“Nonostante l’aumento dell’occupazione, l'Italia è il paese che ha i tassi di partecipazione al mercato del lavoro più bassi d’Europa, in particolare fra le donne e i giovani. Ma l’Italia in Europa vanta anche il record negativo di avere i salari più bassi d’Europa": è quanto dichiara la vice presidente dei deputati Pd Simona Bonafè intervenendo oggi, martedì 20 maggio a Roma, nel corso del "Meeting Made in Italy - Unire le eccellenze per avere l'eccellenza" organizzato dalla Confederazione Aepi.
"Le nostre imprese devono sostenere elevati costi energetici e gli incentivi sull’innovazione tecnologica per agganciare la rivoluzione verde e digitale, come Industria 5.0, si sono rivelato un flop. Servono politiche industriali efficaci per sostenere realmente le Pmi che rappresentano la spina dorsale produttiva ed occupazionale del paese e l'eccellenza del Made in Italy nel mondo": conclude Simona Bonafè.
Nella relazione dell’Anac, la fotografia di un Paese che mette in difficoltà la lotta alla corruzione, riduce le gare e la concorrenza, aumenta i subappalti a cascata che indeboliscono la sicurezza sul lavoro. E nonostante questo accumula ritardi su attuazione del PNRR.
Lo ha scritto su X Chiara Braga, Capogruppo PD alla Camera dei Deputati.
“Calderone e Salvini ascoltino le parole del Presidente dell’Anac Busia: sono 1448 le violazioni da parte delle imprese delle norme su salute e sicurezza sul lavoro nel 2024 fino ad oggi riscontrate dall’Inl. Numeri spaventosi. Anche perché in crescita dell’87 per cento rispetto al 2022. Significa che le politiche di deregulation, a partire dalla liberalizzazione dei subappalti a cascata come spiega anche Anac, ha contribuito a far crescere il rischio degli incidenti. Serve una risposta immediata, non qualche annuncio. Vanno responsabilizzate le imprese committenti lungo tutta la catena degli appalti. L’occasione dei referendum dell’8 e 9 giugno non va sprecata”.
Così la deputata democratica e responsabile Lavoro del Pd, Cecilia Guerra, e il capogruppo dem in commissione Lavoro alla Camera, Arturo Scotto.
“Con il CdM di ieri il Governo dichiara ufficialmente guerra alla Corte Costituzionale, aprendo un altro gravissimo conflitto tra poteri dello Stato. Nella stesura del DDL delega sui Livelli Essenziali delle Prestazioni, il Ministro Calderoli ha soltanto fatto finta di ascoltare i richiami della Consulta e seguirne le indicazioni. Al contrario, ha presentato un testo che ricalca ostinatamente i profili di incostituzionalità che erano stati rilevati con la sentenza di dicembre. È chiaro, ormai, che Calderoli e la Lega stanno combattendo una battaglia personale contro gli interessi della Repubblica e le istituzioni preposte a garantirne l’unità, nel colpevole silenzio degli alleati di Governo, nazionalisti soltanto nei simboli di partito.”
Così Claudio Stefanazzi, deputato del Partito Democratico, componente della Commissione Finanze a Montecitorio.
“Il testo presentato dal Governo non fa altro che aggirare le censure della Corte, soprattutto su due aspetti cardine: in primis, dettando principi e criteri direttivi oltremodo generici, incapaci di orientare le decisioni su standard che riguardano diritti di primaria importanza per i cittadini; in secondo luogo, mancando ancora una volta di indicare le coperture necessarie per permettere agli enti territoriali di garantire con effettività ed efficacia i servizi e le prestazioni legate ai nuovi LEP. Nei prossimi mesi, e ben prima che la Corte possa intervenire nuovamente, vedremo certamente altre forzature. Perché, occorre ricordarlo, il problema non è soltanto nei criteri e nelle risorse, ma anche nella Commissione tecnica per i fabbisogni standard che svolgerà tutto il lavoro a monte. Una Commissione che soffre di un insopportabile conflitto di interessi, a partire dalla sua Presidente, per anni stretta collaboratrice di Zaia alla Regione Veneto e parte integrante della delegazione che trattò le intese per l’autonomia.”
“Come si può avere un minimo di fiducia verso una classe dirigente che da due anni cerca esplicitamente di dividere il Paese in due? Anche in questo caso e come avvenuto per l’autonomia continueremo a dare battaglia in tutte le sedi, dai tribunali alle piazze. Perché la Repubblica - conclude Stefanazzi - è e deve restare una e indivisibile.”
Appello a tutte le forze politiche per intervenire rapidamente in parlamento
È stata presentata questa mattina alla Camera la proposta di legge a prima firma di Marco Furfaro, responsabile Welfare del Partito Democratico e capogruppo in Commissione Affari Sociali. Il testo, dal titolo “Disposizioni in materia di tutela della salute riproduttiva e di riproduzione medicalmente assistita”, rappresenta un passo importante per la riforma della legge 40, ormai ampiamente superata dalla giurisprudenza e dall’evoluzione scientifica. Una proposta solida, nata da un lungo e approfondito lavoro di confronto con la comunità scientifica, medica e con le realtà civiche, che negli ultimi anni hanno sollecitato con forza un intervento legislativo strutturale.
“La genitorialità non è un privilegio, ma un diritto – ha dichiarato Furfaro –. Non è accettabile che per diventare genitori si debba affrontare una battaglia legale o prendere un aereo per andare all’estero. La Corte Costituzionale ha lanciato un sasso nello stagno chiedendo al Parlamento di discutere e intervenire. Del resto, la legge 40 era nata vecchia e necessita oggi di un aggiornamento.
Lancio un appello a tutte le forze parlamentari: è il momento di avviare un esame serio e costruttivo, guidato dalla scienza, non dai pregiudizi ideologici. Abbiamo il dovere di dare risposte concrete a milioni di persone che affrontano un percorso a ostacoli. Non intervenire è indegno per un Paese civile.”
Il testo — che recepisce le proposte della SIRU (Società Italiana della Riproduzione Umana) — definisce principi e diritti fondamentali, rafforza norme centrali come quelle sul Servizio Sanitario Nazionale, sull’interruzione volontaria di gravidanza e sul ruolo dei consultori. Garantisce il riconoscimento della soggettività delle persone coinvolte nei percorsi di PMA, tutela il nato e il nascituro, chiarisce le regole sulla crioconservazione, sulla donazione alla ricerca, e consolida il ruolo della comunità scientifica nella definizione delle politiche pubbliche in materia di salute riproduttiva.
“La proposta – ha aggiunto Furfaro - rappresenta anche una risposta chiara ai moniti della Corte Costituzionale, ribadendo il dovere del Parlamento di affrontare con serietà una questione che riguarda la salute, i diritti e la dignità di migliaia di persone”. Durante la conferenza stampa di presentazione è intervenuta anche Marina Sereni, responsabile Sanità del Partito Democratico, che ha sottolineato: “Troppe famiglie – ha detto Sereni - si trovano ancora intrappolate nei limiti della legge 40: dai LEA non applicati alle liste d’attesa interminabili, fino ai costi proibitivi. La procreazione medicalmente assistita deve essere riconosciuta come un diritto esigibile nel sistema sanitario pubblico e resa accessibile in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.
Ma per farlo servono risorse, personale e una strategia seria per rilanciare i consultori — che dovrebbero essere uno ogni 20.000 abitanti, mentre oggi ne abbiamo uno ogni 35.000 — e per affrontare le vere cause della denatalità, come la precarietà, la carenza di servizi e il mancato sostegno alle giovani coppie.”
“Il Partito Democratico – conclude Furfaro – chiede alla maggioranza e al Governo di assumersi finalmente la responsabilità di agire: non è credibile invocare la natalità senza intervenire concretamente sulla salute riproduttiva, sull’equità di accesso e sulla qualità dell’assistenza. La proposta elaborata da SIRU, sostenuta da operatori, organizzazioni scientifiche e civiche, è un testo maturo, serio e ambizioso. È il momento di aprire una discussione parlamentare vera, all’altezza del tema e delle numerose persone coinvolte”.
Il voto per i referendum dell’8 e 9 giugno non è solo un diritto-dovere, è l’occasione per riportare al centro il lavoro, chiedere che sia meno precario e più sicuro. È lo strumento più potente in mano alle cittadine e ai cittadini. Usiamolo. Oggi in piazza a Roma per 5 SÌ.
Lo ha scritto su X Chiara Braga, Capogruppo Pd alla Camera dei Deputati.
"L'integrazione del bando Home Care da parte dell'Inps recupera, anche se solo in parte, gli errori fatti nella prima edizione del bando e che avevamo denunciato con un'interrogazione firmata insieme ai colleghi parlamentari Scotto, Furfaro, Girelli, Malavasi, Vaccari." Lo scrive in una nota il parlamentare del Partito Democratico Silvio Lai che, facendo seguito anche alle richieste di intervento da parte dell'Anci, aveva chiesto l'intervento del Governo e la convocazione in audizione in Commissione Lavoro del presidente dell'Inps.
"Di sicuro – afferma Lai – attraverso l'integrazione del bando che recupera la possibilità di garantire i servizi per gli OSS, che prima erano esclusi, oltre a fare giustizia tutela in maniera adeguata competenze professionali riconosciute da diplomi formativi regionali e nazionali. Risolve, inoltre, il problema dell'impatto sull'occupazione per numerose cooperative in tutta Italia. Erano state infatti molte le denunce provenienti dalla Sardegna, dall'Umbria e dalla Toscana, sugli effetti distorsivi causati dall'esclusione di queste professioni e sui danni conseguenti subiti dalle famiglie con la prima versione del bando. Ricordiamo, infatti, che il progetto Home Care è un'importante misura di integrazione assicurativa sociosanitaria garantita ai dipendenti pubblici."
"Siamo soddisfatti – prosegue il parlamentare dem – che il nostro intervento abbia fatto cambiare idea all'Inps, tuttavia resta il mancato riconoscimento delle attività dei caregivers, quelle figure familiari indispensabili in alcuni territori per assistere persone non autosufficienti ma che non richiedono interventi di integrazione sociosanitaria o sanitaria tout court. Sarebbe bene, a nostro avviso, che l'Inps rivedesse il bando anche recuperando i caregivers sui quali si stanno facendo passi avanti anche nel dibattito sulla legislazione nazionale, riconoscendo funzioni di cura all'interno delle famiglie, senza le quali molti nuclei familiari non potrebbero sopportare il carico della non autosufficienza. Per questo, con un'ulteriore interrogazione, chiederemo al Ministro Calderone quale sia la sua posizione e se non intenda intervenire nei confronti dell'Inps per modificare ulteriormente il bando."
“Lo dico con chiarezza: voterò cinque Sì non per disciplina, non per appartenenza. Ma perché credo che il lavoro non sia solo una voce economica. È il primo strumento di libertà, giustizia e dignità. E se oggi una persona può lavorare e restare povera, non comprare casa, non costruirsi un futuro, non mettere al mondo un figlio, allora non c’è altra priorità politica che questa. Mi è chiaro che i cambiamenti più profondi vanno conquistati nelle sedi istituzionali. Ma so anche che serve un segnale. Una presa di posizione. E questo referendum può essere tutto questo: una risposta a chi da troppo tempo vive nel limbo dell’attesa, nell’assenza di tutele, nella precarietà elevata a sistema. Sui primi tre quesiti, licenziamenti, tutele nelle piccole imprese, contratti a termine, non mi nascondo: non li considero risolutivi. Non cambiano da soli le sorti della nostra economia. Ma pongono un punto politico: ci ricordano che la precarietà non è una fase, è diventata una condizione permanente per milioni di persone. La segretaria Schlein ha voluto portare il Partito Democratico accanto a chi lavora, accanto a chi non ce la fa, accanto a chi è troppo spesso invisibile. Non è stato un gesto di radicalismo. È stato un gesto di responsabilità. E io, pur venendo da un’altra cultura politica, mi riconosco in questa scelta”.
Così il deputato democratico torinese e presidente di “Identità Riformista”, Mauro Laus.
“Ieri la trasmissione Piazza Pulita ha dedicato dieci minuti di servizio alla ministra Calderone e ai suoi potenziali conflitti di interesse. Come al solito la ministra ha evitato di rispondere alle domande dei giornalisti. Come già accaduto in Parlamento due mesi fa in merito al suo percorso universitario e agli esami sostenuti la domenica nell’Università privata Link. Addirittura la sua scorta ha allontanato in malo modo l’inviato de La 7 che chiedeva di poter porre delle semplici domande a Calderone in merito al suo percorso universitario. La scorta si è poi difesa dicendo che stava rispettando semplicemente il protocollo. Non ci risulta che queste siano le regole di ingaggio delle forze dell’ordine quando un cronista prova a fare il suo mestiere. Torniamo a chiedere alla ministra Calderone di confrontarsi con la stampa e con il Parlamento”.
Così il capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera, Arturo Scotto.
"Non è accettabile che, in Commissione Lavoro, il Ministero del Lavoro anche la prossima settimana non venga a rispondere alle interrogazioni dei parlamentari. Sono giorni e giorni di latitanza rispetto a questioni enormi che riguardano vertenze di lavoro impegnative aperte. I lavoratori aspettano risposte e dal Governo solo silenzio. Chiediamo al Presidente della Commissione Lavoro, Walter Rizzetto, di farsi sentire, non siamo una dependance dell’esecutivo". Così il deputato Arturo Scotto, capogruppo PD in Commissione Lavoro a Montecitorio.
"L’approvazione dell’emendamento che impone agli italiani discendenti da famiglie emigrate da generazioni, l’obbligo di certificare la conoscenza della lingua italiana entro termini perentori, pena la perdita della cittadinanza, rappresenta un insulto intollerabile a una parte vitale della nostra comunità nazionale. Secondo questa norma assurda, un cittadino italiano maggiorenne, nato e residente all’estero, con genitori o nonni nati anch’essi all’estero e titolare di altra cittadinanza, dovrà dimostrare, entro 3 anni dall’entrata in vigore della legge, di possedere una conoscenza della lingua italiana almeno a livello B1. In caso contrario, la conseguenza sarà la perdita automatica della cittadinanza italiana. Nel caso di cittadini minorenni, la certificazione linguistica dovrà essere presentata entro il compimento del 25° anno di età, altrimenti scatterà la decadenza della cittadinanza. Un obbligo che solo gli over 70 o le persone affette da disabilità permanente potranno evitare. Con questa norma ingiusta e discriminatoria si intende colpire cittadini italiani a tutti gli effetti, non aspiranti tali, cancellando con un colpo di spugna la memoria, l’identità, i legami affettivi e culturali che da sempre tengono unita l’Italia alle sue comunità nel mondo. È una misura punitiva che ignora totalmente la storia delle nostre emigrazioni e che intende spezzare la catena della trasmissione della cittadinanza per discendenza, indebolendo così la presenza dell’Italia in quelle terre dove i nostri connazionali hanno scritto pagine straordinarie di sacrificio, lavoro, cultura e solidarietà. Non solo. Siamo davanti a un provvedimento che, oltre a essere culturalmente inaccettabile e politicamente miope, rischia di gravare pesantemente sull’amministrazione pubblica italiana, chiamata a gestire una mole enorme di verifiche e certificazioni con costi insostenibili, aprendo anche la strada al proliferare di pratiche irregolari e mercati paralleli della certificazione linguistica. La verità è che con questo emendamento si manda un messaggio chiaro e pericoloso: gli italiani all’estero sono considerati cittadini di serie B, da allontanare, da escludere, da marginalizzare. È una visione retrograda e profondamente ingiusta che respingiamo con forza e determinazione. Daremo battaglia in tutte le sedi parlamentari e istituzionali. Non staremo a guardare mentre si cerca di cancellare la dignità, la storia e l’identità degli italiani nel mondo. Difendere i nostri connazionali all’estero significa difendere l’Italia tutta”.
Così il deputato Pd Nicola Carè, eletto nella ripartizione Estero.
Per sapere cosa succede in Albania dobbiamo ricorrere al sindacato ispettivo perché questa vicenda è avvolta da un velo di opacità e di propaganda assoluta. Oggi possiamo fare una riflessione su quanto accaduto in quest’anno sulla storia di questo fallimento. L'obiettivo del governo era di portare in Albania 36.000 migranti: ce ne sono stati 157. Visti i costi stimati che sono di 130 milioni all'anno, il trasporto di ogni singolo migrante è costato un milione di euro che avremmo potuto investire sulla sanità pubblica, sul sociale, sulla sicurezza. Avete spiegato che però servono come deterrenza. Peccato che ieri il ministero dell’Interno ha pubblicato l'aggiornamento dei dati sugli sbarchi in Italia rispetto all'anno scorso: al 14 maggio sono aumentati, quindi l'effetto deterrenza dei centri in Albania ha prodotto l'aumento degli sbarchi nel nostro paese. Secondo capolavoro di questo governo. Visto il fallimento, avete avuto l'idea geniale di trasformarli in Cpr e la presidente Meloni l'altro giorno con grande enfasi ha annunciato che il 25% di coloro che abbiamo mandato in Albania sono stati già stati rimpatriati. Si tratta di 10 persone che potevano serenamente essere rimpatriati dall'Italia, perché stavano già in Italia con minori costi e anche maggiore rapidità. Viene da chiedere perché non fermate questo enorme spreco di risorse pubbliche. Nemmeno voi credete più a questa sciocchezza ma semplicemente non avete il coraggio di spiegare alla vostra presidenza del Consiglio che ha fallito, e non lo potete fare perché verrebbe meno il castello della vostra propaganda e dovreste fare l'unica cosa che uno statista farebbe: riconoscere di aver sbagliato, chiedere scusa e chiudere questi centri.
Così il deputato del PD, Matteo Orfini, intervenendo in Aula
“Sessanta ore settimanali, stipendi mensili di 700-800 euro, 1,6 euro l’ora di retribuzione. Questo accade in Italia, in una catena di supermercati a Biancavilla in provincia di Catania. I due titolari sono stati arrestati per caporalato. Siamo stanchi di dover commentare queste notizie e di aspettare che intervenga la magistratura. E’ sempre più urgente una legge sul salario minimo che il governo continua a negare in maniera sempre più incomprensibile”.
Così i deputati democratici Arturo Scotto, capogruppo in commissione Lavoro, e Cecilia Guerra, responsabile Lavoro del Pd.
“Quelle pronunciate dal ministro Foti, in audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica, sono parole che pesano come macigni. Il ministro, riferendosi ai territori marginali delle Aree Interne, ha infatti utilizzato espressioni gravissime parlando di spopolamento ‘difficilmente rimediabile’ e presentando uno scenario di probabile desertificazione. Dichiarazioni che lasciano sgomenti e che rappresentano un’ammissione esplicita della resa da parte del governo di fronte alla sfida della coesione territoriale. Se un ministro della Repubblica si lascia andare a simili affermazioni, è evidente che la maggioranza stia praticando una lenta eutanasia ad alcune Aree Interne, accettandone il declino come un destino già scritto, anziché contrastarlo con politiche attive e investimenti strutturali. La destra sta sostanzialmente formalizzando una resa culturale e politica che smentisce anni di lavoro, impegni istituzionali e strategie nazionali per le Aree Interne”.
Così il deputato democratico, Augusto Curti.
La replica della premier Giorgia Meloni proprio non convince Elly Schlein: "Stanno smantellando la sanita' pubblica", dice la segretaria del Partito democratico ad "Avvenire". La segretaria del Pd tiene stretti i due grafici mostrati anche in Aula. E si appella a dati e numeri per contrastare la narrazione meloniana sui temi cari ai dem: "Stanno smantellando la sanita' pubblica senza il coraggio di ammetterlo. Meloni continua a mentire agli italiani dicendo che hanno fatto il piu' grande investimento della storia nella sanita'. Il problema e' che la spesa sanitaria si calcola in tutto il mondo sul Pil. E quella sta scendendo al minimo storico degli ultimi 15 anni. I suoi tagli - rileva Schlein - li stanno pagando direttamente i cittadini, perche' la Corte dei conti dice che nel 2023 la spesa per curarsi e' aumentata del 10 per cento, cioe' di 4 miliardi. Gli stessi che hanno messo sulla riforma fiscale. Tolgono con una mano quello che fingono di dare con l'altra. Per questo la chiamo tassa-Meloni". La segretaria osserva che "le responsabilita' non stanno mai solo da una parte. Ma qui siamo allo scaricabarile. Meloni da' sempre la colpa a qualcun altro. Sulle liste di attesa da' la colpa alle Regioni, facendo infuriare anche quelle che governano loro, ma non gli hanno dato un euro in piu', mentre avevano lanciato un piano di assunzioni sparito nel nulla. Il personale e' stremato con turni massacranti, in fuga verso il privato o all'estero (40 mila i medici fuggiti negli ultimi anni)". "Non so - continua - da quando la premier non esce dal Palazzo e va in un ospedale. Ci sono ancora i 'gettonisti' e se ci sono e' perche', quando lei era al governo con Berlusconi e io all'universita', hanno messo il tetto alle assunzioni. Oggi detassano gli straordinari. Ma il personale e' allo stremo. Servono risorse per fare nuove assunzioni". Ieri e' stata approvata la legge sulla condivisione degli utili delle imprese. Il Pd si e' astenuto: "Il tema ci e' sempre stato caro, ma contestiamo gli emendamenti del governo che hanno svuotato il testo, firmato anche da una parte di noi, rendendo tutto facoltativo, rimandandolo alla volonta' delle imprese. Noi siamo per una partecipazione piena, anche gestionale". Il Pd ha sposato i referendum, ma resta diviso sui quesiti sul lavoro: "Il Pd ha una linea approvata senza voti contrari in Direzione e prevede l'appoggio ai 5 referendum. Un sondaggio di Pagnoncelli ha mostrato come la nostra base e' la piu' convinta dei quesiti - tra il 92 e il 97 per cento - compreso quello sulla cittadinanza" conclude Schlein.