonoma e indipendente ed è ispirato dalla tradizionale ossessione ideologica della destra in materia di giustizia. Si stravolgono così le regole stabilite dai padri costituenti e si finisce per trasformare il PM da organo di giustizia a accusatore seriale, un super-poliziotto tutto teso e improntato allo scontro processuale. Chi si è sottratto al confronto è solo il governo che ha blindato il provvedimento così come è uscito dal Consiglio dei ministri e la sua maggioranza che oggi non è nemmeno intervenuta in Aula per difenderlo. La separazione delle carriere di fatto già esiste per gli interventi degli ultimi anni ma il governo vuole solo dividere gli attori della giurisdizione e il Paese perché non accetta che in una democrazia matura la magistratura è autonoma e indipendente e non è invece chiamata a sostenere e realizzare il programma di governo”.
Così Federico Gianassi, capogruppo Pd in Commissione Giustizia alla Camera intervenendo sul ddl costituzionale Giustizia.
“Sulla giustizia c'è il rischio di diventare dei clericali involontariamente corporativi. Ma entrando nel merito la ragione per cui si fanno le riforme sulla giustizia è per facilitare l'emersione della verità a scapito della verosimiglianza. Ma mentre nel processo ci sono le garanzie per tale emersione, non è così nella fase del procedimento, un 'safari' di cui andrebbero prese le misure per evitare che sia composto da marchingegni studiati per sopprimere ciò che si dice”. Lo dice il deputato dem Luciano D'Alfonso in Aula sul ddl costituzionale di riforma della giustizia.
“È necessario – continua il parlamentare Pd - che le indagini durino di meno e che l'udienza filtro aiuti l'emersione della verità. Dieci anni per accertare la verità sono troppi! Serve l’integrazione e l’attraversamento delle carriere, altroché la loro separazione. Cerco un PM che abbia fatto prima l’avvocato, poi il giudice e poi ancora l’accusatore. Così come ricerco un giudice che abbia fatto l’avvocato, il PM e poi il giuscrivente delle sentenze. La complessità della ricerca della verità richiede l’intero della consapevolezza esperienziale come richiamava Calamandrei. La separazione delle carriere non risolve uno di questi problemi ma genera solo la corporativizzazione e la verticalizzazione tra polizia giudiziaria e pubblico ministero”. “Per l'emersione della verità l'obiettivo è l'intero non la parcellizzazione in un pacchetto di propaganda del governo”, conclude D'Alfonso.